Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

26 giugno

Santi Giovanni e Paolo
Santi Giovanni e Paolo

Santi Giovanni e Paolo
Martiri di Roma
(† 362)

Due Santi pacificatori. La semplice commemorazione fatta in questo giorno dei gloriosi fratelli il cui nome fu un tempo così celebre in tutto l’Occidente, non deve diminuire ai nostri occhi il loro merito. Gervasio e Protasio non vengono più onorati con una festa solenne, preceduta da una vigilia, di cui ci ha conservato il ricordo il sacramentario Gelasiano; ma il posto che occupavano nelle litanie della Chiesa romana, come rappresentanti dell’esercito dei martiri, è stato loro conservato.

Gli storici dei riti sacri ci dicono come l’introito che si canta nella Messa dei nostri due santi martiri: Il Signore darà la pace al suo popolo, è un monumento della fiducia di san Gregorio Magno nella loro potenza soccorritrice. Grato per i risultati già ottenuti, egli affidava alle loro cure, con la scelta di questa antifona, la completa pacificazione dell’Italia esposta all’invasione longobarda e alle rivendicazioni della corte di Bisanzio.

Scoperta delle loro reliquie. Due secoli prima, sant’Ambrogio aveva provato per primo la speciale virtù di pacificazione che il Signore, in cambio della loro morte, sembra aver dato alle ossa stesse dei suoi gloriosi testimoni. Per la seconda volta, l’imperatrice Giustina e l’ariano Aussenzio, dirigevano contro il vescovo di Milano l’assalto delle potenze riunite della terra e dell’inferno; per la seconda volta, dietro l’intimazione di abbandonare una chiesa, Ambrogio aveva risposto: «Non spetta al sacerdote consegnare il tempio» (Lettera XX). Ai soldati mandati per dare man forte agli invasori del sacro luogo, egli aveva minacciato la scomunica se avessero varcato la soglia; e, sapendo che erano legati a Dio per il battesimo prima ancora di esserlo al principe, i soldati avevano capito che si trattava d’una consegna sacrilega. Alla corte, spaventata per l’indignazione universale e che lo pregava ora di calmare il popolo sollevato dagli odiosi provvedimenti: «È in mio potere di non eccitarlo – aveva detto -; ma la pacificazione è unicamente opera di Dio». Quando infine le truppe ariane che fu possibile racimolare circondarono la basilica dove si trovava Ambrogio, si vide in nome dell’indivisibile e pacifica Trinità tutto quel popolo chiudersi nella chiesa insieme al suo vescovo, e sostenere con la sola forza della divina salmodia e degli inni sacri quell’assedio di nuovo genere. Ma l’ultimo atto di questa guerra di due anni contro un uomo disarmato, l’avvenimento che completò la disfatta dell’eresia, fu la scoperta delle preziose reliquie di Gervasio e di Protasio, che Milano possedeva senza saperlo, e che una celeste ispirazione rivelò al pontefice.

Ascoltiamo il vescovo narrare i fatti, nella semplicità così dolce della sua grande anima, alla sorella Marcellina:

«Il fratello alla sua Signora e sorella, più cara a lui degli occhi e della vita stessa.

«Ho l’abitudine di non lasciar ignorare nulla alla tua santità di quanto avviene qui in tua assenza; sappi dunque così che abbiamo trovato dei santi martiri. Mentre infatti attendevo alla dedicazione della basilica che tu conosci, molti si misero ad interrogarmi ad una sola voce, dicendo: Dedicala come la basilica Romana. Io risposi: Lo farò, se trovo delle reliquie di martiri. E subito mi invase come l’ardore di qualche presagio. Che cosa posso dire? Il Signore ha dato la sua grazia. Nonostante il timore degli stessi chierici, ordinai di scavare la terra nel luogo che è davanti alla balaustrata dei santi Felici e Nabore. Trovai i segni cercati: si portarono anche degli indemoniati ai quali dovevamo imporre le mani, e avvenne che alla prima apparizione dei santi martiri, quando ancora stavamo tutti in silenzio, una donna fra essi fu presa e rovesciata a terra davanti alla sacra tomba. Vi trovammo due uomini d’una statura sbalorditiva, come nei tempi antichi, lo scheletro intero, e molto sangue. Vi fu grande afflusso di popolo durante quei due giorni. Ma a che pro tanti particolari? I santi corpi intatti, disposti come era conveniente, li abbiamo trasportati sul far della notte alla basilica di Fausta; qui, veglia per tutta la notte, imposizione delle mani. Il giorno seguente, traslazione alla basilica che essi chiamano Ambrosiana; durante il tragitto, guarigione di un cieco» (Lettera XXII).

Le tombe al Vambrosiana. Dieci anni dopo, Ambrogio doveva venire a prender posto a sua volta sotto l’altare della basilica Ambrosiana; fu deposto dal lato dell’epistola, lasciando quello del vangelo ai due martiri. Nel ix secolo ,u no dei suoi successori, Angilberto, riunì i tre corpi venerati in uno stesso sarcofago di porfido, che fu collocato in senso longitudinale rispetto all’altare, al di sopra delle due tombe primitive. È qui che, trascorsi mille anni, grazie ai lavori resi necessari dalle riparazioni apportate alla basilica, apparvero nuovamente, 1*8 agosto 1871, non più nel sangue che nel quarto secolo aveva rivelato i martiri , ma sotto una polla d’acqua profonda e limpida: soave immagine di quell’acca della Sapienza (Prov. 18, 4; Eccli. XV, 3; ecc.) che era scorsa con tanta abbondanza dalle labbra di Ambrogio, divenuto l’ospite principale della santa tomba. È appunto qui, non lontano dalla tomba di Marcellina diventata essa pure un’altare, che il pellegrino dei nostri tempi, con l’anima ripiena dei ricordi dell’antica età , venera ancora quei preziosi resti; poiché essi restano sempre inseparabili, nella cassa di cristallo, dove, posti sotto l’immediata protezione del Romano Pontefice (Costituzione «Qui attingit» di Pio IX), aspettano ora la risurrezione.

Sant’Agostino e sant’Ambrogio non ci hanno detto nulla intorno alla storia dei santi Gervasio e Protasio. Forse non sapevano nemmeno essi alcunché di preciso sulla loro vita e sul loro martirio. Si sono limitati a celebrare i miracoli che avevano avuto luogo sulla loro tomba e ad esaltare il loro credito verso Dio. Il loro culto si diffuse in pochissimi anni in Italia, nelle Gallie, e in tutto l’Occidente.

La testimonianza del sangue.

Se gli insegnamenti della vostra vita, o santi martiri, non sono giunti fino a noi, possiamo dire con Ambrogio, quando vi presentava al suo popolo: «La migliore eloquenza è quella che scaturisce dal sangue; poiché il sangue ha una voce risonante, che penetra dalla terra nel cielo» (Lettera XXII). Fateci comprendere il suo potente linguaggio. I cristiani debbono essere sempre pronti a rendere la loro testimonianza al Dio redentore. Le nostre generazioni non avrebbero forse più sangue nelle vene inaridite? Guarite il loro incurabile abbattimento; ciò che non possono più i medici delle anime, lo può sempre Gesù Cristo.

Sorgete dunque, o gloriosi fratelli; indicateci la nobile via della dedizione e della sofferenza. Non può essere che i nostri miseri occhi abbiano potuto invano, in questi ultimi tempi, contemplarvi come quelli di Ambrogio; se Dio vi rivela nuovamente alla terra dopo tanti secoli, egli ha in questo le stesse mire di una volta: risollevare mediante voi l’uomo e la società da una servilità funesta, scacciare l’errore, salvare la Chiesa che non può perire, ma che egli vuole liberare per mezzo dei suoi Santi. Voi che un tempo avete ottenuto con le vostre preghiere la pace per l’Italia dilaniata da una lunga guerra, ottenete ancor oggi dal Padre celeste la pace per il mondo intero. Riconoscete con degni favori la protezione di cui Pietro ricopre i vostri resti. Milano sia degna di voi e di Ambrogio. Visitate ancora tante regioni, vicine o lontane, che il sangue trovato nella vostra tomba arricchiva una volta. La Francia, che vi fu tanto devota, e che pose cinque delle sue cattedrali sotto il vostro glorioso appellativo, attende da voi uno speciale aiuto: rianimate in essa, o martiri, la devozione degli antichi giorni; distaccatela dalle sette e dagli apostati; e fate che ridiventi presto il soldato di Dio!

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959