Bouquet spirituale:
15 ottobre
La carità. “La Chiesa che regna in cielo, dice per questa festa il vescovo di Meaux, e quella che geme in terra, sebbene sembrino affatto separate, sono invece unite da un legame sacro. Legame è la carità, che è in questo luogo di esilio, come nella patria celeste, dà gioia ai santi che trionfano, anima quelli che combattono, si spande dal cielo in terra, dagli Angeli ai mortali e fa che la terra divenga cielo e gli uomini diventino Angeli. O santa Gerusalemme, Chiesa beata dei primogeniti, i nomi dei quali sono scritti in cielo, sebbene la Chiesa, tua cara sorella, che vive e combatte quaggiù, non osi paragonarsi a te, tuttavia assicura che un santo amore a te la unisce. È vero che essa cerca e tu invece possiedi, che essa fatica, e tu riposi, che essa spera e tu godi, ma fra tante differenze per le quali sei così lontana, vi è questo di comune, che gli spiriti beati amano quello che amano anche i mortali. Gesù, che è loro vita è anche nostra vita e nei loro canti di giubilo e nei nostri gemiti si sentono risuonare le parole del Salmista: Mio bene è unirmi a Dio” (Bossuet, Panegirico di santa Teresa).
Vocazione di Teresa. Teresa ebbe, in un tempo di rovine, la missione di ricordare al mondo dalle altezze del Carmelo, portato da lei alla premierà bellezza, questo bene supremo, che è della Chiesa della terra come in quella del cielo. Alla fine della gelida notte dei secoli XIV e XV, una potenza di irresistibile attrazione si sprigiona dagli esempi della sua vita e sopravvive nei suoi scritti, trascinando dietro a lei, sui passi dello Sposo, i predestinati.
Tuttavia né lo Spirito Santo apriva in Teresa vie sconosciute, né Teresa, l’umile Teresa, diceva novità nei suoi libri. Prima di Teresa, già l’Apostolo aveva affermato che la conversione dei cristiani è nei cieli (Filipp. 3, 20) e, dopo di lui, l’avevano detto, Ambrogio, Agostino, Gregorio Magno, Gregorio di Nazianzo e molti altri, testimoni per tutta la Chiesa. S’è detto e provato, meglio che non sapremmo fare noi: “Nessuna condizione fu meglio nota ai Padri di quella dell’unione perfetta che si acquista al sommo della contemplazione e, leggendo i loro libri, si nota la semplicità con cui ne trattano; pare che la ritengano frequente, e la considerino uno sviluppo del cristianesimo portato alla sua pienezza (M.me C. Bruyere, La vie spirituelle et l’Oraison, c. 19).
In quello, come in tutto il resto, la scolastica ha solo raccolto i dati e afferma la dottrina riguardante le vette della vita cristiana anche quando l’indebolimento della fede dei popoli impedisce alla carità divina il suo slancio e lo confina in qualche chiostro ignorato. Ma nella sua forma speciale l’insegnamento della Scuola non fu accessibile a tutti e perciò il carattere anormale di un’epoca stranamente agitata si riflette perfino sui mistici che ancora vi erano.
Gli scritti di Teresa. Ecco allora apparire nel regno cattolico la vergine di Avila. Dotata in modo mirabile per grazia e per natura, conobbe le resistenze di questa come le chiamate di Dio, le purificanti attese e i trionfi progressivi dell’amore. Lo Spirito, che la voleva Maestra nella Chiesa, la guidava per il classico cammino, se così si può dire, dei favori riservati ai perfetti. Giunta alla montagna di Dio, annotò senza alcuna pretesa le tappe del cammino percorso e, obbedendo a chi lo imponeva in nome del Signore (Vita della Santa scritta da lei stessa) narrò, con penna squisita per limpidità e disinteresse, le opere compiute dallo Sposo (Libro delle Fondazioni). Con non minore attrattiva passò gli insegnamenti della sua esperienza presso le sue figlie (Il cammino della perfezione), descrivendo le molte mansioni del castello dell’anima umana al centro del quale, per chi sa trovarlo, risiede, in un cielo anticipato, la Santa Trinità (Il castello interiore). Non occorreva altro. La mistica cristiana, tolta alle astrazioni speculative, riportata alla sublime semplicità ha di nuovo presa sulle intelligenze e la luce risveglia l’amore. Finalmente soavissimi profumi esalano in ogni parte del giardino della Chiesa e risanano la terra e cacciano i miasmi sotto i quali l’eresia e la pretesa riforma minacciavano di soffocare il mondo.
La via unitiva. Teresa non persuadeva nessuno a forzare l’entrata delle vie non comuni. Ma, se l’unione passiva e infusa dipende totalmente dal volere di Dio, è possibile a tutti, con l’aiuto della grazia e purché ci sia buona volontà, l’unione di conformità effettiva e attiva, senza della quale la prima non sarebbe che illusione. “Coloro che possiedono l’unione di conformità, dice la santa, hanno ottenuto ciò che possono desiderare. È l’unione che io desiderai tutta la vita, che sempre chiesi a nostro Signore ed è anche la più facile a conoscersi e la più sicura” (Il castello interiore, 5 dimora, c. 3).
Tuttavia aggiungeva: “Guardatevi dalle eccessive riservatezze che si vedono in certe persone e che esse credono umiltà. Se il re si degnasse concedervi qualche favore, sarebbe umiltà il rifiuto? Quando il Padrone assoluto del cielo e della terra si degna onorare l’anima mia e la visita, per riempirmi delle sue grazie e gioire con me, non volerlo, non rispondergli, non fargli compagnia, non accettare i suoi doni, fuggire la sua presenza e lasciarlo solo sarebbe mostrarmi umile? Bella umiltà davvero! Vedete in Gesù Cristo un Padre, un fratello, un maestro, uno sposo e trattate con lui secondo queste diverse qualità ed egli stesso vi farà capire quale gli piace di più e quale quindi voi dovete scegliere. Non siate così sciocchi da farne a meno” (Il cammino della perfezione).
Ma si ripete da tutte le parti che “questa via è tutta seminata di scogli: la tale vi si è perduta, altra si è sbandata, una terza, che pregava sempre non ha potuto evitare di cadere… Ammirate l’inconcepibile accecamento del mondo, Non si inquieta per migliaia di disgraziati, che, totalmente estranei alla vita di orazione, vivono in dissolutezze orribili e, se per disgrazia, deplorevole senza dubbio, ma rarissima, gli artifici del tentatore seducono un’anima dedita alla preghiera, se ne trae motivo di ispirare agli altri grandi paure, per allontanarle dalla pratica delle sante virtù. Non è questo, essere vittime del più grave degli errori: credere che per evitare il male sia necessario evitare di far il bene? Superate tutte queste paure, sforzatevi di conservare sempre pura la vostra coscienza, irrobustitevi nell’umiltà, schiacciate col vostro piede tutte le cose terrene, siate irremovibili nella fede della santa Chiesa, nostra madre, e dopo tutto questo non dubitate di non essere sul buon cammino”. (Il cammino della perfezione, c. XXII).
È vero anche troppo “che un’anima quando non trova una fede vigorosa e i suoi trasporti di devozione non contribuiscono ad aumentare il suo attaccamento alla Chiesa, si trova in una via piena di pericoli. Lo Spirito di Dio ispira sempre soltanto cose conformi alle sante Scritture e quando vi sia anche il più lieve contrasto questo basta a dimostrare con evidenza l’azione dello spirito cattivo e, se il mondo intero mi assicurasse che si tratta dello Spirito divino, io non mi lascerei persuadere” (Vita, c. XXV).
Il compito del direttore. L’anima evita il pericolo interrogando chi può darle luce. “Ogni cristiano, che ne ha la possibilità, deve cercarsi una guida istruita e la più istruita sarà la migliore. Tale aiuto è più ancora necessario alle persone d’orazione e più sono avanzate meno possono farne senza. Io ho sempre amato gli uomini eminenti per dottrina. Alcuni, lo comprendo, non avranno conoscenza sperimentale delle vie spirituali, ma non vi sono contrari, non le ignorano e, con l’aiuto della Sacra Scrittura, che studiano costantemente, sanno sempre riconoscere i segni del buon Spirito. Lo spirito delle tenebre teme in modo particolare la scienza umile e virtuosa, sa che da essa sarà sempre scoperto e che i suoi artifici si risolveranno a suo danno … Signore, io ignorante e inutile, ti benedico per questi ministri fedeli, che ci danno luce (Vita, c. XIII). Io non ho scienza superiore alla virtù, scrivo furtivamente e con pena: ciò mi impedisce di filare e mi trovo in una casa povera in cui le occupazioni non mancano. Mi basta essere donna, e donna così imperfetta perché la penna mi scappa di mano” (ibid.).
L’amore del prossimo. Secondo la parola del Cantico divino, per introdurre Teresa nella sua intimità più profonda, lo Sposo aveva dovuto ordinare l’amore nell’anima sua e regolarvi la carità (Cant. 2, 4). Rivendicati, come era giusto, i suoi diritti sovrani, la rendeva più devota e amante del prossimo. Il dardo del Serafino non inaridì, né deformò il suo cuore. Al punto culminante della perfezione che raggiunse 1’anno stesso della sua morte felice: “Se tu mi ami molto, scriveva, ti ricambio l’amore, te lo assicuro e desidero che tu me lo dica. È proprio vero che la natura ci porta a voler essere compensati! Non può essere cosa cattiva, posto che il Signore lo esiga da noi. È un vantaggio somigliare a lui in qualche cosa, fosse pure anche solo in quello” (A Maria di Giuseppe, Priora di Siviglia, 8 nov. 1581). Altrove, parlando dei suoi viaggi senza fine al servizio dello Sposo: “La pena più grande per me era lasciare le mie figlie e sorelle. Esse sono distaccate da tutto in questo mondo ma Dio non ha loro concesso di esserlo da me e ciò forse ha permesso, perché fosse per me un più grande tormento, dato che non sono meno attaccata a loro” (Fondazioni, c. XXVII).
La natura e la grazia. La grazia non disprezza la natura, che è essa pure opera del Creatore, ma, consacrandola, la risana, la fortifica, l’armonizza e del pieno sviluppo delle facoltà fa il primo omaggio tangibile che l’uomo rigenerato deve rendere, alla presenza dei suoi simili, a Dio Redentore. Si legga quel capolavoro letterario, che è il libro delle Fondazioni, o lettere innumerevoli, strappate dalla serafica Madre alla sua vita divorante e si conoscerà se l’eroismo della fede e di tutte le virtù, se la santità portata alla più alta espressione mistica recò danno un istante a Teresa, non diciamo alla costanza, alla devozione, all’energia, ma a quella intelligenza che nulla sconcerta, pronta e viva fino alla gaiezza, al carattere sempre sereno che versa serenità su quanto la circonda, alla sollecitudine, alla moderazione, al tatto squisito, all’amabile saper vivere, al genio pratico, all’incomparabile buon senso di questa contemplativa dal cuore trafitto che pulsava ancora solo per miracolo e che aveva per divisa: Soffrire o morire.
Al benefattore di una progettata fondazione scrive: Non creda mio Signore, di dover donare solo quello che pensa; vi prevengo. È cosa da nulla dare denaro, costa poco. Ma quando ci vedremo al momento di essere lapidati, lei, suo genero e quanti siamo a occuparci di questo affare, come ci si dovette arrivare al tempo della fondazione di san Giuseppe d’Avila, allora sì che sarà bello! (Ad Alfonso Ramirez, 19 febbraio 1569). Si riferiscono alla stessa fondazione molto movimentata di Toledo le parole della santa: “Teresa e tre ducati sono niente; ma Dio, Teresa e tre ducati sono tutto”.
La grande prova. Teresa provò qualcosa di peggio delle privazioni umane, perché un giorno sembrò mancarle Dio stesso. Come prima di lei san Filippo Benizi, come dopo di lei Giuseppe Calasanzio e Alfonso de’ Liguori, conobbe la prova del vedersi condannata, respinta con le sue figlie e i suoi figli in nome e per autorità del Vicario dello Sposo. Era uno dei giorni da molto tempo predetti in cui – è concesso alla bestia di fare la guerra ai santi e di vincerli (Apoc. 13, 7). Ci manca lo spazio per raccontare gli incidenti dolorosi (vedi le lettere della Santa al Priore della Certosa di Siviglia, 31 gennaio 1579 ecc.) e a che pro li racconteremmo: La bestia non ha che un procedimento, che ripete al secolo XVI, al XVII, al XVIII e sempre. Come Dio, ciò permettendo, non ha che un fine: condurre i suoi al sommo dell’unione crocifiggente in cui Colui che volle per primo assaporare l’amarezza di questa feccia poté dire, a titolo più doloroso che chiunque altro: Mio Dio, perché mi hai abbandonato? (Mt. 27, 46).
Vita. Teresa nacque ad Avila, in Spagna, il 28 marzo 1515. Leggendo nella sua infanzia gli Atti dei Martiri, sentì il desiderio di imitarli. Scappata perciò dalla casa paterna, cercò di raggiungere l’Africa per versarvi il suo sangue per Cristo. Ricondotta a casa dallo zio, volle supplire il martirio col fervore della carità verso Dio e verso il prossimo. A venti anni entrò nel Carmelo e vi condusse una vita di sofferenze, di penitenza e di preghiera, senza avere, per diciotto lunghi anni, il conforto delle consolazioni spirituali che poi le furono concesse.
Lo zelo le ispirò di riportare il Carmelo alla regola primitiva e, con l’approvazione di Pio IV, sostenuta da san Giovanni della Croce, poté edificare trentadue monasteri. Il Signore la ricompensò con favori altissimi, visioni, estasi e con la trafissione del cuore. All’orazione più fervorosa unì grandi penitenze per la salvezza degli infedeli e la conversione degli eretici. L’ardore della sua carità le provocò la morte il 4 ottobre 1582 ad Alba. Il suo corpo resta ancora incorrotto. Avendo la Chiesa riconosciuti i miracoli operati, Teresa fu canonizzata da Gregorio XV.
Soffrire per amore. Tu trovasti già in vita, o Teresa, il Diletto, che ti si rivela alla morte. “Se una cosa poteva riportarti in terra era il desiderio di soffrire ancora” (Apparizione a Padre Graziano). “Non mi stupisco, dice Bossuet, che Gesù abbia voluto morire, perché egli doveva questo sacrificio al Padre. Ma era necessario che passasse tutti i suoi giorni e li terminasse in mezzo a tanti mali? Perché egli era l’uomo dei dolori, come lo chiama il Profeta (Is. 53, 3) volle vivere solo per soffrire e, per dire ciò più fortemente con la bella parola di Tertulliano, ha voluto saziarsi, prima di morire, con una voluttà di sofferenza: Saginare voluptate patientiae discessurus volebat (De patientia, 3). Ecco uno strano modo di parlare. Tu non dirai che, secondo il sentimento del Padre, tutta la vita del Salvatore era un festino in cui tutte le portate erano tormenti? Strano festino secondo il mondo, ma che Gesù ha giudicato degno dei suoi gusti. Bastava la sua morte per la nostra salute, ma non bastava alla meravigliosa fame che egli aveva di soffrire per noi. Alla morte si aggiunsero i flagelli, si aggiunsero la sanguinante corona che trafigge la testa, si aggiunse tutto il crudele apparato di supplizi spaventevoli e per quale ragione? Perché, vivendo solo per soffrire, voleva saziarsi, prima di morire, della voluttà di soffrire per noi” (Panegirico di santa Teresa). Finché sulla croce “vedendo che nei decreti eterni non c’è più nulla da soffrire: Ah! disse, tutto è fatto, tutto è finito: (Gv. 19, 30) andiamo, non vi è più nulla da fare in questo mondo e rese subito l’anima al Padre. (Bossuet, ibid.).
Soffrire o morire. Se questo è lo spirito di Gesù, non deve forse essere anche quello di Teresa, sua sposa? “Essa vuole soffrire o morire e il suo amore non può sopportare che causa alcuna ritardi la sua morte, fuorché quella che ha ritardato la morte del Salvatore.” (Bossuet, ibid.). Riscaldiamo i nostri cuori a questo grande esempio. “Se siamo veri cristiani dobbiamo desiderare di essere sempre con Cristo. E dove si trova l’amabile Salvatore delle anime nostre? dove può essere abbracciato? Non si trova che in questi due luoghi: nella gloria o nella sofferenza, sul trono o sulla croce. Per essere con lui dobbiamo quindi o abbracciarlo sul suo trono ed è ciò che ci ottiene la morte, o unirci a lui sulla croce e noi vi riusciamo con le sofferenze. Sicché occorre soffrire o morire, per non lasciare mai il Salvatore. Soffriamo dunque, soffriamo, cristiani, quello che a Dio piace mandarci: afflizioni, malattie, miserie, povertà, ingiurie e calunnie; sforziamoci di portare quella parte della sua croce di cui vorrà onorarci” (Bossuet, ibid.).
Orazione e virtù.
Tu, che la Chiesa presenta ai suoi figli quale maestra e madre nel sentiero della vita spirituale, insegnaci il cristianesimo forte e vero. La perfezione non si raggiunge in un giorno solo e tu lo dicevi: “Saremmo molto da compiangere, se non potessimo cercare e trovare Dio che dopo essere morti al mondo: Dio ci liberi dalla gente spirituale, che vuole, senza discernimento e senza scelta, tutto portare alla perfetta contemplazione” (Al vescovo d’Avila, marzo 1557, in una delle più graziose lettere della santa). Ma Dio ci liberi pure dalle devozioni male intese, puerili e sciocche, come tu le chiami, che ripugnavano alla dirittura e alla dignità della tua anima generosa! (Vita c. XIII) Tu non desideri altra orazione che quella che ti fa crescere nella virtù persuadici allora del principio che regola questa materia e cioè che “l’orazione migliore e a Dio più gradita è quella che lascia migliori effetti e si manifesta nelle opere e non soddisfa soltanto i gusti, che tendono alla personale soddisfazione” (A Padre Graziano, 23 ottobre 1557).
Sarà salvo solo colui che avrà osservato i comandamenti, che avrà adempita la legge; e il cielo, il tuo cielo, o Teresa, è la ricompensa delle virtù praticate, non delle rivelazioni e delle estasi, che ti sono state concesse (Apparizione alla Priora di Véas).
Preghiera.
Dal luogo in cui il tuo amore si nutre di infinita felicità, come si saziava quaggiù di sofferenze, fa’ che la Spagna, ove sei nata, custodisca nei nostri tempi meschini il suo bel nome di cattolica. Possano i tuoi figli avere, con la benedizione dei meriti e della santità, anche quella del numero e, sotto tutte le latitudini dove lo Spirito li ha moltiplicati, i loro asili benedetti possano sempre ricordare “i primi colombai della Vergine, nei quali lo Sposo si compiaceva far splendere i prodigi della sua grazia” (Fondazioni c. IV). Tu stabilisti scopo delle loro preghiere e dei loro digiuni il trionfo della fede e il sostegno dei suoi difensori (Il cammino della perfezione, cc. I, III) e come è oggi immenso il campo aperto al loro zelo! Con loro e con te, noi chiediamo a Dio “due cose: che fra tanti uomini e religiosi se ne trovino che abbiano le qualità necessarie per servire utilmente la causa della Chiesa, dato che un solo uomo perfetto renderà più servizi che molti uomini imperfetti; che nella lotta il Signore li sostenga con la sua mano, perché schivino i pericoli e chiudano l’orecchio al canto delle sirene … Abbi, o Dio, pietà di tante anime che si perdono, arresta la valanga dei mali che affliggono l’umanità e, senza ritardi, fa’ brillare in mezzo a queste tenebre la tua luce” (Il cammino della perfezione).
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959