Bouquet spirituale:
3 gennaio
Genoveffa nacque a Nanterre verso il 419. A sette anni, fu consacrata vergine dal vescovo san Germano di Auxerre. Con la sua preghiera e con i suoi miracoli protesse contro gli attacchi dei Normanni, e nutrì durante l’assedio la città di Parigi che la invoca quale patrona. Dopo una vita trascorsa nella pratica delle più eminenti virtù, s’addormentò nel Signore il 3 gennaio del 512. La sua tomba, resa insigne da numerosi miracoli, è diventata la meta di un pellegrinaggio nazionale.
Il Martirologio della Chiesa Romana ci presenta oggi il nome d’una santa vergine la cui memoria è troppo cara alla Chiesa di Parigi e a quelle di tutta la Francia, perché possiamo passare sotto silenzio i suoi meriti gloriosi. Insieme con i Martiri e con il Confessore e Pontefice Silvestro, la vergine Genoveffa brilla d’un soave splendore accanto a sant’Anastasia, e custodisce con amore la culla del divino Bambino del quale imitò la semplicità e meritò di esser la Sposa. In mezzo ai misteri del parto verginale, è giusto rendere solenni onori alle Vergini fedeli che son venute dopo Maria. Se ci fosse possibile esaurire i Fasti della santa Chiesa, che magnifica pleiade di spose di Cristo dovremmo glorificare in questi quaranta giorni della Nascita dell’Emmanuele!
Genoveffa è stata celebre nel mondo intero. Viveva ancora in questa carne mortale che già l’Oriente conosceva il suo nome e le sue virtù; dall’alto della sua colonna, Simone stilita la salutava come sorella nella perfezione del Cristianesimo. Ad essa è affidata la capitale della Francia: una semplice pastorella protegge i destini di Parigi, come un povero lavoratore, sant’Isidoro, veglia sulla capitale della Spagna.
L’elezione che Cristo si era degnato di fare della fanciulla di Nanterre quale sua Sposa, fu proclamata da uno dei maggiori vescovi della Gallia nel V secolo. San Germano d’Auxerre si recava in Gran Bretagna dove il Papa san Bonifacio I lo mandava per combattere l’eresia pelagiana (verso il 430). Accompagnato da san Lupo, vescovo di Troyes, che doveva condividere la sua missione, si fermò al villaggio di Nanterre; e siccome i due prelati si dirigevano verso la chiesa in cui volevano pregare per il successo del loro viaggio, il popolo fedele li circondava con una pia curiosità. Illuminato da una luce divina, Germano distingueva tra la folla una fanciulla di sette anni, e fu avvertito interiormente che il Signore se l’era scelta. Chiese agli astanti il nome di quella fanciulla, e pregò che la conducessero alla sua presenza. Si fecero dunque avvicinare i genitori, il padre chiamato Severo e la madre di nome Geruntia. L’uno e l’altra furono commossi alla vista delle carezze di cui il santo vescovo colmava la loro figliuola. “È vostra questa fanciulla?” chiese Germano. – “Sì”, risposero. – “Beati voi che siete i genitori di una simile figlia!” riprese il vescovo. “Alla nascita di questa fanciulla, sappiatelo, gli Angeli hanno fatto gran festa nel ciclo. Questa fanciulla sarà grande davanti al Signore, e con la santità della sua vita sottrarrà molte anime al giogo del peccato”. – Quindi, rivolgendosi alla fanciulla: “Genoveffa, figlia mia!” disse. – “Padre santo”, rispose essa, ” la tua serva ti ascolta”. – E Germano: “Parlami senza timore: vorresti essere consacrata a Cristo in una purezza senza macchia, come sua Sposa?” – “Siate benedetto, Padre mio!” esclamò la fanciulla, ” ciò che voi mi chiedete è il desiderio più ardente del mio cuore. È tutto quello che io voglio: degnatevi di pregare il Signore che me lo conceda”. “Abbi fiducia, figlia mia” riprese Germano; “sii ferma nella tua risoluzione; siano le tue opere conformi alla tua fede, e il Signore aggiungerà la sua forza alla tua bellezza”.
I due vescovi, accompagnati dal popolo, entrarono nella chiesa, e si cantò l’Ufficio di Nona, che fu seguito dai Vespri. Germano aveva fatto condurre Genoveffa presso di sé, e per tutta la salmodia tenne le sue mani sul capo della fanciulla. L’indomani, allo spuntar del giorno, prima di mettersi ih cammino, fece condurre a sé Genoveffa dal padre. “Salve Genoveffa, figlia mia!” le disse; “ricordi la promessa di ieri?” – “O Padre santo!” rispose la fanciulla, “ricordo quanto ho promesso a Dio; il mio desiderio è quello di conservare sempre, con l’aiuto del cielo, la purezza dell’anima e del corpo”. A questo punto, Germano vide per terra una medaglia di cuoio segnata con l’immagine della Croce. La raccolse e, presentandola a Genoveffa le disse: “Prendila, mettila al collo, e conservala in ricordo di me. Non portare mai né collana né anello d’oro o d’argento, né pietra preziosa; perché se l’attrattiva delle bellezze terrene venisse a dominare il tuo cuore, perderesti subito la tua divisa celeste che deve essere eterna”. Germano disse alla fanciulla di pensare spesso a lui in Cristo, e raccomandatala a Severo come un deposito doppiamente prezioso, si mise in cammino per la Gran Bretagna con il suo pio compagno.
Abbiamo voluto riprodurre questa graziosa scena quale ci è narrata negli Atti dei Santi per mostrare la potenza del Bambino di Betlemme che agisce con tanta libertà nella scelta delle anime che ha risoluto di legare a sé con un legame più stretto. Egli si comporta da maestro, nulla gli è di ostacolo, e la sua azione non è meno visibile in questo secolo di decadenza e di tiepidezza di quanto lo fosse ai giorni di san Germano e di santa Genoveffa. Alcuni, purtroppo, ne provano dispiacere; altri stupiscono; la maggior parte non riflette affatto; gli uni e gli altri si trovano tuttavia di fronte a uno dei segni più evidenti della divinità della Chiesa.
Preghiera
O Genoveffa, vergine fedele, noi vogliamo renderti gloria per i meriti che il divino Bambino si è compiaciuto di radunare in te. Tu sei apparsa sulla Francia come un Angelo tutelare; le tue preghiere sono state per lungo tempo oggetto della fiducia dei Francesi, e ti sei onorata, in cielo e in terra, di proteggere la capitale del regno di Clodoveo, di Carlo Magno e di san Luigi. Sono giunti tempi degni di esecrazione, durante i quali il tuo culto è stato sacrilegamente abrogato, i tuoi templi sono stati chiusi, e le tue preziose reliquie profanate. Tuttavia, tu non ci hai abbandonati; hai implorato per noi giorni migliori; e possiamo riprendere una certa fiducia nel vedere il tuo culto rifiorire in mezzo a noi, malgrado le profanazioni più recenti venute ad aggiungersi alle antiche.
In questo periodo dell’anno che illustra e consacra il tuo nome, benedici il popolo cristiano. Apri i nostri cuori all’intelligenza del mistero del Presepio. Ritempra quella nazione che ti è stata sempre cara alle pure sorgenti della fede, e ottieni dall’Emmanuele che la sua Nascita, rinnovantesi ogni anno, divenga un giorno di salvezza e di vera rigenerazione. Noi siamo malati, periamo, perché le verità sono scemate presso di noi, secondo le parole di David; e la verità si è oscurata perché l’orgoglio ha preso il posto della fede, l’indifferenza quello dell’amore. Solo Gesù conosciuto e amato nel mistero della sua ineffabile Incarnazione può ridarci la vita e la luce. Tu che l’ha ricevuto e l’hai amato nella tua lunga e casta vita, conduci anche noi alla sua culla.
Veglia, o potente pastora, sulla città che ti è stata affidata. Guardala dagli eccessi che sembrano talora renderla simile a una grande città pagana. Dissipa le tempeste che si formano nel suo seno, e da apostola dell’errore, consenta a diventare finalmente discepola della verità. Nutrì ancora il suo popolo che muore di fame, ma solleva soprattutto le sue miserie morali. Calma quelle febbri ardenti che bruciano le anime e sono ancor più terribili di quel brutto male che bruciava solo i corpi. Accanto al tuo sepolcro vuoto, dall’alto del Monte che domina il grandioso tempio che si eleva sotto il tuo nome e rimane tuo per volere della Chiesa e dei padri nostri, a dispetto dei reiterati attacchi della forza bruta, veglia su quella gioventù di Francia che si stringe attorno alla cattedra della scienza umana, gioventù così spesso tradita dagli stessi insegnamenti che dovrebbero dirigerla, e assicura alla patria generazioni cristiane. Brilli sempre la croce, a dispetto dell’inferno, sulla cupola del tuo santuario profanato, e non permettere mai che ne sia tolta. Che quella croce immortale regni di nuovo presto e pienamente su di noi, e stenda le sue braccia, dalla sommità del tuo tempio, su tutte le case della città peccatrice restituita alla sua antica fede, al tuo culto, alla tua antica protezione.
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959