Bouquet spirituale:
15 luglio
Missione dell’Imperatore. Lo Spirito Santo che elargisce come vuole i suoi doni (I Cor. 12, n), chiamava ai più alti destini la Germania, dove si era di recente mostrata la sua azione divina nella trasformazione dei popoli. Conquistata a Cristo da san Bonifacio e dai continuatori della sua opera, la vasta regione che si estende al di là del Reno e del Danubio era diventata la roccaforte dell’Occidente, sul quale per tanti anni essa aveva riversato la devastazione e la rovina. Lungi dal pensare a sottomettere alle sue leggi le terribili tribù che l’abitavano, Roma pagana, al vertice della sua potenza, non aveva potuto far di meglio che elevare tra esse e l’Impero un muro di eterna separazione; Roma cristiana, per maggiori titoli regina del mondo, poneva in quelle regioni la sede stessa del Sacro Romano Impero ricostituito dai suoi Pontefici. Al nuovo impero spettava difendere i diritti della Chiesa, proteggere la cristianità contro i nuovi barbari, conquistare al Vangelo o disperdere le orde ungare e slave, mongole, tartare e ottomane che a turno verranno a premere alle sue frontiere. Beata la Germania, se avesse sempre saputo comprendere la sua vera gloria, e se soprattutto la fedeltà dei suoi prìncipi al vicario dell’Uomo-Dio fosse rimasta all’altezza della fede dei loro popoli!
La vocazione dei popoli. Dio aveva sostenuto egregiamente le proposte che faceva alla Germania. L’odierna festa segna il coronamento del periodo di feconda elaborazione in cui lo Spirito Santo avendola quasi di nuovo creata nelle acque del sacro fonte, volle condurla al pieno sviluppo dell’età perfetta che conviene alle nazioni. È in questo periodo di formazione veramente creatrice che lo storico deve dedicarsi soprattutto a studiare i popoli, se vuol sapere ciò che si aspetta da essi la Provvidenza. Quando Dio, infatti, crea, nell’ordine della vocazione soprannaturale degli uomini o delle società come in quello della stessa natura, depone sin dall’inizio, nella sua opera, il principio della vita più o meno alta che deve essere la sua: germe prezioso il cui sviluppo, se non è contrariato, deve fargli raggiungere il suo fine, e la cui conoscenza, per chi sa osservarla prima di qualunque deviazione, manifesta chiaramente riguardo all’opera in questione il pensiero divino. Ora, il principio di vita delle nazioni cristiane è la santità delle loro origini: santità molteplice, altrettanto varia quanto la multiforme Sapienza di Dio di cui debbono essere lo strumento (Ef. 3, io), e altrettanto distinta per ciascuna di esse quanto lo saranno i loro destini; santità che il più delle volte discende dal trono, ed è dotata quindi del carattere sociale che troppe volte in seguito rivestiranno anche i delitti dei principi, appunto in ragione di quel titolo di principi che li fa davanti a Dio rappresentanti dei popoli.
Missione delle Regine. Sarà la donna che, in nome di Maria, divenuta nella sua divina maternità canale di qualunque vita per il mondo, avrà la missione di generare al cospetto di Dio le famiglie delle genti (Sai. 21, 28) che saranno oggetto delle sue più care predilezioni. Mentre i prìncipi, apparenti fondatori degli imperi, riempiono con le loro gesta la scena della storia, è essa che, nel doloroso segreto delle lacrime e delle preghiere, rende feconde le loro opere, eleva i loro disegni al disopra della terra e fa che possano durare.
Lo Spirito non teme di ripetersi in questa glorificazione della Madre divina; alle Clotildi, alle Radegonde e alle Batildi che per essa diedero in tempi molto travagliati i Franchi alla Chiesa, rispondono sotto cieli diversi, e sempre in onore della beatissima Trinità, Matilde, Adelaide e Cunegonda, che uniscono sulla loro fronte la corona dei santi il diadema della Germania. Al di sopra del caos del X secolo da cui la Germania doveva emergere, aleggia continuamente la loro dolce figura, più potente contro l’anarchia di quanto lo fosse la spada degli Ottoni, e che rasserenava nella notte di quei tempi la Chiesa e il mondo. Infine, agli inizi di quell’xi secolo che doveva attendere ancora così a lungo san Gregorio VII, quale spettacolo fu quello dell’unione purissima nella quale sbocciò quella gloriosa successione che, quasi stanca di dare soltanto degli eroi alla terra, volle fruttificare unicamente per il cielo!
Sant’Enrico. Si unisca dunque la terra al cielo per celebrare oggi l’uomo che diede la loro suprema consacrazione ai disegni dell’eterna Sapienza in quell’ora della storia; egli riassume in sè l’eroismo e la santità della nobile stirpe la cui principale gloria è quella di averlo, per un secolo, preparato degnamente per gli uomini e per Dio. Egli fu grande per gli uomini che, per un lungo regno, non poterono far altro che ammirare l’abilità e l’energia grazie alle quali, presente insieme su tutti i punti del suo vasto impero, sempre felice, egli seppe reprimere le rivolte interne, domare gli slavi alla frontiera del Nord, punire l’insolenza greca nel Sud della penisola italica; mentre, profondo politico, aiutava l’Ungheria ad uscire mediante il cristianesimo dalla barbarie e tendeva a Roberto il Pio una mano amica che avrebbe voluto sigillare, per la felicità dei secoli futuri, una eterna alleanza fra l’Impero e la figlia primogenita della santa Chiesa.
Sposo vergine della vergine Cunegonda, Enrico fu grande anche per Dio che non ebbe mai un più fedele luogotenente sulla terra. Dio in Cristo era ai suoi occhi l’unico Re, l’interesse di Cristo e della Chiesa l’unica ispirazione del suo governo, il servizio dell’Uomo-Dio in ciò che ha di più perfetto, la sua suprema ambizione. Egli comprendeva che la vera nobiltà, così come la salvezza del mondo, si celava nei chiostri in cui le anime elette accorrevano per evitare l’universale ignominia e scongiurare tante rovine. Era il pensiero che, all’indomani della sua incoronazione ad imperatore, lo conduceva a Cluny, e gli faceva lasciare in custodia all’insigne abbazia il globo d’oro, immagine del mondo la cui difesa era stata a lui affidata come soldato del vicario di Dio. Lungi dal voler esser un padrone e un dominatore, egli desiderava soltanto servire; e sino alla fine, come un fedele discepolo di Cristo, rimase fedele a questo ideale.
Vita. Enrico nacque verso il 973. A 22 anni fu eletto duca di Baviera e nel 1007 imperatore dei Romani. La sua vita trascorse nella conquista o nella pacificazione del suo immenso impero, e morì a Bamberga nel 1024. Più degli eventi politici che distinsero il suo regno, si deve notare la virtù di questo imperatore il quale ebbe sempre un profondo disinteresse, lo zelo nell’aiutare i Papi a tenere i Sinodi e nella riforma della Chiesa, la premura di scegliere vescovi degni del loro ministero, la carità verso i poveri e verso i monasteri, la preoccupazione di domare i popoli barbari più con la preghiera che con le armi. Il suo corpo fu deposto nella cattedrale di Bamberga che egli stesso aveva fatto costruire, e Dio illustrò la sua tomba con miracoli così numerosi che il Papa Eugenio III lo canonizzò nel secolo seguente. La sua sposa santa Cunegonda doveva essere anch’essa canonizzata dal Papa Innocenzo III.
Lode.
Per me regnano i re, per me i principi esercitano l’impero (Prov. 8, 15-16). Queste parole discese dal cielo, tu le hai comprese, o Enrico! In un tempo pieno di delitti, hai saputo dove si trovavano per te il Consilio e la forza (ibld. 14). Come Salomone, tu non volevi che la Sapienza, e al pari di lui hai esperimentato che insieme con essa si trovavano anche le ricchezze, la gloria, e la magnificenza (Prov. 8, 18); ma più fortunato del figlio di David, non ti sei lasciato distogliere dalla Sapienza viva da quei doni inferiori che, nel suo divino pensiero, erano piuttosto la prova del tuo amore che la testimonianza di quello che essa stessa ti portava. La prova, o Enrico, è stata convincente: tu hai camminato sino in fondo nelle vie rette, senza escludere nella tua anima leale alcuna delle conseguenze dell’insegnamento divino; poco contento di scegliere come tanti altri i pendii più dolci della strada che conduce al cielo, tu hai camminato, seguendo più da vicino l’adorabile Sapienza, insieme con i santi, in mezzo ai sentieri della giustizia (ibid. 20).
Preghiera per la pace.
Cercando innanzi tutto per te il regno di Dio e la sua giustizia (Mt. 6, 33), tu eri ugualmente lontano dal frustrare la tua patria d’origine e il paese che ti aveva eletto suo capo. Soprattutto a te la Germania deve il consolidamento di quell’Impero che fu la sua gloria in mezzo ai popoli, fino a quando cadde nei tempi moderni per non rialzarsi più in nessun luogo. Dal trono che occupi in cielo, rivolgi uno sguardo di compassione a quel vasto dominio del Sacro Romano Impero che ti fu debitore di tanti incrementi e che l’eresia sembra aver disgregato per sempre. Ritorna, o imperatore dei grandi tempi, a combattere per la Chiesa; raccogli i residui della cristianità sul terreno tradizionale degli interessi comuni ad ogni nazione cattolica: e questa alleanza, che la tua grande politica aveva una volta conclusa, restituirà al mondo la sicurezza, la pace, la prosperità che non potrà dargli l’instabile equilibrio con il quale esso rimane esposto alla mercè di ogni colpo di forza.
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959