Vite dei Santi
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Bouquet spirituale:

2 maggio

Sant'Atanasio
Sant'Atanasio

Sant'Atanasio
Vescovo e Dottore della Chiesa
(† 373)

Sant'Atanasio, Vescovo e Dottore della Chiesa Vi è forse un nome più illustre di quello di Atanasio, tra i custodi della Parola di verità che Gesù ha affidato alla terra? e questo nome non esprime già di per sé l'indomabile coraggio nella difesa del sacro deposito, la fermezza dell'eroe di fronte alle prove più terribili; la scienza, il genio, l'eloquenza, tutto ciò che può contraddistinguere quaggiù l'ideale di santità del Pastore, unito alla dottrina dell'interprete delle cose divine? Atanasio visse per il Figlio di Dio; la causa del Figlio di Dio fu la stessa di Atanasio; chi benediceva il Verbo eterno, e chi malediceva il Verbo eterno malediceva Atanasio.

Sant'Atanasio nacque ad Alessandria, verso il 295. Entrato giovane negli Ordini, si distinse per la sua scienza e la sua pietà e divenne ben presto il collaboratore preferito di suo zio Alessandro, allora vescovo di Alessandria. Fin dal 320, ancora diacono, sant'Atanasio pubblicò la sua prima opera dottrinale: i «Discorsi contro i Gentili e sull'Incarnazione del Verbo».

Nel 325 accompagnò Alessandro al concilio di Nicea, e contribuì alla condanna di Ario. Nel 328 succedette allo zio nella sede vescovile di Alessandria e si adoperò a riunire tutta la provincia d'Egitto nella professione della fede ortodossa. Ma il suo zelo gli procurò un'aspra persecuzione da parte degli eretici. Gl'imperatori, divenuti favorevoli agli ariani, non tardarono a trattarlo da ribelle, in seguito alle denunce calunniose ricevute contro di lui. Fu così da loro condannato cinque volte all'esilio. Dal 335 al 337 si rifugiò a Roma, dove il Papa prese le sue difese. Le altre volte preferì nascondersi nello stesso Egitto, piuttosto che abbandonare il suo gregge. I monaci, che lo veneravano, gli offrirono nella Tebaide asilo inviolabile, da dove pubblicò opere fiammeggianti di polemica contro gli ariani. Nel suo lungo episcopato non conobbe che un solo periodo di tranquillità: fu la «decade d'oro» che va dal 346 al 356, durante la quale poté dedicarsi in pace alla sua missione di vescovo, istruendo il popolo ed il clero, soccorrendo gl'infelici e favorendo la vita monastica. I suoi ultimi anni furono tranquilli: morì in Alessandria nel 373. Il suo corpo fu trasportato a Costantinopoli, poi nel 1454 a Venezia. Si dice che il suo capo sia a Semblancay in Turenna.

L'arianesimo. La fede non corse mai un pericolo così forte come nei giorni che seguirono la pace della Chiesa e che furono testimoni della tempesta più tremenda che la barca di Pietro abbia mai dovuto sopportare. Satana aveva invano sperato di estinguere nel sangue la stirpe degli adoratori di Gesù; la spada di Diocleziano e di Galerio si era spuntata tra le loro mani e la croce, apparsa nel cielo, aveva proclamato il trionfo del cristianesimo. Ma improvvisamente, la Chiesa vittoriosa si sente scossa in dalle fondamenta: l'audacia dell'inferno ha vomitato sulla terra un'eresia che minaccia di divorare in pochi giorni il frutto di tre secoli di martirio. L'empio ed oscuro Ario osa dire che colui che fu adorato come Figlio di Dio da tante generazioni susseguitesi dopo gli Apostoli, è soltanto una creatura più perfetta delle altre. Immense defezioni si riscontrano fino nei ranghi della sacra gerarchia; il potere dei Cesari si mette a servizio dell'apostasia; e, se il Signore stesso non interviene, presto sulla terra gli uomini diranno che la vittoria del cristianesimo non ha avuto altro risultato che quello di cambiare l'oggetto dell'idolatria, sostituendo sugli altari una creatura ad altre che prima di essa avevano ricevuto gli onori dell'incenso.

Il difensore della fede. Ma colui che aveva assicurato che le porte dell'inferno non avrebbero prevalso contro la sua Chiesa, vegliava al mantenimento di questa promessa. La fede primitiva trionfò; il concilio di Nicea riconobbe e proclamò il Figlio consustanziale al Padre; ma alla Chiesa occorreva un uomo nel quale fosse, per così dire, incarnata la causa del Verbo, un uomo abbastanza dotto per sventare tutti gli artifici dell'eresia, abbastanza forte per attirarne tutti i colpi sopra di sé senza mai soccomberne. Quest'uomo fu Atanasio: chiunque adora e ama il Figlio di Dio deve amare e glorificare Atanasio. Esiliato per ben cinque volte dalla sua Chiesa di Alessandria, perseguitato a morte dagli ariani, venne a cercare, ora un rifugio, ora un luogo d'esilio, nell'Occidente, che apprezzò l'illustre confessore della divinità del Verbo. In premio dell'ospitalità che Roma ebbe l'onore di accordargli, Atanasio la rese partecipe dei suoi tesori. Ammiratore e amico del grande Antonio, coltivò con tenero affetto l'elemento monastico, che la grazia dello Spirito Santo aveva fatto sbocciare nel deserto del suo vasto patriarcato; portò a Roma questo seme prezioso, ed i monaci che vi condusse furono i primi dell'Occidente. La celeste pianta vi si acclimatò, ed anche se al principio lento ne fu lo sviluppo, in seguito diede frutti più abbondanti di quanto aveva fatto in Oriente.

Il Dottore della Pasqua. Atanasio, che aveva saputo esporre nei suoi scritti, con tanta chiarezza e magnificenza, il dogma della divinità di Gesù Cristo, celebrò il mistero della Pasqua con maestosa eloquenza nelle Lettere festali che ogni anno indirizzava alle Chiese del patriarcato di Alessandria. La collezione di queste lettere, che si consideravano come irrimediabilmente perdute e che erano conosciute soltanto attraverso brevi frammenti, fu ritrovata quasi completa nel monastero di Santa Maria di Scete, in Egitto. La prima, che rimonta all'anno 329, comincia con quelle parole che esprimono ammirabilmente i sentimenti che il giungere della Pasqua deve risvegliare in tutti i cristiani: «Venite, miei carissimi» dice Atanasio ai fedeli sottoposti alla sua autorità pastorale «venite a celebrare la festa; l'ora presente a questo v'invita. Il Sole della giustizia, dirigendo verso di noi i suoi raggi divini, ci annunzia che è arrivata l'epoca di tale solennità. Festeggiamone la notizia e non lasciamo che l'allegrezza sfugga, insieme con il tempo che ce la porta, senza averla gustata».

Durante i suoi esili, Atanasio continuò a indirizzare la Lettera Pasquale al suo gregge, che ne rimase privo solo in qualche anno. Ecco il principio di quella che annunziava la Pasqua dell'anno 338, inviata da Treviri ad Alessandria: «Anche lontano da voi, fratelli miei, non tralascerò di continuare nell'uso che ho sempre osservato a vostro riguardo, uso attinto dalla tradizione dei Padri. Non serberò il silenzio, e non mancherò di annunziarvi l'epoca della sacra Festa annuale ed il giorno nel quale voi dovete celebrarne la solennità.

In preda alle tribolazioni di cui voi, senza dubbio, avrete inteso parlare, oppresso da prove gravissime, posto sotto la sorveglianza dei nemici della verità, che spiano tutto ciò che scrivo, per farne materia di accusa e accrescere così i miei tormenti, sento nondimeno che il Signore mi dà forza e mi consola nelle mie angoscie. Oso dunque indirizzarvi l'annuale proclamazione, ed è in mezzo ai miei dispiaceri, attraverso le insidie che mi circondano che, dall'estremità della terra, v'invio l'annunzio della Pasqua, salvezza nostra. Rimettendo la mia sorte nelle mani del Signore, ho voluto celebrare con voi questa festa: anche se la distanza di luogo ci separa, non sono assente tra voi. Il Signore che ci accorda ogni festività, che è egli stesso la nostra festa, che ci fa dono del suo Spirito, ci riunisca spiritualmente col vincolo della concordia e della pace».

Quanto è bella questa Pasqua celebrata da Atanasio in esilio sulle sponde del Reno, in unione col suo popolo che la festeggia sulle rive del Nilo! Come questo ci rivela il vincolo potente che ha la Liturgia per unire gli uomini e far loro godere, nello stesso momento e nonostante la distanza che può separarli, le medesime sante emozioni, per risvegliare in essi uguali aspirazioni verso la virtù! Greci o barbari, la nostra patria comune è la Chiesa; ma la Liturgia è, con la Fede, il centro nel quale formiamo tutti una sola famiglia; la prima non ha niente di più espressivo nel senso dell'unità, che la celebrazione della Pasqua. Le disgraziate Chiese dell'Oriente e dell'impero russo, isolandosi dal resto del mondo cristiano per festeggiare in un giorno particolare la Risurrezione del Salvatore, dimostrano, anche solamente per questo fatto, che esse non fanno parte dell'unico ovile di cui egli è l'unico pastore.

Lode. Tu, o Atanasio, hai occupato la cattedra di Marco in Alessandria. Egli partì da Roma per andare a fondare la seconda sede patriarcale; e tre secoli dopo, tu, successore di Marco, arrivasti a Roma per ottenere dal successore di Pietro che l'ingiustizia e l'eresia non prevalessero contro la dignità di quella sede. Il nostro Occidente ti ha contemplato sublime eroe della fede! ti ha posseduto nel suo grembo, ha venerato in te il nobile esiliato, il coraggioso confessore della fede, ed il tuo soggiorno nelle nostre regioni è rimasto uno dei ricordi più cari e più gloriosi.

Preghiera per la Chiesa.

Sii l'intercessore di quelle contrade sulle quali un giorno si estese la tua giurisdizione di Patriarca, ma ricordati anche del soccorso e dell'ospitalità che ti dette l'Occidente. Roma ti protesse, prese nelle sue mani la tua causa, emise la sentenza che ti giustificò e ti ristabilì nei tuoi diritti. Restituiscile ora, dall'alto dei cieli, ciò che fece per te; sostieni e consola il Pontefice, successore di Giulio I che ti aiutò sedici secoli fa. Si è scatenata una terribile tempesta contro la rocca che sostiene tutte le chiese, e l'arcobaleno non appare ancora tra le nubi. Prega, Atanasio, affinché questi tristi giorni siano abbreviati, e la cattedra di Pietro cessi presto di essere presa di mira da questi attacchi di menzogna e di violenza che sono, allo stesso tempo, oggetto di scandalo per i popoli.

Preghiera per la conservazione della fede.

Lo sforzo del tuo coraggio, o grande Dottore, soffocò l'arianesimo, ma anche ai nostri tempi quest'audace eresia ha risollevato la testa. Essa estende la sua rovina col favore di quella scarsa cognizione scientifica che si unisce all'orgoglio e che è divenuta il pericolo principale dei nostri giorni. Il Figlio eterno di Dio, consustanziale al Padre, è bestemmiato dai seguaci di una perniciosa filosofia, che consente a vedere in lui il più grande degli uomini, a condizione che si consideri solamente un uomo. La ragione e l'esperienza dimostrano invano che in Gesù tutto è soprannaturale; essi si ostinano a restare con gli occhi chiusi e, contro ogni buona fede, osano unire la parola di ipocrita ammirazione al disprezzo per la fede cristiana, che riconosce nel Figlio di Maria il Verbo eterno incarnato per la salute degli uomini.

Confondi questi nuovi ariani, metti a nudo la loro superba debolezza ed i loro artifici; dissipa l'illusione dei loro disgraziati seguaci; che venga finalmente riconosciuto come questi pretenziosi sapienti, che osano bestemmiare la divinità di Cristo, si perderanno gli uni dopo gli altri nei vergognosi abissi del panteismo, o nel caos dello scetticismo, in seno al quale si estingue ogni morale e si spegne ogni intelligenza.

Conserva in noi, Atanasio, per mezzo dei tuoi meriti e delle tue preghiere, il prezioso dono della fede che il Signore si è degnato affidarci: ottenici di confessare e di adorare sempre Gesù Cristo, come nostro Dio eterno ed infinito. Dio da Dio, luce da luce. Dio vero da Dio vero, generato non fatto, che per noi uomini e per la nostra salute si degnò incarnarsi nel seno di Maria. Rivelaci la sua meravigliosa dignità, fino al dì in cui noi potremo contemplarlo, insieme con te, nel soggiorno di gloria. In attesa di quell'ora, noi comunicheremo con lui per mezzo della fede, su questa terra che fu testimone degli splendori della sua Risurrezione.

Tu l'amasti questo Figlio di Dio, nostro Creatore e nostro Salvatore. Il suo amore fu l'anima della tua vita, lo sprone della tua eroica dedizione al suo servizio. Un amore che ti ha sostenuto nelle lotte, durante le quali sembrava che tutto il mondo si sollevasse contro di te; un amore che ti ha reso più forte di tutte le tribolazioni. Ottienilo anche a noi questo amore che nulla teme perché è fedele, questo amore che noi dobbiamo a Gesù, il quale, essendo lo splendore eterno del Padre, la sua infinita Sapienza, si è degnato umiliarsi fino a prendere la forma di schiavo, «si è fatto ubbidiente sino alla morte, e sino alla morte di croce, e perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome, che è al di sopra di ogni altro nome » (Fil. 2, 8). Come lo ricompenseremo della sua dedizione, se non dandogli tutto il nostro amore, secondo il tuo esempio, ed esaltando tanto più le meraviglie che noi troviamo in Lui, quanto più Egli si è umiliato per salvarci?

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959

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