Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

28 agosto

Sant'Agostino
Sant'Agostino

Sant'Agostino
Vescovo e Dottore della Chiesa
(354-430)

L’anima dei Santi. «Come è ammirabile Dio nei suoi santi!» (Sai. 57, 36). Quasi tutti i giorni la Liturgia ci ricorda questa esclamazione del salmo. Nessuno spettacolo suscitatore di gioia e fortezza ci colpisce come l’anima di una santo. Quanto è bella un’anima!, diceva il Curato d’Ars e santa Caterina da Genova; avendo potuto vedere, per singolare favore, un’anima in grazia, esclamava: «Signore, se non avessi saputo che vi è un Dio, crederei adesso che ve n’è uno!». La Chiesa ci ricorda i santi, ci raccoglie presso i loro altari, espone alla nostra venerazione le loro reliquie, ci propone i loro esempi e i loro consigli. Ci mostra in essi quanto natura e grazia hanno di più alto, di più soave, di più misterioso e affascinante.

Sant’Agostino. È cosa ben ardua confrontare i meriti dei santi, per sapere quale di essi è più grande e forse è meglio non farlo. Tuttavia, in quel che la Chiesa ci presenta oggi, dobbiamo riconoscere «un uomo che, unito quasi per miracolo al Corpo mistico di Cristo, non ebbe forse uguali in grandezza ed eccellenza, a giudizio della storia, in nessun tempo e in nessun popolo» (Encicl. «Ad salutem humani» del 20 aprile 1930). Quando pare che la potenza delle tenebre si faccia più minacciosa e l’errore si diffonda con maggiore facilità, questi uomini suscitati da Dio, dal genio e dalle opere adatte al loro tempo e a tutti i tempi, riconfortano e sostengono il popolo cristiano. «È un genio potente, diceva Leone XIII, che, conoscendo profondamente le scienze umane e divine, combatté tutti gli errori del suo tempo» (Encicl. Aeterni Patris) e, se l’autorità della sua parola non può essere messa sopra quella della Chiesa docente, sappiamo tuttavia che «la Chiesa romana segue e conserva la dottrina di sant’Agostino».

L’amante della Sapienza. Sant’Agostino è prima di tutto l’amante della Sapienza, che è Dio. «Egli l’ama per se stessa e per essa ama il riposo e la vita» (Gv. II, Registro delle Lettere, Libro X, lettera XXXVII). Ascoltiamolo mentre apre il suo cuore, oggetto di tanta misericordia: Ti ho amato tardi, o bellezza antica e nuova! ti ho amato tardi! E tu eri in me, mentre io ero fuori di me e ti cercavo dappertutto… (Confess., X, 27). Interrogavo la terra e mi diceva: non sono io ciò che cerchi; e tutti gli esseri che sono sulla terra mi confessavano la stessa cosa. Interrogavo il mare, i suoi abissi e ciò che ha vita in quelle profondità e questa era la risposta: non siamo il tuo Dio, cerca al di sopra di noi. Interrogavo i venti e la brina e l’aria con i suoi abitanti diceva: Anassimene s’inganna, io non sono Dio. Interrogavo il cielo, il sole, la luna, le stelle e rispondevano: no, non siamo Dio, che tu cerchi. O cose tutte, che vi presentate alle porte dei miei sensi, che mi avete detto non essere il mio Dio, ditemi qualche cosa di lui. Nella loro bellezza, che aveva determinato le mie ricerche e il mio desiderio, gridarono tutte insieme: È colui che ci ha fatto (ibid. VI). Silenzio nell’aria, nell’acqua, sulla terra, nel cielo! Silenzio nell’uomo e nell’anima stessa! Passi l’anima oltre il proprio pensiero: al di là di ogni linguaggio, sia di carne o di angelo, si intende Dio, Colui di cui tutte le creature parlano, là dove cessa quello che è segno e immagine, dove cessa ogni figura, si rivela la Sapienza eterna… (ibid. X, 10). Le mie orecchie insensibili hanno inteso la tua voce potente, la tua luce abbagliante ha forzato la porta dei miei occhi ciechi, il tuo profumo ha destato il mio odorato e io aspiro a te, ho fame e sete, perché ti ho gustato. Trasalii al tuo contatto e brucio nel desiderio di entrare nella tua pace. Quando ti sarò unito con tutto me stesso, dolore e travaglio saranno finiti per me (Confess. X, 27).

Il Dottore della Chiesa. Per molto tempo sant’Agostino era rimasto schiavo delle cupidigie e delle passioni del suo cuore e si era lasciato ingannare dall’errore dei Manichei, perciò il rompere i lacci e ritrovare la verità della Chiesa Cattolica gli era costato assai. Finalmente convertito, prese sull’errore una rivincita splendida. Egli era stato preceduto da Dottori celebri quali Clemente Romano, Ireneo, Ilario, Atanasio, Ambrogio, Basilio, Giovanni Crisostomo e tuttavia il suo insegnamento orale e scritto, durato mezzo secolo, ci riempie di ammirazione.

Egli affronta il manicheismo, di cui era stato convinto apostolo, e riduce a nulla la stravagante eresia, che, per spiegare l’esistenza del male, aveva pensato di divinizzarlo e di opporlo al Dio buono. In questa lotta però Agostino rivela un’anima piena di mansuetudine per coloro dei quali per tanto tempo ha condiviso l’inganno: «Siano duri con voi quelli che non sanno quanto è raro e quanto costa sormontare con serenità d’animo i fantasmi dei sensi. Siano duri quelli che non sanno con quale pena guarisce l’occhio dell’uomo interiore, per fissare il sole, il sole di giustizia; quelli che non sanno con quali sospiri e gemiti si arriva in qualche modo a veder Dio. Siano duri infine quelli che non hanno mai conosciuto seduzione pari a quella che vi inganna… Io, che, sballottato fra le vane immaginazioni che il mio spirito cercava, ho condiviso la vostra miseria e così a lungo ho pianto, non saprei in alcun modo essere duro con voi» (Contro la lettera di Manicheo detta dei fondamenti, 2-3).

Per lui è cosa più gradita far conoscere agli uomini il loro ultimo fine e l’unico modo di raggiungere la felicità con questa celebre preghiera: «Ci hai fatti per te, o mio Dio, e il nostro cuore non ha riposo fino a quando non riposa in te!», per ricordare che si tenta invano di raggiungere il cielo, senza la sottomissione e l’obbedienza dovuta alla Chiesa cattolica, che sola è divinamente istituita per dare alle anime la luce e la forza. Egli stesso voleva restare sottomesso alla Chiesa docente, persuaso che in tale sottomissione non correva il pericolo di allontanarsi minimamente dalla vera dottrina. Amava particolarmente difendere la natura della grazia cui si sentiva tanto debitore. La sua preghiera prediletta: «Signore, dà quello che comandi e comanda ciò che vuoi», offendeva l’orgoglio del monaco Pelagio per il quale la natura, sempre capace di fare il bene, bastava sempre a se stessa, in ordine alla salvezza, perché non guastata dal peccato originale. Egli fece della grazia uno studio così profondo e così felice che meritò di essere chiamato Dottore della grazia e gli scrittori cattolici, che devono trattare questa grave questione, lo consultano per essere, col suo insegnamento e quello della Chiesa, immuni da errore.

L’insegnamento della sua vita. Ma in altro modo Agostino insegnava ai fedeli: con a sua vita di virtù. Possidio, il primo suo biografo, afferma che «coloro che lo videro e lo ascoltarono mentre predicava nella chiesa o poterono godere della sua conversazione ne ebbero molto profitto. Non era soltanto un dotto nelle cose che riguardano il regno dei cieli, ma uno di quelli dei quali il Salvatore dice: Colui che così farà e insegnerà agli uomini sarà chiamato grande nel regno dei cieli. Cercò con ardore la virtù più nobile, la carità, e la coltivò con tanta costanza che lo si rappresenta con un cuore di fuoco in mano; talora l’anima sua, come ci racconta egli stesso, nel celebre racconto dell’estasi di Ostia, se ne andava furtivamente a Dio. Meditava continuamente la vita di Cristo e si sforzava di riprodurre in sé il divino modello, rendendo amore per amore, come egli stesso consigliava alle vergini: «Sia fisso nel vostro cuore, lui, che per voi fu affisso alla croce».

Le prove. Non potevano mancare all’anima grande dolori e sofferenze. Non pensiamolo meditante a suo piacere, intento a scrivere, nella pace di un’umile casa episcopale, scelta apposta dalla Provvidenza, le opere preziose delle quali il mondo oggi ancora raccoglie i frutti. In terra non c’è fecondità senza sofferenza, sofferenze pubbliche, angosce private, prove note agli uomini o a Dio solo. Quando, leggendo gli scritti dei Santi, germogliano in noi pii pensieri e risoluzioni generose, non dobbiamo limitarci a un certo tributo di ammirazione per il genio dei loro autori, come facciamo per i libri profani, ma pensare al prezzo che, senza dubbio, essi hanno pagato, per il soprannaturale bene che producono in ciascuna delle nostre anime. Prima che Agostino giungesse a Ippona, i Donatisti erano in tale preponderanza che ne abusavano, lo dice egli stesso, fino al punto di proibire che si cuocesse il pane per i cattolici, (Contro le lettere di Petiliano, II, 184). Quando il Santo morì c’era un altro stato di cose, ma era stato necessario che il pastore, ponendo prima di tutti gli altri doveri quello di salvare le anime a lui affidate, anche loro malgrado, sacrificasse e giorni e notti a questo intento e corresse più di una volta il felice rischio del martirio, (Possidio. Vita di Agostino, 13). Il capo degli scismatici, temendo la forza delle sue ragioni più ancora della sua eloquenza, rifiutava ogni incontro con lui e dichiarava che mettere a morte Agostino sarebbe stata opera lodevole, che avrebbe meritato a chi avesse osato farlo il perdono di qualsiasi peccato (ibid. 10).

All’inizio del suo ministero egli esclamava: «Pregate per noi, pregate per noi, che viviamo in modo rischioso, fra i denti di lupi furiosi: pecore sbandate, pecore ostinate, che si offendono, perché noi le cerchiamo, come se il loro sbandamento facesse sì che esse non siano nostre» (Discorso XLVI, 14).

Il suo zelo. Quale bontà e quale devozione mostrava per il suo gregge fedele! È bello vederlo in mezzo al popolo parlare con familiarità, lasciarsi quasi aggredire e restarne preda. La sua porta sempre aperta accoglie ogni richiesta, ogni dolore, ogni litigio. Qualche volta di fronte alle insistenze di altre chiese e di concili, che reclamano da lui lavori o consigli, interviene un accordo tra Agostino e i visitatori ma il patto dura poco, perché i piccoli, gli umili sanno che non saranno congedati e che il suo cuore e la sua vita appartengono a loro.

Bisognerebbe poter leggere tutte le sue opere, il racconto delle «Confessioni», i discorsi e le Omelie per conoscerne l’anima eccezionale.

Pio XI terminando l’Enciclica in lode di lui dice che «la sua vita, i suoi meriti, il suo genio penetrante, la ricchezza e la profondità della scienza, la sublime santità, la lotta che condusse per difendere la verità cattolica fanno sì che pochi o nessuno possa essere paragonato a lui dall’inizio del mondo a oggi».

La grandezza dei Santi non somiglia a quella dei potenti del mondo: questi ci incutono timore, quelli ci attirano e ispirano confidenza. La sublimità del loro genio, la santità della vita, il rigore delle penitenze, l’ardore della carità non ci scoraggiano. Noi sappiamo dal dogma della Comunione dei Santi che essi ci sono fratelli e vicinissimi al Signore, gli somigliano, partecipano della sua tenerezza, della sua benignità, della sua misericordia. Ci hanno lasciato i loro esempi e i loro insegnamenti e ora offrono le loro preghiere e i loro meriti, perché noi, almeno da lontano, li seguiamo sulla strada che conduce a Dio. Ci sia possibile affezionarci per sempre a questo Dio che Agostino lamentava «di aver conosciuto e amato troppo tardi».

Vita. Agostino nacque a Tagaste nella Numidia il 13 novembre del 354 da padre pagano e da madre cristiana, santa Monica. Di intelligenza brillante, studiò a Cartagine, a Roma e a Milano, dove poi insegnò retorica. La sua giovinezza conobbe il disordine dei sensi e cadde nell’eresia manichea, ma toccato dalla grazia, che gli ottennero le preghiere e le lacrime della madre santa Monica, illuminato dai consigli e dagli insegnamenti di Sant’Ambrogio, si convertì e ricevette il battesimo il 25 aprile del 387. Rientrò poco dopo in Africa per condurvi, con numerosi discepoli, una vita monastica fatta di preghiera e di studio. Ordinato sacerdote, nel 391, per la scienza, l’eloquenza e la santità fu designato a succedere a Valerio, vescovo di Ippona. Per circa quarantanni si dedicò all’istruzione del suo popolo e alla composizione delle sue innumerevoli opere. Mori nel 430, mentre i Vandali assediavano la sua città.

Preghiera.

Finalmente, dopo dodici secoli, la Croce è riapparsa nell’Africa che ci era cara per tante Chiese fiorenti, delle quali è scomparso anche il nome. Possa la restituita libertà assicurare alla Chiesa il completo trionfo sul Corano! Possa la nazione, che oggi protegge il tuo suolo natale, essere fiera di questo onore e comprendere i doveri che ne derivano!

Tuttavia la tua azione non si era, nella lunga notte, rallentata, e nel mondo intero le tue opere immortali rischiarano le intelligenze ed eccitano all’amore. Nelle basiliche alle quali attendono i tuoi figli imitatori, splendore di culto e perfezione di sante melodie conservano nel cuore dei popoli il soprannaturale entusiasmo che si impadronì del tuo quando, per la prima volta nell’Occidente, sotto la direzione di Ambrogio, esplose il canto alternato dei salmi liturgici (Confess. V, 16). In tutti i tempi la vita di perfezione si compiacque di rinnovare all’acqua della tua fonte (Prov. 5, 16) quella multiforme giovinezza richiesta dal duplice precetto della carità.

Illumina sempre la Chiesa col tuo mirabile fulgore, benedici le molteplici famiglie religiose, che ti vogliono patrono, aiuta noi tutti, ottenendoci lo spirito di amore e di penitenza, di confidenza e di umiltà, che tanto si ad dicono all’anima redenta; fa’ che conosciamo la debolezza della natura e la sua indegnità dopo la caduta, ma anche la bontà senza limiti di Dio, la sovrabbondanza della redenzione, l’onnipotenza della grazia. Possiamo noi tutti conoscere con te non solo la verità, ma dire lealmente e semplicemente a Dio: «Ci hai fatti per Te e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in Te» (Confess. 1,1).

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959

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