Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

19 luglio

San Vincenzo de’ Paoli
San Vincenzo de’ Paoli
O.D.M. pinxit

San Vincenzo de’ Paoli
Sacerdote, Fondatore dei Lazzaristi
(1581-1660)

Le disgrazie della Chiesa e della Francia. Vincenzo fu l’uomo della fede che opera mediante la carità (Gal. 5, 6). Venuto al mondo sulla fine del secolo in cui nacque Calvino, trovava la Chiesa in lutto per le molte nazioni che l’errore aveva di recente distaccate dalla cattolicità. Su tutte le coste del Mediterraneo, i Turchi, eterni nemici del nome cristiano, raddoppiavano le loro scorrerie. La Francia esaurita da quarantanni di guerre religiose, sfuggiva al dominio dell’eresia nell’interno ma vi prestava subito man forte all’esterno. Sulle sue frontiere dell’Est e del Nord, terribili devastazioni seminavano la rovina, e arrivavano perfino alle province dell’Ovest e del Centro favorendo lotte intestine foriere d’anarchia. Più pietoso di qualunque situazione materiale era in tale confusione lo stato della anime. Soltanto le città conservavano ancora, con un residuo pericolante di tranquillità, qualche possibilità di pregare Dio. Il popolo delle campagne, dimenticato, sacrificato, esposto alla mercé di tutti i flagelli, non aveva, per risollevarlo in tante miserie, se non un clero il più delle volte abbandonato al pari di esso dai suoi capi, indegno della maggior parte dei luoghi, e che rivaleggiava quasi sempre con lui per l’ignoranza.

La fede che guarisce mediante la Carità. Fu allora che, per scongiurare tanti mali, lo Spirito Santo suscitò Vincenzo in una grande semplicità di fede, unico fondamento di una carità che il mondo, ignaro del compito della fede, non potrebbe comprendere. Il mondo ammira le opere che riempirono la vita dell’antico mandriano di Buglose; ma gli sfuggono le segrete risorse di quella vita. Anche là ove vorrebbe ripetere tali opere, conta più sulla giustizia che sull’amore. La solidarietà che propugna, per quanto anch’essa discenda da Dio, checché se ne dica, non è che una pallida e spesso inefficace immagine della carità. Costringe piuttosto che unire. Socialismo senza fede o comunismo ateo non giungeranno mai a soppiantare la fede cristiana né le opere della carità, le uniche capaci di rispondere pienamente a tutti i bisogni dell’umanità sofferente. Solo la fede, infatti, conosce il mistero della sofferenza, essa sola può scrutare quelle sacre profondità di cui il Figlio di Dio ha percorso gli abissi, essa sola ancora, associando l’uomo ai consigli dell’Altissimo, lo associa insieme alla sua forza e al suo amore. Di qui derivano alle opere benefiche che procedono dalla fede la potenza e la durata.

L’amore dei poveri. Vincenzo amò i poveri d’un amore di predilezione, poiché amava Dio e la fede gli rivelava in essi il Signore. «O Dio – diceva – quanto è bello vedere i poveri, se li consideriamo in Dio e nella stima che ne ha fatta Gesù Cristo! Molto spesso essi non hanno, si può dire, né l’apparenza né lo spirito di persone ragionevoli, tanto sono grossolani e terreni. Ma voltate la medaglia, e vedrete, con i lumi della fede, che da quei poveri ci viene rappresentato il Figlio di Dio, che ha voluto essere povero; che egli non aveva quasi più la figura di uomo nella sua passione, e che passava per folle secondo il parere dei Gentili, e per pietra di scandalo secondo quello dei Giudei; e con tutto ciò egli si dichiara l’Evangelizzatore dei poveri, evangelizare pauperibus misit me» (Lc. 4, 18).

Questo appellativo di evangelizzatore dei poveri è l’unico che Vincenzo desiderò per sé, il punto di partenza, la spiegazione di tutto ciò che egli compì nella Chiesa. Assicurare il cielo agli infelici, operare per la salvezza dei derelitti di questo mondo, cominciando dalla povera gente dei campi così abbandonata: tutto il resto per lui – dichiarava – «era affatto superfluo». E aggiungeva, parlando ai suoi figli di San Lazzaro: «non avremmo mai potuto attendere agli ordinandi né ai seminari degli ecclesiastici, se non avessimo ritenuto che era necessario, per conservare i popoli in buono stato, e conservare i frutti delle missioni, fare in modo che vi fossero dei buoni ecclesiastici in mezzo a loro». È appunto per dargli modo di consolidare la sua opera in tutti i gradi, che Dio guidò l’apostolo degli umili al regale consiglio di coscienza dove Anna d’Austria gli affidava il compito di estirpare gli abusi dell’alto clero e di scegliere i capi delle Chiese di Francia. Per mettere fine ai mali causati dall’abbandono così funesto dei popoli, occorrevano alla guida del gregge pastori che intendessero raccogliere per sé le parole del divino Capo: io conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me» (Gv. 10, 14).

Alla conquista delle anime. Non ci sarebbe possibile, come è facile comprendere, narrare in queste pagine la storia dell’uomo nel quale fu come personificata la carità più universale. Ma del resto, egli non ebbe altra ispirazione se non quella dell’apostolato nelle immortali battaglie in cui, dal bagno penale di Tunisi dove fu schiavo fino alle province devastate per le quali trovò addirittura i milioni, lo si vide applicarsi a tutte le manifestazioni della sofferenza fisica, e far indietreggiare su tutti I punti la miseria; egli voleva, mediante le cure date ai corpi, arrivare a conquistare l’anima di quelli per i quali Cristo ha voluto abbracciare l’amarezza e l’angoscia.

Umiltà. Vincenzo cercava, secondo la sua espressione, di fiancheggiare la Provvidenza, non avendo altra maggiore preoccupazione di quella di non precederla mai. Così ci vollero sette anni per fargli accettare le proposte della Generale de Gondi e fondare l’istituto della Missione. Così egli provò a lungo la sua fedele collaboratrice. Mademoiselle Le Gras, quando questa si credette chiamata a dedicarsi al servizio spirituale delle prime Figlie della Carità. Quale sublime lezione data allo zelo esaltato di un secolo come il nostro da quest’uomo la cui vita fu così piena! Quante volte, in ciò che si chiamano oggi le opere, la presunzione umana rende sterile la grazia offendendo lo Spirito Santo, mentre, «povero verme che striscia sulla terra e non sa dove vada, che cerca solo di nascondersi in te, o mio Dio, che sei tutto il mio desiderio», Vincenzo de’Paoli vede l’apparente inerzia della sua umiltà resa più feconda dall’iniziativa di tanti altri, senza che per così dire egli ne abbia coscienza.

Coraggio e fiducia. Ma quanto più la sua impareggiabile delicatezza riguardo a Dio gli faceva sentire il dovere di non prevenirlo mai, come fa uno strumento per la mano che lo sorregge, tanto più, una volta dato l’impulso divino, egli non poteva tollerare che si esitasse a seguirlo, o che vi fosse posto nell’anima per un sentimento diverso da quello della più assoluta fiducia. Egli scriveva ancora, con la sua semplicità piena di fascino, alla cooperatrice che Dio gli aveva data: «Ti vedo sempre un poco nei sentimenti umani, quando pensi che tutto è perduto dal momento che mi vedi malato. O donna di poca fede, perché non hai una maggiore fiducia e condiscendenza secondo l’agire e l’esempio di Gesù Cristo? Questo Salvatore del mondo si rimetteva a Dio Padre per lo stato di tutta la Chiesa; e tu, per una piccolo schiera di figlie che la Provvidenza ha suscitate e radunate, pensi che egli ti mancherà! Suvvia, umiliati molto davanti a Dio».

La vera fede. È da stupire che la fede, unica ispiratrice di una simile vita, incrollabile fondamento di ciò che egli era per il prossimo e per se stesso, fosse agli occhi di Vincenzo il primo dei tesori? Proprio lui, che nessuna sofferenza, anche meritata, lasciava indifferente, diventava spietato di fronte all’eresia, e non aveva pace finché non avesse ottenuto il bando dei settari o la loro punizione. È la testimonianza che gli rende nella Bolla di canonizzazione Clemente XII, parlando del funesto errore del giansenismo che il nostro santo denunciò tra i primi e che combatté più di chiunque altro. Forse mai come in quello scontro si verifico il detto dei Libri santi: la semplicità dei giusti li guiderà con sicurezza, e Vastuzia dei perversi sarà la loro rovina (Prov. II, 3). La setta che più tardi ostentava uno sdegno così profondo per Monsieur Vincent non era stata sempre dello stesso parere. «Io sono – dichiarava nell’intimità – tenuto in particolar modo a benedire Dio e ringraziarlo per non aver permesso che i primi e i più considerevoli tra quelli che professano tale dottrina, che io ho conosciuti in modo speciale e che erano miei amici, abbiano potuto convincermi circa i loro sentimenti. Non potrei esprimerti la pena che essi ne hanno provata, e i motivi che mi hanno messo innanzi per questo; ma io opponevo loro fra l’altro l’autorità del concilio di Trento, che è loro manifestamente contrario; e vedendo che persistevano sempre invece di rispondere recitavo sottovoce il mio Credo: ed ecco come sono rimasto fermo nella fede cattolica».

Vita. Vincenzo nacque da genitori poveri, a Pouy, nelle Lande, il 24 aprile 1581. Durante l’infanzia fece la guardia ai greggi, ma la sua spiccata intelligenza decise il padre a mandarlo presso i frati francescani di Dax per compiervi gli studi. Di qui, raggiunse Tolosa per acquistarvi il grado di dottore, e nel 1600 diventa sacerdote. Dopo essere stato prigioniero a Tunisi, nel 1610 viene assunto nel corpo degli elemosinieri di Margherita di Valois. Accusato di furto, tace, e questo eroico silenzio costituisce per lui un punto di partenza verso la santità (1611). È per qualche tempo curato di Clichy, quindi a Chatillon in Dombes; ma la sua vita si svolge quasi tutta al servizio della potente famiglia dei Gondi. Evangelizza le 8000 anime che vivono sulle loro terre e calcola l’estensione delle rovine e delle miserie prodotte dalle guerre civili ed esterne. Predica, consola, riconduce a Dio, fonda opere di assistenza, si occupa dei carcerati e dei galeotti, insegna ai ricchi a essere caritatevoli, riforma il clero. La regina, e quindi il re, pieni di ammirazione per lui, assecondano come possono i suoi sforzi. Nel 1625 raduna nel collegio dei «Buoni Figli» a Parigi i primi compagni d’una nuova congregazione: la «Missione», i futuri «Lazzaristi», le cui Costituzioni saranno scritte nel 1642. Nel 1629 santa Luisa di Marillac lo aiuta nello sviluppo delle «Carità» dove pie dame si dedicano ai poveri, ai malati, ai bimbi abbandonati: è l’inizio dell’istituto delle «Figlie della Carità» o «Suore di San Vincenzo de’Paoli». Questi due istituti avranno un così rapido sviluppo che non tarderanno a difendersi in tutta l’Europa e nei paesi di missione. Esausto dalle fatiche, san Vincenzo mori il 27 settembre 1660. Fu beatificato nel 1729, canonizzato nel 1737, e Leone XIII nel 1883 lo dichiarò Patrono di tutte le opere di carità.

Lode.

Quale messe, o Vincenzo, tu porti con te in cielo (Sal. 125, 6)! Quali benedizioni ti accompagnano mentre sali da questa terra alla vera patria (Prov. 22, 9; Ecc. 31, 23)! Oh, il più semplice degli uomini che vi furono in un secolo tanto celebrato per le sue grandezze, tu sorpassi ora tutte le rinomanze il cui splendore affascinava i tuoi contemporanei. La vera gloria di quel secolo, l’unica che rimarrà di esso quando il tempo non sarà più (Apoc. 10, 6), è quella di aver avuto nella sua prima parte santi di simile potenza di fede e d’amore, che arrestarono i trioni di Satana, e restituirono al suolo di Francia reso sterile dall’eresia la fecondità dei giorni migliori. Ed ecco che più di due secoli dopo le tue fatiche, la messe che non è mai cessata continua attraverso le cure dei tuoi figli e delle tue figlie, affiancati da nuovi ausiliari che ti riconoscono come loro ispiratore e loro padre. In quel regno dei cieli che non conosce più la sofferenza e le lacrime (ibid. 21, 4), ogni giorno che sorge vede salire a te il ringraziamento di coloro che soffrono e che piangono.

Preghiera per i poveri.

Riconosci mediante nuovi benefici la fiducia che essi hanno in te. Non vi è nome che imponga al pari del tuo rispetto della Chiesa in questi tempi di bestemmia. Che la tua instancabile intercessione ci ottenga di vedere il ritorno a Cristo di quelle immense popolazioni operaie e contadine che soffrono per prime l’infelicità dei tempi, e che falsi profeti mantengono nell’illusione di un prossimo paradiso terrestre. Che i diseredati di questo mondo imparino, guidati dai tuoi figli e dalle tue figlie, a ritrovare la via della Chiesa, la via che conduce al Padre di ogni consolazione, alla beatitudine eterna. Ricorda anche ai ricchi, ai potenti, agli uomini di Stato e ai sovrani, che essi sono responsabili della sorte temporale ed eterna degli infelici, che sono tenuti a studiare la questione sociale alla luce degli insegnamenti del Vangelo, onde risolverla secondo giustizia e carità.

Preghiera per le Suore di Carità.

Eleva le tue figlie all’altezza delle dolorose circostanze in cui si vorrebbe che la loro dedizione rinnegasse la sua origine celeste o dissimulasse la sua veste divina; se la forza brutale dei nemici del povero strappa dal suo capezzale il segno del la salvezza, non vi sono regolamenti né leggi, potenze di questo mondo o dell’altro, che possano espellere Gesù dall’anima di una Figlia di Carità, o impedirle di passare dal suo cuore alle sue labbra: né la morte, né l’inferno, né il fuoco, né lo straripamento delle grandi acque – dice la Cantica – potrebbero fermarla (Cant. 8, 6-7).

Preghiera per la Missione.

Anche i tuoi figli continuano la tua opera di evangelizzazione e perfino ai tempi nostri il loro apostolato si vede coronato del diadema della santità e del martirio. Tieni acceso il loro zelo; fa’ crescere in essi il tuo spirito di inalterabile dedizione alla Chiesa e di sottomissione al supremo Pastore. Assisti tutte quelle nuove opere di carità che sono nate da te ai giorni nostri e di cui, appunto per questo, Roma ti affida il patrocinio e l’onore; fa’che si alimentino sempre al genuino fuoco che tu hai riacceso sulla terra (Le 12, 49); che cerchino innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia (Mt. 6, 33), non distaccandosi mai, per la scelta dei mezzi, dal principio che tu hai loro dato di «giudicare, parlare e agire come ha giudicato, parlato e agito l’eterna Sapienza di Dio, rivestita della nostra debole carne».

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959