Bouquet spirituale:
5 ottobre
L’antica oblatura benedettina. Tutta la Chiesa si unisce oggi all’Ordine benedettino per festeggiare uno dei primi discepoli del grande Patriarca dei monaci di Occidente: san Placido. San Gregorio Magno racconta come da Roma e da altri luoghi si portassero a san Benedetto dei bambini e si affidassero a lui, perché si occupasse della loro istruzione e li “nutrisse nel servizio di Dio”. I bambini, molto spesso non erano affidati per qualche anno soltanto, ma veramente offerti e dati a Dio in modo definitivo e non potevano più rientrare nel mondo.
Oggi questo costume ci stupisce e con la nostra mentalità del secolo XX lo consideriamo un abuso esorbitante. Ma noi non abbiamo più il concetto della patria potestas, del diritto paterno come era riconosciuto in questi secoli. E non è poi tanto lontano il tempo in cui i genitori decidevano dell’avvenire dei figli, senza consultarli e senza permettere la minima obiezione.
La nostra appartenenza a Dio. “Gli usi antichi bisogna considerarli con animo antico e le abitudini cristiane vanno considerate con animo cristiano. Del resto, per insorgere contro l’offerta dei bambini a Dio, bisognerebbe dimostrare che l’uomo non è sottomesso ad altre leggi, fuorché quelle che ha liberamente accettate.
Noi fummo creati senza aver voluto essere creati, siamo diventati cristiani e siamo stati impegnati alla sequela di Dio senza che sia stato richiesto il nostro parere. Chi riflette, capisce tosto che l’uomo è un essere di cui Dio dispone come gli pare; direttamente o per mezzo di intermediari, ma sempre da padrone.
La libertà. Il turbamento retrospettivo per l’antica oblatura non viene forse da un troppo diffuso disprezzo del vero carattere della libertà? La facoltà di scegliere un male o un minor bene, l’indipendenza della persona di fronte al bene e di fronte al male, l’individualismo gretto e geloso non sono in fondo che una diminuzione della libertà. La vera libertà sta nell’appartenenza profonda, nell’adesione conosciuta e amata al bene e a Dio. Se non ci mettiamo da questo punto di vista, poco comprenderemo della educazione, che ha proprio il fine di creare in noi l’abitudine del bene, prima che sappiamo che cosa il bene sia.
Quando il senatore Tertullo offriva a san Benedetto il suo piccolo Placido non pensava di compiere un atto di tirannia, ma credeva di provvedere alla sicurezza e alla salvezza eterna del figlio ed era convinto che né Dio, né il figlio gli avrebbero un giorno rinfacciata la sua decisione. Di fatto, la maggior parte dei bambini offerti aderiva poi gioiosamente alla professione emessa in loro nome e quelli, che avrebbero invece ripresa volentieri la via del mondo, sono poi molto da compiangere per il fatto di essere stati costretti a dimorare vicino a Dio? Invece di inorridire per gli abusi e le defezioni inevitabili, converrebbe benedire una istituzione, che diede frutti come san Mauro e san Placido, san Beda il Venerabile e santa Gertrude e altri molti. Se noi stessi fossimo stati offerti, non avremmo conosciuto che Dio, non avremmo altri ricordi, fuorché il ricordo di Dio, non avremmo niente da disimparare: Dove sarebbe la disgrazia?” (Dom Delatte, Commento della Regola, p. 468).
Vita. Placido era nato a Roma dalla nobile famiglia degli Anicii e, ancora bambino, fu affidato dal padre Tertullo a san Benedetto, nel monastero di Monte Cassino. Con san Mauro divenne il discepolo preferito e san Gregorio racconta un miracolo di cui fu beneficiato. Era andato a prendere acqua al lago e cadde nell’acqua e fu trascinato dalla corrente. San Benedetto comandò a Mauro di correre in suo soccorso ed egli, in assoluta obbedienza, camminò sull’acque, senza neppure rendersi conto di quello che faceva e riportò a Benedetto il giovane Placido. Gli Atti della sua Vita ci parlano della sua dolcezza, della sua umiltà, della sua contemplazione c della sua austerità. Fu considerato confessore fino alla fine del secolo XI e solo allora comparve la leggenda del suo invio in Sicilia da parte di san Benedetto. Il martirologio cassiniano lo elencò, ma, per logica di cose si riconobbe nel Placido inviato in Sicilia il martire onorato il 5 ottobre. Pietro Diacono, monaco di Cassino del XII secolo diede corpo alla leggenda nella sua Vita Placidi, vita inventata di sana pianta, che ebbe diffusione molto limitata. La Sicilia, l’accettò, ma attesta nei martirologi dei secoli XII e XIII che la tradizione si era sovrapposta a un’altra più antica. L’Ordine Benedettino celebra oggi la festa di san Placido utilizzando il Comune dei Martiri, senza orazioni e lezioni proprie, forse in attesa di unire in una sola festa i primi due discepoli di san Benedetto, Mauro e Placido, che una tradizione secolare già nell’ Alto Medioevo aveva unito nel gruppo dei confessori.
È opportuno non dimenticare nelle preghiere di oggi la schiera imponente di martiri, che la Chiesa ricorda e che soffrirono per la fede nel secolo V.
Preghiera per i novizi.
Dall’alto del cielo in cui ricevi la ricompensa della tua docilità e della tua fedeltà, degnati, o san Placido, di non cessare di interessarti alla diffusione del regno di Cristo sulla terra, allo sviluppo della vita perfetta nella Chiesa, alla diffusione della famiglia monastica della quale tu sei la gloria. In molti luoghi i novizi sono affidati a te per il ricordo della privilegiata formazione da te ricevuta, e tu veglia su coloro, che aspirano alla parte migliore. Si applica a essi soprattutto la parola del Vangelo: Se non diventerete come piccoli bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt. 18, 3), il regno dei cieli, che consiste nel possesso anticipato di Dio quaggiù, per la vita d’unione alla quale conduce la via dei consigli evangelici. Possano essi chiedere agli Angeli la tua umile semplicità, riconoscere la materna sollecitudine della santa Religione per loro con la filiale docilità con cui tu rispondesti alla particolare tenerezza del legislatore dei monaci. Possano essi, nonostante l’opposizione del mondo, crescere in numero e in meriti per la gloria di Dio.
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959