Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

1 agosto

San Pietro in Vincoli
San Pietro in Vincoli
O.D.M. pinxit

San Pietro in Vincoli
(Anno 44)

Catene che liberano. Facendo un Dio dell’uomo che l’aveva asservita, Roma consacrò il mese di agosto alla memoria di Cesare Augusto. Quando Cristo l’ebbe liberata, essa pose come monumento della libertà riconquistata in capo allo stesso mese la festa delle catene che Pietro vicario di Cristo aveva portate per infrangere le sue.

O Divina Sapienza, che regni su questo mese, tu non potevi inaugurare in modo più autentico il tuo impero. Forza e dolcezza insieme sono l’attributo delle tue opere (Sap. 8, 1), e appunto nella debolezza dei tuoi eletti tu vinci i potenti (I Cor. I, 18-31). Tu stessa per darci la vita, avevi accettato la morte; per riscattare la terra a lui affidata, Simone figlio di Giovanni è diventato prigioniero. Dapprima Erode e più tardi Nerone, hanno fatto conoscere quale fosse il prezzo della promessa ch’egli ricevette, un giorno, di legare e di sciogliere sulla terra come in cielo (Mt. 16, 19): doveva in cambio portare l’amore del Pastore supremo fino a lasciarsi al pari di lui (Gv. 18, 12) caricare di catene per il gregge e condurre dove egli non voleva (ibid. 21, 15-18). Catene gloriose, che non farete mai tremare nemmeno i successori di Pietro, voi sarete di fronte agli Erodi, ai Neroni e ai Cesari di tutti i tempi la garanzia della libertà delle anime. Di quale venerazione dunque vi onora il popolo cristiano!

Le catene degli Apostoli Pietro e Paolo. Gli anelli che avevano stretto il braccio del Dottore delle genti, furono anch’essi raccolti dopo il suo martirio. Da Antiochia, san Giovanni Crisostomo, che desiderava andare a Roma per venerarli, esclamava: «Che vi è di più magnifico di quelle catene? Prigioniero per Cristo è un nome più bello che apostolo, evangelista o dottore. Essere legati per Cristo è meglio che abitare i cieli: sedere sui dodici troni (Mt. 19, 28) è un onore meno sublime. Chi ama mi comprende, ma chi mai penetrò queste cose come il santissimo coro degli Apostoli? Per parte mia, se mi si desse da scegliere fra quei ferri e tutto il cielo, non esiterei; poiché in essi sta la felicità. Io vorrei ora trovarmi nei luoghi dove si dice che sono ancora custodite le catene di quegli uomini meravigliosi. Se mi fosse dato di essere libero dalle cure di questa chiesa, di avere un po’ di salute, non indugerei a intraprendere questo viaggio per vedere solo la catena di Paolo. Se mi si dicesse: Che cosa preferisci essere: l’Angelo che liberò Pietro o Pietro incatenato? io preferirei essere Pietro, a motivo delle sue catene» (VIII Omelia sull’Epistola agli Efesini).

Pur sempre venerate nell’augusta basilica che custodisce la sua tomba, la catena di Paolo non è divenuta tuttavia come quelle di Pietro oggetto d’una festa speciale nella Chiesa. Questa distinzione era dovuta alla preminenza di colui che fu il solo a ricevere le Chiavi del Regno dei cieli e che è il solo a continuare attraverso i suoi successori a legare e a sciogliere sovranamente. La raccolta delle lettere di san Gregorio Magno testimonia come, nel secolo vi, fosse universalmente diffuso il culto delle sante catene, alcune particelle delle quali, racchiuse in chiavi d’argento o d’oro, formavano il più ricco dono che i Sommi Pontefici avessero l’usanza di offrire alle chiese illustri e ai principi che essi volevano onorare. Costantinopoli, in un’epoca piuttosto incerta, fu anch’essa dotata di qualche porzione di quei preziosi legami; ne fissò la festa al 16 gennaio, esaltando in quella circostanza nell’Apostolo Pietro il detentore della prima Sede, il fondamento della fede, la base incrollabile dei dogmi (Menei).

La gloriosa prigionia.

«Metti i tuoi piedi nei ceppi della Sapienza, e il tuo collo nelle sue catene – diceva profeticamente lo Spirito durante l’antica alleanza; – non avere in uggia i suoi legami: perché alla fine troverai in lei il riposo, ed essa diventerà il tuo diletto, e i suoi ceppi saranno tua valida protezione e base di virtù, la sua catena una veste di gloria, e i suoi legami la salvezza» (Eccli. 6, 25-32). E la Sapienza incarnata, applicandoti essa stessa l’oracolo, o Principe degli Apostoli, annunciava che in testimonianza del tuo amore sarebbe venuto il giorno in cui avresti realmente conosciuto la costrizione e le catene (Gv. 21, 18). La prova, o Pietro, fu convincente per quella Sapienza eterna che proporziona le sue esigenze alla misura del proprio amore (Eccli. 4, 17-22). Ma anche tu l’hai trovata fedele: nei giorni della terribile battaglia in cui volle mostrare la sua potenza nella tua debolezza, essa non ti abbandonò nei ceppi (Sap. 10, 12-14); appunto sulle sue braccia tu dormivi di un sonno così tranquillo nella prigione di Erode (Atti 12, 6); discesa con te nella/ossa di Nerone (Sap. 10, 13) ti tenne fedele compagnia fino all’ora in cui, soggiogando all’oppresso gli stessi persecutori, pose nelle tue mani lo scettro e sulla tua fronte la triplice corona.

Preghiera per la liberazione.

Dal trono su cui siedi con l’Uomo-Dio nei cieli (Apoc. 3, 21), come l’hai seguito quaggiù nella prova e nell’angoscia (Lc. 22, 28), sciogli le nostre catene che purtroppo non hanno nulla che le avvicini alla gloria delle tue: spezza i ferri del peccato che ci riportano sempre a Satana, gli attacchi di tutte le passioni che ci impediscono di trovare il nostro sbocco in Dio. Il mondo, più che mai schiavo nell’ingorgo delle sue false libertà che gli fanno dimenticare l’unica vera libertà, ha più bisogno di riscatto che non al tempo dei Cesari pagani: tu che solo puoi esserlo, sii una volta ancora il suo liberatore. Che soprattutto Roma, caduta più in basso perché è stata precipitata da un’altezza maggiore, provi nuovamente la virtù di emancipazione che risiede nelle tue catene; esse sono diventate per i suoi fedeli un segno di unione nelle ultime prove; fa’ che si realizzino le parole dette un tempo dai suoi poeti, che «stretta da quelle catene essa sarebbe stata sempre libera».

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959

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