Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

19 ottobre

San Pietro d’Alcantara
San Pietro d’Alcantara

San Pietro d’Alcantara
Confessore, Sacerdote Franciscano
(1496-1562)

La beata penitenza. “O felice penitenza, che mi ha meritata tanta gloria!” Così si esprimeva il santo di oggi in procinto di salire al cielo, mentre santa Teresa di Gesù in terra faceva eco: “Quale perfetto imitatore di Gesù Cristo ci ha rapito Iddio, chiamando alla gloria questo religioso benedetto, Fratel Pietro d’Alcantara! Si dice che il mondo non è più capace di tanta perfezione, che le anime sono più deboli, che non siamo ai tempi di una volta, ma questo santo era del nostro tempo e il suo maschio fervore non ha nulla da invidiare a quello di altri tempi e non manca in lui un totale disprezzo delle cose della terra. Senza andare a piedi nudi come lui, senza fare penitenze così aspre, in mille modi possiamo praticare il disprezzo del mondo e il Signore ce li fa conoscere, se in noi c’è del coraggio. Come dovette essere grande il coraggio del santo del quale io parlo, se resistette quarantasette anni nella penitenza austera che ora è nota a tutti!

Penitenza di san Pietro. Più di tutte le mortificazioni, da principio gli costò vincere il sonno e a questo scopo restava sempre in ginocchio o in piedi. Lo scarso riposo concesso alla natura lo prendeva seduto, con la testa appoggiata a un pezzo di legno infisso nel muro e, se avesse voluto coricarsi non l’avrebbe potuto, perché la sua cella era lunga soltanto quattro piedi e mezzo. Per tutti quegli anni non si coprì mai col cappuccio, per quanto ardente fosse il sole o per quanto forte piovesse; non usò mai calzature e non portò che un abito di stoffa grossolana, senza sottovesti. Ho saputo però che egli per vent’anni ha portato un cilicio di filo di ferro bianco senza deporlo mai. L’abito era più stretto possibile e sopra di esso portava un mantello della stessa stoffa, ma nei tempi più freddi lo deponeva e lasciava per qualche tempo aperte porta e finestra della sua cella, che chiudeva quando, riprendendo il mantello, ci diceva che quello era il modo di scaldarsi e di procurare al corpo una migliore temperatura. Spesso non mangiava che ogni tre o quattro giorni e, mostrandomene io sorpresa, mi disse che era cosa facile per chi vi si era abituato. La sua povertà era estrema e la sua mortificazione tale che mi confidò di aver passato tre anni della sua giovinezza in una casa dell’Ordine senza conoscere alcuno dei religiosi, fuorché al suono della voce, perché non aveva mai alzati gli occhi; onde non avrebbe mai saputo portarsi dove la regola chiamava, se non avesse seguito gli altri. Altrettanta modestia aveva per la strada e quando lo conobbi il suo corpo era così estenuato che pareva fatto di radici d’albero” (Santa Teresa. Vita, c. xvii, xxx).

“Se non farete penitenza…”. Tanta austerità, che l’illustre fondatrice del Carmelo pare trovare naturale ed essere dolente di non praticar in eguale misura, forse ci scoraggerebbe, e ripetiamo per questo che i Santi sono tutti ammirabili, ma non tutti imitabili. Ripetiamo ancora, con i contemporanei di santa Teresa, che il mondo non è più capace di tanta perfezione e che gli organismi sono indeboliti, per poterla pretendere. E tuttavia il Vangelo, che è eterno e dà consigli sempre attuali, insiste: “Se non farete penitenza, perirete tutti!”. Facendo eco al suo divino Figliolo, la Madonna in tutti i messaggi e soprattutto da un secolo in qua si compiace di ridire le stesse parole: “Penitenza, penitenza, penitenza!”.

La penitenza richiesta a noi. Bernardetta a Lourdes e poi i piccoli veggenti di Fatima hanno trasmesso il messaggio celeste e questi ultimi lo hanno anche spiegato recentemente. Non è senza interesse conoscere che cosa voglia da noi il Signore per perdonarci e per allontanare dal mondo i castighi anche troppo meritati da peccati numerosi e gravi:

“Il Buon Dio desidera molto il ritorno alla pace, ma soffre vedendo un numero così piccolo di anime in grazia e disposte a rinunciare a tutto, per aderire alla sua legge. Quello che Dio esige è la penitenza, il sacrificio che ciascuno deve imporsi, per vivere secondo la sua legge.

La mortificazione che egli chiede consiste nell’adempimento dei quotidiani doveri e nell’accettazione delle tribolazioni e delle sofferenze. Desidera che alle anime sia rivelata chiaramente questa strada, perché molti pensano che penitenza voglia dire ‘grandi austerità’ e, non avendo né forza né coraggio per affrontarle, cadono scoraggiate nella indifferenza e nel peccato.

Nostro Signore dice: Il sacrificio di ciascuno è il compimento del proprio dovere e l’osservanza della mia legge: ecco la penitenza che oggi io chiedo”.

Praticare questa penitenza sarà per noi imitare i santi, anche i più austeri, sapendo con sicurezza che rispondiamo ai desideri di Cristo e della sua santa Madre a riguardo di ciascuno di noi.

Vita. Pietro Garavito nacque nel 1499 ad Alcantara, in Spagna. A 16 anni entrò nell’Ordine dei Frati Minori e, compiuti gli studi, fu incaricato della predicazione. Lo zelo ardente gli meritò di poter convertire numerosi peccatori, ma volendo riportare l’Ordine al fervore primitivo, ne ottenne il permesso dalla Santa Sede e fondò il convento di Pedroso, che fu poi seguito da numerose fondazioni in Spagna e anche nelle Indie. Praticava un’austerità estrema, ma aveva in compenso grazie di contemplazione altissima e Dio rivelò a santa Teresa che avrebbe esaudita qualsiasi preghiera fatta in nome di Pietro d’Alcantara. Godeva del dono della profezia e del discernimento degli spiriti. Morì il 18 ottobre 1562, confortato dalla visione del Signore, della Madonna e dei Santi. Beatificato da Papa Gregorio XV il 18 aprile 1632, fu canonizzato il 4 maggio 1669 da Clemente IX.

La ricompensa. “Ecco il termine della vita austera: una eternità gloriosa!” (Santa Teresa, Vita, c.xxvii). Come furono soavi le ultime parole sgorgate dalle tue labbra moribonde: Mi sono rallegrato in quello che mi fu detto: Andremo nella casa del Signore (Sal. 121, 1). Non era l’ora della ricompensa per il corpo cui nella vita non hai dato tregua per riserbargli la vita futura, ma già la luce e i profumi dell’oltretomba dei quali l’anima, abbandonandolo, lo lasciava investito, mostravano a tutti che l’impegno fedelmente mantenuto nella prima parte, lo sarà anche nella seconda. Mentre il corpo dei peccatori, destinato da false delizie a spaventevoli tormenti, ruggirà senza fine contro l’anima che l’ha portato alla rovina, le tue membra, raggiungendo nella felicità l’anima beata e completandone la gloria e lo splendore, diranno nei secoli eterni come la tua apparente durezza fu per esse saggezza e amore.

La lotta. Sarà necessario attendere la risurrezione per conoscere in questo mondo che la parte da te scelta è senza dubbio la migliore? Chi oserebbe confrontare i piaceri illeciti, non solo, ma le gioie permesse in terra con le sante delizie che la divina contemplazione riserba anche in questo mondo per chiunque si ponga in grado di gustarle? Se esse costano la mortificazione della carne, ciò avviene perché in questo mondo carne e spirito sono in lotta, ma la lotta ha le sue attrattive per le anime generose e la carne stessa, onorata dalla lotta, sfugge per essa a mille pericoli.

Preghiera per la Chiesa e per lo stato religioso.

Tu, che, secondo la parola del Signore, non puoi essere invocato invano, se ti degni di presentare a Lui le nostre preghiere, ottenici la soddisfazione del cielo, che ci allontana dai desideri terreni. Noi con la Chiesa rivolgiamo in tuo nome questa domanda i Dio, che rese ammirabile la tua penitenza e sublime la tua contemplazione (Colletta della festa). La grande famiglia dei Frati Minori custodisce prezioso il tesoro dei tuoi esempi e dei tuoi insegnamenti, per l’onore del tuo Padre san Francesco e per il bene della Chiesa conservala nell’amore delle austere tradizioni. Conserva al Carmelo di Teresa di Gesù la tua preziosa protezione ed estendila, nelle prove dei nostri tempi, a tutto lo stato religioso.

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959