Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

22 giugno

San Paolino di Nola
San Paolino di Nola

San Paolino di Nola
Vescovo e Confessore
(354-431)

Felice e Paolino. Nei giorni consacrati all’infanzia del Salvatore, Felice da Nola era venuto ad allietare i nostri occhi con lo spettacolo della sua santità vittoriosa e così umile, che ci rivela, sotto uno dei suoi aspetti più soavi, la potenza dell’Emmanuele. Illuminato da tutti i fuochi della Pentecoste, Paolino sorge a sua volta dalla stessa città di Nola facendo omaggio della sua gloria a colui del quale costituì la conquista.

Senatore e Console. Erede d’una immensa fortuna, a venticinque anni prefetto di Roma, senatore e console, Paolino era lungi dal pensare che potesse esservi una carriera più onorata per lui, più vantaggiosa per il mondo, di quella in cui lo ponevano così le tradizioni della sua illustre famiglia. E certo allora, agli occhi dei sapienti di quel secolo, la sua era – se mai ve ne furono – una vita integra, circondata dalle più nobili amicizie, sostenuta dalla meritata stima dei piccoli e dei grandi, e che trovava la sua soddisfazione in quel culto delle lettere che, fin dagli anni dell’adolescenza, aveva fatto di lui la gloria della splendida Aquitania, dove Bordeaux gli diede la luce. Quanti, che non ne erano meritevoli, sono ancor oggi proposti come modelli d’una vita laboriosa e feconda?

La conversione. Un giorno, tuttavia, ecco che quelle esistenze che sembrano così colme non offrono più a Paolino se non lo spettacolo di uomini « che si aggirano in mezzo a giorni vuoti e, come trama della loro vita, tessono con opere vane una tela di ragno » (San Paolino, Lettera XXXVI, 3 ad Amando)! Che cosa è dunque accaduto? Un giorno, le onde d’una nuova luce hanno invaso la sua anima; Roma e la sua potenza sono rientrate nella notte, davanti all’apparizione « dei grandi diritti del Dio terribile » (Poema XXII, a Giovio, vv. 83-85). Con tutto il cuore, il discendente delle antiche stirpi che sottomisero il mondo offre subito la sua fede a Dio; Cristo che si rivela a lui ha conquistato il suo amore (Poema XXI, XXIII, vv. 365-374). Basta di cercare, basta di correre invano; egli trova infine, e quello che trova è che nulla vale più che il credere in Gesù Cristo (Ultimo poema, vv. 1-3).

Nella rettitudine della sua grande anima, egli giungerà fino alle estreme conseguenze di questo principio nuovo che sostituisce per lui tutti gli altri. Gesù ha detto: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri; e poi vieni e seguimi» (Mt. 19, 21). Paolino non esita. Non sarà certamente lui a trascurare il meglio e a preferire il peggio (Lettera XXXV a Delfino); perfetto fino allora per il mondo, potrà ora non esserlo per Dio? All’opera dunque! Non sono già più suoi quegli immensi possedimenti, che venivano chiamati regni (Ausonio, Lettera XXIII a Paolino, v. 116); Paolino vende tutto per acquistare la croce e seguire Dio (Poema XXI, XIII, vv. 426-427). Lo sa bene, infatti: l’abbandono dei beni di questo mondo è solo l’ingresso nello stadio, e non già la corsa stessa; l’atleta non è vincitore per il solo fatto che lascia le vesti, ma si spoglia unicamente per cominciare a combattere; il nuotatore ha forse già attraversato il fiume perché si trova nudo sulla riva? (Lettera XXIV, 7, a Severo).

Il ritiro. Paolino, nella sua premura, ha piuttosto troncato che staccato il cavo che teneva la sua barca alla riva (San Girol. Lettera LUI, 10, a Paolino). Cristo è il suo nocchiero (Ultimo poema, v. 158). Incitato dal plauso della sua nobile sposa Terasia, che gli sarà sol più sorella ed emula, naviga fino al porto sicuro della vita monastica, pensando unicamente a salvare la propria anima (Lettera XXVI, 8, a Giovio). Un solo punto lo tiene ancora sospeso: dovrà forse ritirarsi a Gerusalemme, dove tanti ricordi sembrano chiamare un discepolo di Cristo? Ma, con la franchezza della sua forte amicizia, S. Girolamo da lui consultato gli risponde: « Ai chierici le città, ai monaci la solitudine. Sarebbe estrema follia lasciare il mondo, per vivere in mezzo a una folla maggiore di prima. Se vuoi essere come vieni chiamato, cioè monaco, cioè solo, che fai nelle città che, senza dubbio, non sono l’abitazione dei solitari, ma della moltitudine? Ciascuna vita ha i suoi modelli. I nostri capi sono Paolo e Antonio, Ilarione e Macario; le nostre guide, Elia, Eliseo e tutti i figli dei Profeti che abitavano nella campagna e nelle solitudini, e ponevano le loro tende sulle rive del Giordano » (Lett. LVIII, 4-5, a Paolino).

Paolino seguì i consigli del solitario di Betlemme; preferendo il titolo di monaco alla stessa dimora nella città santa, cercò il piccolo campo di cui gli parlava Girolamo, nel territorio di Nola, ma fuori della città, presso la gloriosa tomba di san Felice. Che il mondo non faccia più conto su di lui per rendere più solenni le sue feste, o affidargli incarichi: assorto nella penitenza e nell’umiliazione volontaria, l’antico console è ormai soltanto più l’ultimo dei servi di Cristo e il custode d’una tomba (Poema XII, 1, vv. 31-38).

Lo «scandalo». Alla notizia d’una simile rinunzia offerta in spettacolo al mondo, grande fu la gioia fra i santi del cielo e della terra; ma non minore apparve lo sdegnoso stupore, lo scandalo (I Cor. 1, 23) dei politici, dei prudenti del secolo, di tanti uomini per i quali il Vangelo ha valore solo in quanto non contraria i meschini pregiudizi della loro sapienza mondana. «Che diranno i grandi? – scriveva sant’Ambrogio. – Di così nobile famiglia, di così nobile stirpe, ricco di tante doti, così eloquente, lasciare il senato, porre fine alla successione di una simile sequela di antenati: è una cosa insopportabile. Ecco uomini che, quando si tratta dei loro capricci, non trovano affatto strano infliggersi le più ridicole trasformazioni. Accade invece che un cristiano desideroso della perfezione cambi idea, e gridano subito allo scandalo!» (Lettera LVIII, 3, a Sabino).

Paolino non fece caso a quegli attacchi, come non immaginò che il suo esempio sarebbe stato seguito da molta gente. Sapeva come Dio manifesti in alcuni ciò che potrebbe essere vantaggioso a tutti se lo volessero, e come ciò basti a giustificare la sua Provvidenza (San Paolino, Lettera XXXVIII, 7, ad Apro). «Come il viandante non si lascia deviare dalla sua strada dai cani che abbaiano al suo passo, così – diceva – coloro che si pongono sugli stretti sentieri del Signore debbono trascurare le riflessioni dei profani e degli sciocchi, rallegrandosi di dispiacere a chi dispiace a Dio; ci basta la Scrittura per sapere che cosa pensare di essi e di noi» (Lettera 1 , 2, 6, a Severo).

L’irradiamento. Ciò non ostante il nostro santo, il quale voleva solo imitare ed imparare, si segnalò presto come una delle fiaccole più luminose della Chiesa. L’umile ritiro in cui voleva nascondersi , era diventato il punto di convegno dei più nobili patrizi e delle più degne patrizie, il centro d’attrazione di tutte le grandi anime di quel secolo. Dai punti più diversi, Ambrogio, Agostino, Girolamo, Martino e i loro discepoli, elevavano la voce in un concerto di lode staremmo per dire unanime se, per la maggiore santità del servo, Dio non avesse permesso, agli inizi, una dolorosa eccezione. Alcuni membri del clero romano, prendendo al rovescio segni di venerazione mostrati a quel monaco, si erano sforzati, e non senza successo, di circuire sotto uno specioso pretesto il Sommo Pontefice. Siricio giunse quasi a separare Paolino dalla sua comunione (Lettera V, 13-14, a Severo).

La mansuetudine, la longanimità del servo di Dio non tardarono a illuminare Siricio sull’errore in cui l’avevano fatto cadere coloro che lo circondavano, e l’invidia dovette rivolgere altrove i suoi morsi.

San Paolino e la Liturgia. Ci manca lo spazio per descrivere più a lungo questa nobile esistenza. Ricordiamo, per finire, che la Liturgia è grandemente debitrice a san Paolino per i preziosi particolari che racchiudono le sue lettere e i, suoi poemi, principalmente sull’architettura cristiana e sul simbolismo delle sue diverse parti, il culto delle immagini, l’onore reso ai santi e alle loro sacre reliquie. Una tradizione, che sfortunatamente non è abbastanza solida per escludere tutti i dubbi, fa parimenti risalire fino a lui l’usanza liturgica delle campane; ingrandendo le dimensioni dell’antica campanella, egli l’avrebbe trasformata in quel maestoso strumento così giustamente degno di diventare il portavoce della Chiesa stessa, e al quale la Campania e Nola hanno dato il loro nome (nolae, campanae).

Vita. Paolino nacque a Bordeaux verso il 353, da una illustre famiglia patrizia. La sua educazione fu delle più raffinate. Console nel 378, si sposò poco dopo, andò ad abitare nella Spagna, e quindi ricevette il battesimo verso il 389 a Bordeaux. L’anno seguente distribuì tutti i suoi beni ai poveri; fu ordinato prete a Barcellona nel 393 e da allora si stabilì a Nola presso la tomba del martire Felice, insieme con ia moglie e alcuni discepoli. Aveva fatto della sua casa un monastero e la sua vita era regolata come quella dei monaci. Compose in onore di san Felice molti poemi, che, con le sue lettere, occupano un posto distinto nella letteratura cristiana del suo tempo. Nel 409 veniva eletto vescovo di Nola. Alla sua morte, avvenuta nel 431, il suo corpo fu deposto accanto a quello di san Felice, e quindi trasportato a Roma. Ma Pio X lo restituì al vescovo di Nola nel 1908.

La povertà volontaria. I tuoi beni ti sono ora restituiti, o Paolino, che hai creduto alle parole del Signore! Quando tanti altri, in quel secolo che conobbe i barbari, cercavano di salvare il loro tesoro, il tuo era al sicuro. Quanti lamenti giunsero fino a te, nel terribile sfacelo di quell’impero di cui eri stato uno dei primi magistrati! Certo, quelli dei tuoi colleghi negli onori, quelli dei tuoi compagni di ricchezza che non avevano imitato la tua volontaria rinunzia, non erano in ciò colpevoli di alcuna mancanza; ma nell’ora tremenda in cui la potenza costituiva un motivo per mali peggiori, in cui la ricchezza procurava soltanto più ai suoi possessori disperazione e tormenti, come apparve la migliore, anche per questo mondo, la tua prudenza! Tu ti eri detto che il regno dei cieli soffre la violenza, e che sono i violenti che lo rapiscono (Mt. 11, 12); ma la violenza che ti eri imposta, spezzando in vista di migliori legami quelli di quaggiù, era forse paragonabile a quella che più d’uno fra i tuoi denigratori di allora dovette subire, senza alcun vantaggio per questa vita né per l’altra? Così accade spesso, anche fuori di quei tempi pietosi in cui la rovina sembra abbattersi sul mondo. Le privazioni che Dio esige dai suoi per condurli nei sentieri della vita perfetta, non uguagliano certo la sofferenza che spesso incontrano i mondani nel cammino di loro scelta.

L’amore della verità e della parola divina. Gloria a te, che non hai ascoltato con orecchio sordo il Vangelo (Lettera V, 6, a Severo) e, forte della fede, hai riportato la vittoria sul principe di questo mondo. Restituisci al nostro tempo, così somigliante al tuo dal punto di vista della rovina, quel sincero amore della verità, quella semplicità della fede che, nel IV e V secolo, salvarono dal naufragio la società battezzata. La luce non è minore oggi di allora; è anzi cresciuta, aumentata continuamente dall’opera dei dottori e dalle definizioni dei pontefici. Ma la verità, che ha sempre lo stesso potere di salvare gli uomini (Gv. 8, 32), libera tuttavia solo quelli che vivono di essa; e purtroppo il dogma, sempre meglio e più pienamente definito, non risolleva il mondo ai giorni nostri. Questo, perché esso non doveva rimanere lettera morta; Cristo non lo ha trasmesso alla sua Chiesa come teoria speculativa, e la Chiesa, quando lo espone ai suoi figli, non intende semplicemente blandire, con l’ampiezza dei suoi sviluppi, l’orecchio di quelli che l’ascoltano. La parola di Dio è un seme (Le. 8, 1); lo si getta in terra non per nascondervelo, ma perché germogli e venga alla luce, dominando ogni altro germoglio attorno a sé (Me. 4, 22). Possa dunque, questo divino seme, o Paolino, produrre il suo pieno effetto in tutti coloro che ora ti ammirano e ti pregano! Senza restringere la Scrittura, senza pretendere di interpretare secondo le nostre terrene inclinazioni quanto diceva il Signore, tu hai preso alla lettera, con lealtà , quello che era giusto; e per questo, oggi, sei santo. Che ogni parola di Dio sia parimenti per noi senza alternativa; e rimanga la regola suprema delle nostre azioni e dei nostri pensieri.

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, Il Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959