Bouquet spirituale:
25 agosto
«Ascoltate, o re, e comprendete; udite, o governanti, dai confini della terra. Prestate orecchio, voi che dominate la moltitudine e menate vanto delle folle di popoli. Da Dio vi è dato il potere e la sovranità dall’Altissimo, che esaminerà le vostre opere e scruterà le vostre intenzioni… Le mie parole sono dirette a voi, o principi, perché apprendiate la Sapienza e non abbiate a cadere. Coloro che custodiscono le cose sante santamente saranno santificati e coloro che le apprendono potranno difendersi. Desiderate dunque le mie parole, tenetele preziose e sarete istruiti. La Sapienza è luminosa e non si oscura, si lascia contemplare da coloro che l’amano, si lascia trovare da coloro che la cercano e si fa conoscere presto da coloro che la desiderano…» (Sap. 6, 1-12).
Compito dell’autorità. La fede cristiana creò in Luigi IX la grandezza del principe. Egli meditò lungamente le parole del libro della Sapienza, che la Chiesa ci fa leggere oggi nell’Ufficio a Mattutino e che ricorda a tutti coloro che devono esercitare il peso formidabile dell’autorità. San Luigi comprese che una legge comune lega a Dio suddito e principe, perché hanno eguali l’origine e il destino. La potenza degli uni accresce soltanto le loro responsabilità, perché la loro autorità viene da Dio soltanto ed essi hanno il dovere di esercitarla come Dio stesso, cioè per il bene dei sudditi, per assicurare il loro destino, che è quello di glorificare Dio. Cristo, cui appartiene la regalità, per diritto di nascita, venendo nel mondo avrebbe potuto spogliare i re delle loro prerogative, ma egli non volle regnare come i re della terra e solo volle che la loro autorità si pieghi davanti alla sua. « Sono re da parte del Padre mio, gli fa dire sant’Agostino, non rattristatevi, come se foste spogliati di un bene, che fu vostro, ma piuttosto, riconoscendo che è bene per voi essere sottomessi a colui che vi dà sicurezza nella luce, servite il Signore di tutti con timore ed esultate in lui» (Enarr. sul Salmo 2).
Insegnamento della Chiesa. Dona al re sicurezza nella luce solo la Chiesa, che, senza usurpare il dominio dei principi, resta loro superiore quale madre di popoli e giudice delle coscienze, unica guida dell’umanità. Ascoltiamo l’insegnamento del Sommo Pontefice Leone XIII nella precisione e pienezza che gli è caratteristica: «Come vi sono in terra due grandi società: l’una civile, che ha per fine di procurare al genere umano il bene temporale e terrestre; l’altra religiosa, che ha lo scopo di condurre gli uomini alla felicità celeste per la quale sono creati: così vi sono due poteri (Encicl. Nobilissima Gallorum gens, 8 febb. 1884) fra i quali Dio ha diviso il governo del mondo. Ciascuna delle due società è nel suo genere sovrana, ciascuna è limitata nei confini, stabiliti e tracciati in conformità della sua natura e del suo fine particolare (Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885). Il fondatore della Chiesa, Gesù Cristo, volle che fossero distinte l’una dall’altra, tutte e due libere da impacci nel compimento della missione assegnata, con la condizione tuttavia che nelle cose, che spettano simultaneamente alla giurisdizione e al giudizio dell’una e dell’altra, sebbene a titolo diverso, il potere cui spettano gli interessi temporali dipenda, come è giusto, da quello che veglia sugli interessi del cielo (Encicl.: Arcanum divinae sapientiae, 10 febb. 1880). Sottomesse poi tutte e due alla legge eterna naturale, devono accordarsi reciprocamente nelle cose, che riguardano l’ordinamento e il governo di se stesse (Encicl. Nobilissima Gallorum gens), realizzando un insieme di rapporti che possono essere paragonati a quelli che nell’uomo costituiscono l’unione dell’anima e del corpo» (Encicl. Immortale Dei).
Nella sfera degli interessi eterni, dei quali nessuno può quaggiù disinteressarsi legittimamente, i principi devono mantenere nel rispetto della Chiesa e di Dio i loro popoli e non soltanto le persone individualmente considerate. Infatti «gli uomini, dipendendo da Dio, in quanto uniti dai vincoli di una comune società, non meno che in quanto individui isolati, le società politiche come gli individui non possono senza delitto governarsi come se Dio non esistesse o trascurare la religione, o come estranea, o dispensarsi dal seguire nella religione le regole secondo le quali Dio ha dichiarato di voler essere onorato. Per conseguenza i capi di Stato devono tener per santo il nome di Dio, porre nel numero dei loro doveri più importanti quello di difendere la religione con l’autorità della legge e nulla stabilire e ordinare che sia contrario alla sua integrità» (ibid.).
Felicità del re. Non ci sarebbe del resto prosperità e fortuna per i re e per i popoli fuori di questi insegnamenti della Chiesa. Sant’Agostino lo scriveva già nel suo libro della Città di Dio: «Diciamo felici i principi che fanno regnare la giustizia, che non si inorgogliscono per le lodi troppo adulatoci e per il rispetto troppo servile, ricordando di essere uomini; che si servono della loro potenza per diffondere il culto di Dio é farsi fedeli servitori della sua sovrana maestà; che temono Dio, l’amano e l’adorano; che preferiscono il possesso di quel regno in cui non si temono competitori; che sono lenti a punire e pronti a perdonare; che usano le pene per il bene dello Stato che devono difendere e non per soddisfare il loro desiderio di vendetta; che perdonano non perché il delitto resti impunito, ma per la speranza che il colpevole si corregga; che, costretti ad agire con rigore, temperano la severità con la dolcezza e la beneficenza. Più contenuti nei loro piaceri, proprio perché sono più liberi, preferiscono comandare alle loro passioni che a tutti i popoli della terra e agiscono così, non per un desiderio di vana gloria, ma per amore della felicità eterna e, finalmente, offrono a Dio il sacrificio dell’umiltà, della misericordia e della preghiera, sapendosi peccatori. Questi sono i principi cristiani che noi diciamo felici e lo sono già in questo mondo per la speranza e lo saranno poi nella realtà, quando tutti avremo raggiunto ciò che attendiamo» (Libro V, cap. 24).
San Luigi. Il nobile re che Dio diede alla Francia volle sempre agire così. Secondo la parola della Scrittura, «egli aveva stretto alleanza con il Signore, osservava i suoi comandamenti e li faceva osservare da tutti» (2 Paralip. 34, 31-33) - Fine della sua vita fu Dio e guida gli fu la fede e qui è il segreto della sua politica come della sua santità. Come cristiano, servitore di Cristo, come principe suo luogotenente, l’anima sua non fu divisa tra le aspirazioni del cristiano e quelle del principe e tale unità fu la sua forza, come resta la sua gloria. Cristo soltanto regnò in lui e per lui sulla Francia e lo fa ora regnare per sempre con lui nei cieli. In tutta la sua vita c’è un riflesso di graziosa semplicità, che ne mette in rilievo l’eroismo e la grandezza in modo tutto particolare ed è caratteristica del suo regno ammirabile, che le rovine stesse contribuiscono alla gloria. La Francia infatti conquistò per secoli in Oriente, dove il suo re fu caricato di catene, una fama e un prestigio che nessuna vittoria avrebbe eguagliato. L’umiltà dei re santi non è dimenticanza del posto che occupano per volere di Dio, la loro abnegazione non è rinuncia ai diritti, che sono anche doveri, la carità in essi non sopprime la giustizia, come l’amore della pace non cancella le virtù guerriere. San Luigi senza armata non lasciò di trattare con l’infedele vittorioso con tutta la dignità del suo battesimo e d’altra parte, in Occidente, lo si capì presto e lo si capì meglio, man mano che egli cresceva nella santità. Il re, che passava le notti a pregare Dio e le giornate a servire i poveri non intendeva cedere ad alcuno le prerogative della corona ereditata dai padri. « Non c’è che un re in Francia, disse un giorno il giustiziere del bosco di Vincennes, cancellando una sentenza di suo fratello Carlo d’Anjou. E i Baroni al castello di Belleme, gli Inglesi a Taillebourg l’avevano già capito, come lo aveva capito Federico II, che minacciava di schiacciare la Chiesa cercando dei complici in Francia e che alle ipocrite giustificazioni delle sue proposte si sentì rispondere: Il regno di Francia non è ancora tanto debole da lasciarsi trascinare dai vostri speroni».
La morte. La morte di Luigi tu semplice e grande come la sua vita. Dio lo chiamò a sé in circostanze dolorose e difficili, lontano dalla patria, sul suolo africano, ove tanto egli già aveva sofferto: spine santificatrici, che ricordavano al principe crociato il suo gioiello prediletto; la corona sacra da lui guadagnata al tesoro della Francia. Mosso dalla speranza di convertire al cristianesimo il re di Tunisi, più in qualità di apostolo che di soldato, raggiunse la spiaggia sulla quale lo attendeva il combattimento supremo. «Vi annuncio il bando di Nostro Signore Gesù Cristo e del suo sergente. Luigi, re di Francia» ecco la sfida sublime lanciata alla città infedele, sfida ben degna di chiudere una vita come la sua. Passano sei secoli e Tunisi vedrà i figli dei Franchi, che allora la circondarono, riprendere senza volerlo la sfida del più santo dei loro re, chiamati, senza che essi lo pensino, da tutti i santi dei quali questa terra dell’antica Cartagine fatta cristiana custodisce le memorie per l’eternità.
Vita. San Luigi nacque il 25 aprile 1214 e fu battezzato nella chiesa di Poissy. Divenne re di Francia alla morte del padre, l’otto novembre 1226. La regina, Bianca di Castiglia, lo fece consacrare a Reims e si preoccupò di dargli un’educazione regale e soprattutto piissima. Avuto il potere a 20 anni, ammalò e promise di allestire una crociata, se fosse guarito, per liberare i Luoghi Santi. Arrivato in Egitto nel 1248, mise in fuga i Saraceni, ma la peste decimò la sua armata e a sua volta fu sconfitto e fatto prigioniero. Liberato, passò cinque anni in Oriente, intento a ricostruire città e castelli dei cristiani, a riscattare schiavi, a convertire infedeli. La morte della madre lo richiamò in Francia. Amministrò il suo regno con saggezza e diede ai sudditi esempio delle virtù più sublimi. Il 2 luglio 1270 ripartì per la Crociata, sbarcò a Tunisi dove sperava di convertire il re, ma una volta ancora la peste scoppiò nel campo ed egli ne morì il 25 agosto, dopo aver fatte al figlio Filippo le sue raccomandazioni. Il suo corpo fu portato in Francia, a Saint-Denis, e i miracoli che avvennero sulla sua tomba decisero Papa Bonifacio VIII a iscriverlo nel numero dei santi.
Preghiera.
Ascolta la nostra preghiera tu, che portando la corona regale, prima di ricevere da Roma l’aureola della santità, permettevi a tutti i tuoi sudditi di avvicinarti, sia nel palazzo di Parigi, sia nei viaggi attraverso le province, sia sotto la quercia di Vincennes, e manifestavi le tue preferenze per gli umili e i diseredati.
Tu, che governasti la Francia, per darle pace, giustizia e amore, vieni oggi in suo aiuto, per restaurare le rovine della guerra, ristabilire la giustizia e riportare l’unione, la concordia, l’amicizia degli uni con gli altri.
Tu, che avesti sollecitudine per la cristianità tutta, salva l’Europa, che oggi la rappresenta, dalle minacce di distruzione, che su di essa gravano per le invenzioni scientifiche al servizio del male, dell’odio e della sete di dominio; dàlie sicurezza, restituendole il senso della comunità spirituale.
Tu, che desiderasti evangelizzare gli infedeli con missioni religiose al seguito delle Crociate, attira verso la legge di Cristo i continenti che la ignorano ancora. Tu, che onorasti nel Papa il rappresentante di Dio fra gli uomini, proteggi il Sommo Pontefice e con lui i Vescovi e il clero secolare e regolare.
Tu, che desti esempio di castità e di pazienza nel matrimonio, di affetto e di vigilanza nella educazione, veglia sui nostri scolari e sull’avvenire dei fanciulli.
Tu, che sempre cercasti la pace, in te e attorno a te, dacci la pace interiore, che ci è più che mai necessaria nelle quotidiane preoccupazioni, nel crescente frastuono e nelle moltiplicate difficoltà della vita.
Tu, che con tanta forza, saggezza e scrupolo esercitasti il più difficile dei mestieri, quello di Re, fa’ che noi compiamo con gioia e con coscienza i nostri doveri professionali, comprendendo e accettando le responsabilità che impongono.
Tu, che fosti in ogni momento divorato dalla fiamma della carità, ispiraci l’amore, che trasfigura l’obbrobrio del corpo e la sozzura dell’anima, che ci permette di vincere pregiudizi e ripugnanze, per amare il prossimo come noi stessi e il povero come rappresentante di Dio.
Allora noi potremo sperare di ritrovarti nel regno dei cieli… (Henry Bordeaux, San Luigi, pp. 511-512).
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959