Bouquet spirituale:
18 ottobre
La benignità del Salvatore. San Paolo, nell’epistola a Tito, ricorda per due volte che è “apparsa sulla terra la benignità e l’umanità di Dio Salvatore”. Si direbbe che abbia ripetute spesso quelle parole al discepolo prediletto, san Luca, nelle conversazioni, nei viaggi, nella loro lunga intimità.
Se è cosa difficile stabilire differenze e anche soltanto fare confronti tra i Santi e più ancora fra gli Evangelisti, si può tuttavia notare che il Vangelo di san Luca ci presenta prima di tutto un Salvatore buono e misericordioso. San Luca era uomo di talento, conosceva in modo mirabile il greco, descriveva e dipingeva con garbo scene e paesaggi e aveva un’anima squisita per bontà e dolcezza che dava al talento un’attrattiva straordinaria.
Il medico. San Luca aveva fatto studi di medicina e san Paolo lo chiama “medico carissimo”. Nelle narrazioni di guarigioni operate da Gesù rivela la sua qualità di medico sa dissimulare a perfezione quando qualcosa non giova alla buona fama dei medici, come nel caso dell’emorroissa, mentre gli altri evangelisti indugiano sulla incapacità della scienza umana quasi con compiacenza.
Il ritrattista. L’abilità di narratore e di pittore gli ha fatto attribuire il ritratto della Vergine Maria, ma il ritratto più bello della Madre del Salvatore egli ce lo dà nel Vangelo e negli Atti e si pensa con ragione che egli abbia conosciuti i dettagli sull’infanzia del Signore da Maria stessa o dai suoi confidenti immediati.
Si può dire ancora che egli fu un pittore eccellente del salvatore Gesù. Nel suo racconto, non solo evitò qualsiasi anche apparente severità per le persone, ma notò pure appena di passaggio le crudeltà delle quali il Salvatore fu vittima durante la Passione. Si fermò invece con compiacenza a descrivere a lungo i primi tempi della vita di Gesù, presentandolo sempre con la Madre e parlando spesso della sua preghiera, della sua misericordia per i peccatori, della sua pazienza verso i nemici. Egli ci ha dato i racconti della donna peccatrice, del buon Samaritano, del figlio prodigo, del buon ladrone, dei discepoli di Emmaus e in tutta la narrazione appare preoccupato ispirarci confidenza nella “benignità e umanità del nostra Salvatore” venuto per salvare “tutti gli uomini”. Egli vuole persuaderci che tutte le miserie umane, fisiche e morali, possono essere guarite dal Salvatore del quale l’Apostolo, i primi discepoli e la Vergine stessa gli hanno parlato; vuole che intendiamo come rivolte a noi le parole di tenerezza di Gesù: “Dico a voi, che siete miei amici… Non temete, piccolo gregge… ” e, leggendo si comprende che lo sguardo di Gesù durante la Passione non si ferma solo su Pietro, ma sopra ciascuno di noi.
La mortificazione della croce. Tuttavia san Luca non pecca di omissione. Ci attira al Maestro, ma non esita a dirci che per seguirlo ed essere degni di Lui, bisogna prendere la croce, rinunciare totalmente a se stessi, abbandonare le proprie cose. Siccome questo non si fa senza sacrificio, egli ce lo dice con dolcezza, imitando la melodia gregoriana del Communio del Comune dei martiri, che si fa carezzevole, seducente, per portarci a prendere con Gesù la croce ogni giorno.
Egli pure prese la sua croce e la Chiesa nell’Orazione della Messa lo loda “per aver portato sempre nel suo corpo la mortificazione della croce, per la gloria di Dio”. Se la Chiesa usa il colore rosso dei martiri, per onorare colui che fra gli Apostoli e gli Evangelisti solo non versò il sangue per Cristo, bisogna che la sua mortificazione sia stata ben meritoria. Fu essa il suo martirio, martirio non di qualche giorno o di qualche ora, ma di tutta la vita, forse ignoto ai contemporanei, ma noto alla Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo lo glorifica oggi nella Liturgia.
L’insegnamento. Per noi c’è qui un insegnamento. Come san Luca, possiamo e dobbiamo essere martiri. Col battesimo ci siamo impegnati a preferire la morte al peccato mortale e avviene che noi dobbiamo scegliere tra la morte e il peccato. Bisogna allora scegliere senza esitazione, certi della ricompensa che seguirà alla scelta.
Ma d’ordinario non possiamo scegliere tra morte e peccato, e la coscienza ci impone soltanto di rinunciare al nostro egoismo e ce lo impone tutti i giorni e, siccome tutti i giorni lo sforzo si rinnova, noi qualche volta cediamo, rinunciando all’amicizia o per lo meno all’intimità divina, conservando nel cuore un poco di amor proprio. Se vi rinunciassimo, ci assicureremmo la gloria che riceve san Luca nella sua eternità beata. La sua intercessione e il suo esempio possano aiutarci a camminare sulle sue orme e su quelle del salvatore e della Madre sua dei quali il Vangelo ci presenta una così seducente figura.
Vita. Luca nacque ad Antiochia da famiglia pagana e si convertì senza dubbio verso l’anno 40. Incontrandolo a Troade, san Paolo lo prese per compagno nel secondo viaggio a Filippi, nel 49. Più tardi Luca si unisce definitivamente all’Apostolo. Dopo la morte di san Paolo, Luca lascia Roma e da allora noi perdiamo le sue tracce e più nulla sappiamo di lui.
Luca è tutto bontà e dolcezza e sfrutta il suo talento letterario, scrivendo il suo Vangelo verso il 60 con lo scopo di attirare i gentili verso la bellezza e la misericordia del Signore. Più tardi scrive gli Atti degli Apostoli. Muore, senza versare il sangue per Cristo, ma la Chiesa l’onora come martire, per la mortificazione e le sofferenze sopportate in vita per la causa del Vangelo.
La mortificazione della croce.
Sii benedetto, o Evangelista dei gentili, per aver posto fine alla lunga notte, che ci teneva prigionieri e soffocava i nostri cuori. Confidente nella Madre di Dio, l’anima tua risente del profumo verginale di queste relazioni e lo riverbera negli scritti e in tutta la vita. Nell’opera grandiosa in cui l’Apostolo delle genti, troppo spesso abbandonato e tradito, ti trovò ugualmente fedele nel momento del naufragio (Atti 27) e della prigionia (II Tim. 4, 11) come nei giorni migliori furono tua parte la tenerezza discreta e la silenziosa devozione. Perciò a buon diritto la Chiesa applica a te le parole che Paolo diceva di se stesso: sempre siamo tribolati, esitanti, perseguitati, abbattuti, portando nel nostro corpo la morte di Gesù, questa morte che manifesta senza fine la vita del Signore nella nostra carne mortale (II Cor. 4, 8-11). Il figlio dell’uomo, che la tua penna ispirata ci fece amare nel suo Vangelo, tu lo riproduci nella sua santità in te stesso.
Il pittore.
Custodisci in noi il frutto dei tuoi molteplici insegnamenti. Se i pittori cristiani ti onorano, se è bene che imparino da te che l’ideale di ogni bellezza risiede nel Figlio e nella Madre sua, vi è tuttavia un’arte, che sorpassa quella delle linee e dei colori: quella che produce in noi la rassomiglianza divina. In questa noi vogliamo eccellere alla tua scuola, perché sappiamo di san Paolo, il tuo maestro, che la conformità di immagine con il Figlio di Dio è l’unico titolo alla predestinazione degli eletti (Rom. 8, 29).
Il medico.
Proteggi i medici fedeli, che si onorano di camminare suoi tuoi passi e si appoggiano, nel loro ministero di sacrificio e di carità, alla fiducia di cui tu godi presso l’autore della vita. Aiutali nelle cure rivolte a guarire e a sollevare le sofferenze e ispira il loro zelo quando il momento di una temibile morte si approssima.
Purtroppo il mondo, nella sua senile debolezza, richiede la dedizione di chiunque sia in grado, con la preghiera e con l’azione di scongiurare la sua crisi. Quando il figlio dell’uomo ritornerà credete che troverà ancora la fede sulla terra? (Lc. 18, 8) così parla il Signore nel tuo Vangelo, ma aggiunge che bisogna pregare senza interruzione (ibidem), per la Chiesa dei tempi nostri e di tutti i tempi secondo la parabola della vedova importuna, che finisce per aver ragione del giudice iniquo, che ha in mano la sua causa. Dio non renderà giustizia ai suoi eletti, se continuamente lo supplicheranno? tollererà che siano oppressi senza fine? Io vi dico: li vendicherà con prontezza (ivi, 2-8).
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959