Bouquet spirituale:
14 aprile
Nel il secolo, in tutta Roma si ripercuoteva l'eco delle conferenze pubbliche di san Giustino contro gli avversari del cristianesimo; i suoi scritti, che intrepidamente faceva pervenire ino al trono imperiale, portavano luce, anche là dove la sua parola non poteva arrivare. Ma, ben presto, la scure del littore si abbattè sulla testa dell'apologista, dando alle sue dimostrazioni maggiore forza di quanto aveva potuto fare la sua logica possente, quando una prima volta, aveva arrestato la persecuzione furiosa e domato l'inferno.
Vita. San Giustino nacque a Naplusa in Palestina al principio del secondo secolo. Desideroso di conquistare il sapere, studiò molto nelle diverse scuole: in quella di uno stoico, di un peripatetico, di un pitagorico e di un platonico; ma non riuscirono a soddisfarlo.
Finalmente le conversazioni avute con un misterioso vegliardo, e l'esempio della vita dei cristiani, lo condussero alla verità. Si convertì all'età di 30 anni. Venuto a Roma, ebbe a cuore di partecipare ad altri la propria fede, aprì una scuola e scrisse parecchie opere: nel 135, il suo Dialogo con Trifone l'ebreo; poi due Apologie composte sotto gl'imperatori Antonino (138-161) e Marco Aurelio (161-180). Denunciato probabilmente dal filosofo pagano Crescente moì Martire. Leone XIII ne ha esteso il culto alla Chiesa Universale.
Marco Aurelio e san Giustino. Il mondo infatti, sbandato in diversi sensi dalle mille celebri scuole che sembravano impegnarsi, con le loro contraddizioni, a rendere impossibile la scoperta del vero, è adesso in stato di sapere almeno dove si trova la sincerità. Marco Aurelio succeduto da poco ad Antonino il Pio, pretende di stabilire sul suo trono la filosofia. Ponendo l'ideale di ogni perfezione nel soddisfacimento di se stessi e nel disprezzo per gli altri, parte dallo scetticismo dogmatico per stabilire la legge morale, e consegna i suoi Pensieri all'ammirazione di alcuni cortigiani, senza curarsi di riformare il costume, neppure tra le persone che lo circondano.
Giustino, in dalla sua adolescenza, aveva cercato la verità per trovare la giustizia; senza lasciarsi scoraggiare dai suoi primi vani sforzi, non aveva preso il pretesto di negare la luce perchè questa tardava a mostrarsi, e, quando, all'ora segnata da Dio cadde la notte, egli dedicò la sua vita alla vera sapienza, inalmente incontrata, bruciando dal desiderio di comunicarla a tutti, piccoli e grandi, non calcolando affatto le fatiche, i supplizi stessi, che gli permetteranno di afermarla solennemente di fronte all'universo. Tra l'eroe cristiano e il soista regale che lo manda a morte, quale è l'uomo che, in buona fede, potrebbe esitare? Chi non riverserebbe un giusto disprezzo sulle pretese di quei falsi ilosoi divenuti i maestri del mondo, e che non dànno altra prova del loro « amore per la sapienza », che il partito preso di sofocare la voce di quelli che la predicano?
La filosoia cristiana. La filosofia, battezzata nel sangue del convertito di Naplusa, sarà cristiana per sempre. Da quel giorno cesserà la sua desolante sterilità. Quale serva fedele, la testimonianza che il martire rende finalmente alla verità, risolleva con un sol colpo i mostruosi traviamenti dell'epoca antecedente. Senza confondersi con la fede, d'ora in avanti sarà la sua collaboratrice. La ragione umana vedrà le sue forze decuplicate da questa alleanza, che ora produrrà sicuramente dei frutti. Guai a lei però, se, dimenticando la sublime consacrazione che la vota a Cristo, venisse un giorno a non tener più conto della divina Incarnazione, pretendendo di bastare a se stessa con gl'insegnamenti dettati dalla sola natura, sull'origine dell'uomo, il fine di ogni cosa e la regola dei costumi! Anche il lume naturale che rischiara ogni uomo che viene a questo mondo è, senza dubbio, una irradiazione del Verbo (Gv. i, 9); ed è qui la sua grandezza. Ma da quando il Verbo divino, sorpassando ogni onore reso alla ragione, ha gratiicato l'umanità di una sua manifestazione più diretta e più alta, non intende che l'uomo faccia due parti nei suoi doni: lasci ossia in disparte la fede che prepara la visione, e si contenti di quel lontano barlume che sarebbe bastato soltanto alla natura. Il Verbo è uno, come lo stesso uomo, al quale si manifesta nel medesimo tempo, per quanto tanto diversamente, per mezzo della ragione e della fede; quando l'umanità vorrà sottrarsi alla luce soprannaturale, la sua punizione più che meritata sarà quella di vedere il Verbo riprendersi gradatamente quella luce naturale, che essa era sicura di possedere in proprio, e lasciare il mondo inabissarsi nella follia.
La Sapienza. Noi salutiamo in te, o Giustino, una delle più nobili conquiste del nostro divin Risorto, sull'impero della morte. Nato nella regione delle tenebre, cercasti ben presto di spezzare quei legami menzogneri che, come a tanti altri, ti tenevano strettamente legato. La Sapienza che amavi, senza conoscerla ancora, ti aveva, a sua volta, scelto tra tutti (Eccli. 4, 18). Essa infatti non entra in un'anima maliziosa, nè dimora in un corpo dato al peccato (Sap. 1, 4).
Molto diverso da quegli uomini nei quali il bel nome della filosofia non serviva che a ricoprire l'amore di se stessi e la pretesa di giustiicare tutti i vizi; in te la ricerca della scienza partiva da un cuore desideroso del sapere, unicamente per amare la verità conosciuta per osservare le leggi. Questa purezza dell'intelligenza e del cuore ti avvicinava a Dio; ti rendeva degno d'incontrare sul tuo cammino la Sapienza viva, che ora si dà a te per sempre nella pienezza della luce (ibid, 6, 17-21). La Chiesa poco fa, o Giustino, a buon diritto ti decorava del nome di ilosofo ammirabile; poiché per primo hai capito che la filosofia veramente degna di questo nome, il vero amore per la sapienza non poteva limitare le sue indagini al dominio astratto della ragione, da quando essa non ha più che l'uicio d'introdurci nelle regioni superiori, ove la Sapienza si rivela, in persona, all'amore che la ricerca senza finzioni.
Dipendenza della ragione. Sta scritto di coloro che ti rassomigliano: « La moltitudine dei savi è la salute del mondo» (Sap. 6, 26). Ma adesso quanto sono rari i veri filosofi, quelli che, come te, comprendono che il ine del savio è di arrivare alla visione di Dio (Eccli. 6, 23; Dial. con Trif., 3) nella via dell'obbedienza a questo santissimo Iddio (Eccli. 4, 15). L'indipendenza della ragione è il solo dogma sul quale sono d'accordo i sofisti odierni; il procedimento di cui fanno l'emblema della loro setta è un falso eclettismo che considerano come la facoltà lasciata a tutti di crearsi un sistema: sta a ciascuno di scegliere ciò che, nelle afermazioni delle diverse scuole, delle religioni medesime, può sorridere maggiormente. In questa maniera vengono a proclamare che quella ragione, da essi pretesa sovrana, ino ad ora nulla di certo ha potuto produrre e, secondo loro stessi, il dubbio su tutto, lo scetticismo rappresenta, come pure confessano i loro maestri, l'ultima parola della scienza. Dopo questo è veramente fuori luogo rimproverare alla Chiesa di voler mortiicare la ragione; ella che, anche poco fa, nel Concilio Vaticano, esaltava lo scambievole aiuto che si rendono la ragione e la fede per condurre l'uomo a Dio, autore di entrambe! ella che respinge dal suo grembo quelli che negano alla ragione umana il potere di dare anche da se stessa la certezza dell'esistenza di questo Dio Creatore e Signore! (Sess. Ili, c. IV; c. io). E per deinire così, ai nostri tempi, il rispettivo valore della ragione e della fede, senza separarle, e ancor meno confonderle, la Chiesa non ha dovuto ascoltare che la testimonianza di tutti i secoli del cristianesimo, risalendo ino a te, le cui opere, che si completano a vicenda, espongono una dottrina non certo diversa da questa. Tu sei stato un testimonio tanto fedele, quanto coraggioso; un martire valoroso. In un'epoca in cui i bisogni della lotta contro l'eresia non avevano ancora suggerito alla Chiesa una nuova parola, atta a quella specificazione che sarebbe divenuta presto indispensabile, i tuoi scritti ci dimostrano come, in da allora, la dottrina fosse la medesima, anche se espressa con un linguaggio infelice. Sii benedetto, o Giustino, da tutti i igli della santa Chiesa, per quella dimostrazione preziosa che ci lasciasti dell'identità della nostra fede con quella del li secolo! Sii benedetto di aver fatto allora, a questo fine, una distinzione scrupolosa tra ciò che per tutti doveva essere dogma, e le opinioni private, alle quali la Chiesa, come ha sempre fatto, lasciava la libertà su alcuni punti di minore importanza.
Apologetica. Non venir meno alla iducia che in te ripone la Madre comune. Pure essendo ormai così lontana dal tempo in cui vivesti, ella vuole che i suoi figli ti onorino, ancor più di quanto l'abbiano fatto nei secoli scorsi. Ed infatti, dopo essere stata riconosciuta come la regina delle nazioni, ora la situazione è tornata per essa quale era quando la difendevi dagli assalti di potenti avversari. Suscita in lei nuovi Apologisti. Insegna loro come, qualche volta, a forza di zelo, di fermezza, di eloquenza, si arriva a fare indietreggiare l'inferno. Ma che soprattutto facciano attenzione a non ingannarsi sulla natura della lotta che la Chiesa ha afidato al loro onore! È una regina che devono difendere; la Sposa del Figlio di Dio non potrebbe consentire a lasciar mendicare per lei la protezione che si ofre ad una schiava. La verità ha, per se stessa, dei diritti; o piuttosto, è essa sola a meritare la libertà. In conformità a ciò che facesti, o Giustino, essi dunque si adopereranno senza dubbio per fare arrossire il potere civile nel non riconoscere alla Chiesa neppure le facoltà ch'esso accorda a qualunque altra setta; ma l'argomentazione di un cristiano non saprebbe arrestarsi a reclamare una tolleranza comune a Satana e a Cristo; ancora come te, e pure sotto la minaccia di vederne raddoppiare la violenza, dovranno aggiungere: La nostra causa è giusta, perchè noi e noi soli diciamo la verità (Apologia, i.a, 23).
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959