Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

1 maggio

San Giuseppe
San Giuseppe Lavoratore
O.D.M. pinxit

San Giuseppe
Patrono dei Lavoratori

Felice novità che certamente riempie di gioia il cuore di Maria! Riguarda una festa di San Giuseppe che ormai aprirà il suo mese, maggio. Dall'inizio dell'anno liturgico la Chiesa ci dà più volte l'occasione di meditare la vocazione e la santità straordinaria del più umile e più nascosto di tutti gli uomini. La devozione verso San Giuseppe, fondata sullo stesso Vangelo, si è però sviluppata lentamente. Ciò non vuol dire che nei primi secoli la Chiesa abbia posto ostacolo agli onori che avrebbero voluto tributargli i fedeli; ma la Divina Provvidenza aveva le sue ragioni misteriose per ritardare l'ora in cui gli sarebbero stati offerti gli onori della Liturgia.

La bontà di Dio e la fedeltà del Redentore alle sue promesse s'uniscono di secolo in secolo sempre più strettamente per conservare in questo mondo la scintilla della vita soprannaturale che deve sussistere fino all'ultimo giorno. A questo scopo misericordioso, un succedersi ininterrotto di aiuti viene, per così dire, a riscaldare ogni generazione e ad apportare un nuovo motivo di confidenza nella Redenzione. A partire dal secolo XIII, in cui il raffreddamento spirituale del mondo comincia a farsi sentire, ogni epoca ha visto scaturire una nuova sorgente di grazie. Si iniziò con la festa del Santissimo Sacramento che suscitò una grande devozione al Cristo presente nell'Eucarestia; poi venne la devozione al santo nome di Gesù di cui S. Bernardino fu il principale apostolo; nel secolo XVII si diffuse il culto al Sacro Cuore; nel XIX e ai nostri giorni la devozione alla Santa Vergine ha assunto un' importanza in continuo aumento e che costituisce uno dei caratteri soprannaturali del nostro tempo.

Ma la devozione a Maria non poteva svilupparsi senza trarre seco il culto di San Giuseppe. Maria e Giuseppe hanno effettivamente ambedue una parte troppo intima nel mistero dell'Incarnazione, l'una come Madre di Dio, l'altro come custode dell'onore della Vergine e Padre nutrizio del Bambino-Dio, perché si possano separare l'una dall'altro. Una venerazione particolare a San Giuseppe è dunque stata la normale conseguenza della pietà verso la Santissima Vergine.

E come, per rispondere alla devozione del popolo cristiano, Pio IX, il Papa che doveva proclamare il dogma dell'Immacolata Concezione, aveva esteso alla Chiesa universale il Patrocinio di San Giuseppe ora unito alla festa del 19 marzo, così, a sua volta, il Papa che proclamò nel 1950 il dogma dell'Assunzione corporale di Maria al cielo, conscio dei bisogni del nostro tempo, ha voluto anche lui onorare San Giuseppe in un modo tutto particolare.

Atti di S. S. Pio XII. Ecco ciò che dicono gli Atti Pontifici che leggiamo nell'Uficio di questo giorno: « La Chiesa, nella sua materna vigilanza, ha sempre avuto la più grande cura degli operai, pronta a difenderli e confortarli, creando e incoraggiando le loro associazioni, che il Sommo Pontefice Pio XII da molto tempo ha pensato di affidare al potentissimo patrocinio di San Giuseppe.

Infatti questo santo, padre putativo di Gesù che s'è degnato farsi chiamare operaio e figlio di un operaio, ha attinto abbondantemente dalla sua intimità con Gesù quello Spirito che nobilita ed eleva il lavoro. È per questo che le associazioni operaie devono fare ogni sforzo perché Cristo sia sempre presente in loro, nei loro membri e nelle loro famiglie e infine in tutto il mondo operaio. Il più nobile scopo di queste associazioni non è forse quello di conservare e alimentare la vita cristiana dei loro iscritti e d'estendere il regno di Dio specialmente tra i compagni di lavoro?

Di questa sollecitudine verso il mondo del lavoro, il Sommo Pontefice, di felice memoria, ne diede una nuova prova quando, in occasione del Congresso dei lavoratori riuniti a Roma ili maggio 1951, parlando all'immensa folla riunita in piazza S. Pietro, raccomandò vivamente l'educazione degli operai. Essa rappresenta effettivamente un dovere essenziale della nostra epoca poiché se gli operai saranno impregnati della dottrina cristiana, eviteranno gli errori oggi correnti sulla costituzione della società e dell'economia; e se conosceranno a fondo l'ordine morale istituito da Dio e promulgato e interpretato dalla Chiesa sui diritti e sui doveri degli operai e se prenderanno parte alla direzione degli affari, lavoreranno attivamente per instaurare tale ordine. In realtà è Cristo che, per primo, ha promulgato sulla terra ed ha affidato alla Chiesa quei principi che, per dirimere le questioni, rimangono immutati e conservano tutta la loro forza.

Ma affinché la dignità del lavoro e i principi che la costituiscono si radichino più profondamente negli animi, Pio XII istituì la festa di S. Giuseppe operaio, perché egli fosse il modello e il protettore di tutto il mondo lavoratore. Appunto da questo esempio, coloro che esercitano un'arte manuale devono apprendere in quale modo devono assolvere il loro dovere professionale, affinché, obbedendo subito all'ordine di Dio, rendano soggetta la terra (Gen. 1, 28) e lavorino per la prosperità economica e nello stesso tempo meritino le ricompense della vita eterna. Il vigile custode della Famiglia di Nazareth non mancherà di coprire con la sua protezione coloro che, come lui, esercitano un mestiere laborioso e d'arricchire le loro famiglie dei beni celesti. Ed è molto a proposito che Pio XII prescrisse che questa festa fosse celebrata il 1 maggio, giorno che il mondo del lavoro aveva adottato, con la speranza che questo giorno ormai consacrato a San Giuseppe operaio non ecciterà più l'odio né provocherà discordie, ma che col suo annuale ritorno inviterà ogni lavoratore a completare sempre meglio ciò che manca alla pace dei cittadini e sia anche di stimolo ai governanti a condurre a buon fine ciò che esige l'ordine naturale della comunità umana.

L'umile condizione della Sacra Famiglia era per gli Scribi e i Farisei causa di scandalo. Per i loro occhi, colui che era di origine povera e disprezzabile non poteva essere il Cristo Signore, l'Unto di Dio (S. Alberto Magno). Invece, per coloro che hanno una vita laboriosa e modesta, costituisce un motivo di confidenza. I piccoli, gli umili, i poveri vi trovano un invito divino ad amare la condizione in cui vivono poiché ebbe il privilegio d'attirare sulla terra il Figlio di Dio e perché le sono anticipatamente assicurate le compiacenze del Padre celeste.

Nazareth. Vien dunque a proposito ricercare nel Vangelo le manifestazioni di questa umiltà. La stessa città ove visse la santa Famiglia sembra aver avuto la proverbiale riputazione di mediocrità: «Può forse uscir qualcosa di buono da Nazareth? » diceva Natanaele (Gv. 1, 46). Eppure, «non è nella città reale di Gerusalemme e neppure nel tempio che le dava splendore, che viene mandato il santo angelo; ma... in una piccola città dal nome quasi sconosciuto; ma alla sposa di un uomo che, veramente, era come lei di famiglia reale, ma ridotto ad un mestiere pesante, moglie di un artigiano ignoto, di un povero falegname» (Bossuet). In questo villaggio «un'umile casa, ma più augusta del tempio; un arredamento umile e povero; un operaio, la sua sposa vergine. Osserviamo: abbiamo tutto da imparare. Nazareth è la scuola per eccellenza. Notiamo l'ambiente e l'atmosfera in cui si compiono le opere di Dio: l'umiltà, la povertà, la solitudine, la purezza, l'obbedienza» (Dom Delatte).

Betlemme. La nascita di Gesù apporta forse qualche lustro alla Sacra Famiglia? Quantunque decaduta dalla sua origine reale, per ciò stesso che discende dalla stirpe di Davide e che i Magi hanno portato i loro doni al neonato fa supporre in lui un rivale che Erode tenterà di eliminare. Per sottrarlo a questo pericolo è necessario fuggire in Egitto. «Strana condizione di un povero artigiano che si vede bandito improvvisamente, e perché? Perché ha Gesù e l'ha in sua compagnia. Prima ch'Egli fosse nato alla sua santa Sposa, essi vivevano poveramente ma tranquilli nella loro casa, guadagnando alla bell'e meglio la vita col lavoro delle loro mani; ma appena viene loro dato Gesù, non hanno più riposo. Tuttavia Giuseppe si sottomette e non si lamenta di questo bambino fastidioso che porta solo la persecuzione; parte; va in Egitto dove tutto gli è nuovo, senza sapere quando potrà ritornare nella sua povera casa. Non si ha Gesù per niente: bisogna prender parte alle sue croci » (Bossuet).

Anche qui San Giuseppe è il modello di tutti coloro che, in questa nostra società paganeggiante, dovranno aspettarsi d'essere segnati a dito, forse d'essere anche perseguitati, privati del lavoro, per l'unica ragione che sono fedeli a Cristo. Quanti genitori dovranno assottigliare le già modeste risorse e imporsi duri sacrifici per assicurare ai loro figli un'educazione cristiana, perché il Cristo viva nelle loro anime! La riflessione del Bossuet ha tutto il suo valore: «Ovunque entra Gesù, vi entra con la sua croce... Non si ha Gesù per niente».

Il laboratorio di Nazareth. Tuttavia la Sacra Famiglia rientrò dall'Egitto e, per consiglio dell'Angelo, ritornò a stabilirsi a Nazareth. Il fanciullo Gesù cresceva in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini e il Vangelo ci dice semplicemente che era loro sottomesso. «È dunque tutta qui l'occupazione di un Gesù Cristo, del Figlio di Dio? Tutto il suo lavoro, tutto il suo esercizio sta nell'obbedire a due sue creature? E in che cosa poi? negli uffici più bassi, nell'esercizio di un mestiere manuale. Dove sono quelli che si lamentano, che brontolano quando il loro impiego non corrisponde alle loro capacità?... Vengano nella casa di Maria e Giuseppe e osservino Gesù Cristo al lavoro. Non leggeremo mai che i suoi genitori abbiano avuto dei servi: come tutta la povera gente, sono i figli che fan da servitori» (Bossuet).

Ora Gesù, come tutti gli operai dapprima fu apprendista e il maestro che l'avviò all'umile professione non fu altri che Giuseppe, suo padre putativo. Quale fosse il mestiere di San Giuseppe e, per conseguenza, quello di Gesù, il Vangelo non lo dice espressamente; però non ci lascia completamente al buio a questo riguardo. Infatti San Marco scrive che Gesù era faber, e San Matteo fabri filius. Senza dubbio questa parola designava ogni operaio che lavorava materia dura, legno, pietra o metallo; ma la tradizione più comune e la sola che sia rimasta fino ai nostri giorni, vuole San Giuseppe un lavoratore del legno. Lo si dice anche carpentiere, ma questa parola non dev’essere presa nel senso preciso che le vien dato oggi: allora indicava chiunque lavorasse il legno.

Anche i Padri della Chiesa si sono compiaciuti di rilevare il valore simbolico dell'arte manuale che San Giuseppe insegnò a Gesù, il costruttore del mondo «fabricator mundi», che è venuto per edificare la Chiesa prefigurata nell'arca di Noè, quella vasta casa natante ove trovarono rifugio quelli che dovevano sfuggire al diluvio. Essi hanno soprattutto notato che Gesù, il quale aveva scelto il legno della croce per salvare il genere umano, durante la sua vita nascosta si era preparato all'opera della salvezza lavorando il legno. Ed è coi gesti che gli erano da tanto tempo familiari che Gesù si è caricato sulle spalle la pesante croce del suo supplizio. Insegnandogli il suo mestiere, Giuseppe dava il suo contributo all'opera redentrice di Gesù. Vi fu mai sulla terra lavoro più glorioso, più utile agli uomini, più ricco di insegnamenti, che l'umile lavoro manuale che veniva fatto nella povera falegnameria di Nazareth dal falegname Giuseppe e da Gesù, figlio di Dio, suo garzone?

Preghiera.

Umile artigiano di Nazareth, glorioso protettore degli operai, volgete il vostro sguardo verso gli operai del nostro secolo. Il loro lavoro generalmente non rassomiglia a quello che voi faceste un tempo, né le moderne officine al quieto laboratorio di Nazareth. Il rumore assordante che vi regna impedisce allo spirito di elevarsi, come vorrebbe, al di sopra della materia; ma, soprattutto, una specie di paganesimo ne ha allontanato il Cristo che, solo, vi poteva portare la sua pace, la sua giustizia, la sua carità.

Per alleviare il peso, insegnateci ad amare il lavoro. Da semplice svago qual era nel paradiso terrestre, è diventato un castigo con la caduta del primo uomo. Considerato disonorevole dal mondo antico, era riservato agli schiavi. Però già da tempo il salmista ne aveva proclamato la nobiltà: «Nutriti col lavoro delle tue mani e sarai felice e colmo di beni». Ma Cristo è venuto e vi si è sottomesso, «e ciò facendo nobilitava il lavoro degli uomini e mutava in rimedio l'antica maledizione portata contro l'uomo in punizione del peccato originale. Sottoponendosi alla legge del lavoro, insegnava agli uomini, ai peccatori, a santificarsi per questa via » (Bossuet).

A vostro esempio, o Giuseppe, a loro basta ormai unire il loro lavoro a quello di Cristo per farne un'opera meritoria che riunisce Cristo e i suoi fratelli sotto lo stesso sguardo di compiacenza del Padre celeste.

Reso più facile agli uomini, il lavoro sarà anche un'offerta grata a Dio se, attenti allo spettacolo della vostra bottega di Nazareth, vi prendono l'esempio d'unione al Figlio di Dio che lavora con le sue mani, di fedeltà ai doveri del proprio stato, nella giustizia e nella Carità che farà del loro lavoro una vera preghiera e tra i loro compagni di lavoro una vera testimonianza resa a Cristo. Possiamo noi essere docili al vostro esempio, fiduciosi nel vostro patrocinio e, compiendo l'opera che ci è indicata dal Signore, ottenere le ricompense ch'Egli ci promette. Così sia.

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, Il Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959