Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

29 gennaio

San Francesco di Sales
San Francesco di Sales

San Francesco di Sales
Vescovo e dottore della Chiesa
(1567-1622)

San Francesco nacque nella Savoia il 21 agosto 1567. Studiò a Parigi e quindi a Padova. Ordinato sacerdote il 18 ottobre 1593 e fatto Prevosto della chiesa di Ginevra, si dedicò con molte fatiche e con successo alla conversione dei Protestanti del Chiablese, e ne ricondusse 72.000 alla fede cattolica. Consacrato Vescovo di Ginevra 1’8 dicembre 1602, fondò otto anni più tardi l’Ordine della Visitazione, scrisse libri d’una dottrina celeste e diffuse in ogni parte i raggi della sua santità con il suo zelo, la sua dolcezza, la sua misericordia verso i peccatori e tutte le altre virtù. Morì a Lione il 28 gennaio 1622. Alessandro VII lo canonizzò il 19 aprile 1665 e Pio IX lo ha dichiarato Dottore della Chiesa il 19 luglio 1877. Il suo corpo riposa nella casa della Visitazione ad Annecy.


Ecco venire alla culla del dolce Figlio di Maria l’angelico vescovo Francesco di Sales, degno di occuparvi un posto distinto per la soavità della sua virtù, per l’amabile infanzia del suo cuore, per l’umiltà e la tenerezza del suo amore. Eccolo giungere circondato da una magnifica scorta: settantaduemila eretici sottomessi alla Chiesa dall’influsso della sua carità; un intero Ordine di ancelle del Signore concepito nel suo amore, realizzato dal suo genio celeste; tante migliaia di anime conquistate alla pietà dai suoi insegnamenti tanto sicuri quanto liberali, che gli hanno meritato il titolo di Dottore.

Dio lo diede alla Chiesa per consolarla delle bestemmie dell’eresia la quale andava predicando che la fede romana era sterile per la carità; pose questo vero ministro del vangelo di fronte agli accaniti seguaci di Calvino; e l’ardore della carità di Francesco di Sales sciolse il ghiaccio di quei cuori ostinati. Se avete degli eretici da convincere – diceva il dotto cardinale du Perron – potete mandarli da me; se avete degli eretici da convertire, indirizzateli al vescovo di Ginevra.

Francesco di Sales si erge dunque, in mezzo al suo secolo, come vivente immagine di Cristo che apre le braccia e chiama i peccatori alla penitenza, gli erranti alla verità, i giusti al progresso verso Dio, e tutti alla fiducia e all’amore. Lo Spirito divino si era posato su di lui con tutta la sua forza e tutta la sua dolcezza: era logico, nei giorni in cui abbiamo celebrato la discesa di quello Spirito sul Verbo nelle acque del Giordano, non dimenticare il rapporto che corre fra il grande Vescovo e il suo divin Capo. Un giorno di Pentecoste, ad Annecy, Francesco era all’altare, per offrire il divin Sacrificio. Una colomba entrata nella Cattedrale, fu spaventata dai canti e dalla moltitudine del popolo. Dopo aver volteggiato a lungo, andò a posarsi, con grande emozione dei fedeli, sul capo del santo Vescovo: chiaro simbolo della dolcezza di Francesco come il globo di fuoco che apparve, durante i sacri Misteri, sul capo di san Martino indicava l’ardore che divorava il cuore dell’Apostolo delle Gallie.

Un’altra volta, nella Festa della Natività della Vergine, Francesco stava officiando i Vespri, nella Collegiale di Annecy. Era assiso su un trono i cui bassorilievi rappresentavano l’Albero profetico di Jesse, che ha prodotto, secondo l’oracolo di Isaia, il virgineo ramo da cui è uscito il fiore divino sul quale si è posato lo Spirito d’amore. Si stavano cantando i Salmi allorché, da una fessura della vetrata del coro, dalla parte dell’Epistola, una colomba penetra nella Chiesa. Dopo aver volteggiato per qualche tempo, dice lo storico, andò a posarsi sulla spalla del santo Vescovo, e di qui sui suoi ginocchi, donde la presero i ministri assistenti. Dopo i Vespri, Francesco, desideroso di allontanare da sé la favorevole applicazione che quel simbolo ispirava naturalmente al popolo, salì sulla cattedra, e si affrettò a togliere qualunque idea d’un favore celeste che fosse stato fatto alla sua persona, celebrando Maria che, piena della grazia dello Spirito Santo, ha meritato di essere chiamata la colomba tutta bella, nella quale non v’è alcuna macchia.

Se si vuoi trovare fra i discepoli del Salvatore il tipo di santità che fu elargito al santo Prelato, la mente e il cuore corrono subito a Giovanni, il discepolo prediletto. Francesco di Sales è al pari di lui l’Apostolo della carità; e la semplicità dell’Evangelista che stringe un uccellino fra le sue venerabili mani, è madre di quella graziosa innocenza che è nel cuore del Vescovo di Ginevra. Giovanni, al solo vederlo, a sol sentirne la voce, faceva amare Gesù; e i contemporanei di Francesco dicevano: O Dio, se tale è la bontà del Vescovo di Ginevra, quale deve mai essere la tua!

Questo rapporto fra l’amico di Cristo e Francesco di Sales si rivelò ancora nell’istante supremo, allorché il giorno stesso di san Giovanni, dopo aver celebrato la santa Messa e aver comunicato di sua mano le dilette figlie della Visitazione, sentì quel mancamento che doveva recare alla sua anima la liberazione dai legami del corpo. Si strinsero attorno a lui; ma la sua conversazione era ormai nel cielo. Volò verso la sua patria l’indomani, nella festa dei santi Innocenti in mezzo ai quali aveva diritto di riposare eternamente per il candore e la semplicità della sua anima.

Il posto di Francesco di Sales sul calendario era dunque segnato in compagnia dell’Amico del Salvatore e di quelle tenere vittime che la Chiesa paragona a un grazioso mazzo di rose; e se è stato impossibile collocare la sua memoria nell’anniversario della sua dipartita da questo mondo perché quei due giorni sono occupati dalla solennità di san Giovanni e da quella dei Bambini di Betlemme, per lo meno la santa Chiesa ha potuto ancora celebrare la sua festa nel periodo di tempo consacrato ad onorare la Nascita dell’Emmanuele.

Spetta dunque a questo amante del neonato Re rivelarci le attrattive del Bambino della mangiatoia. Cercheremo il suo pensiero, per nutrircene nella sua corrispondenza, dove riproduce con tanta soavità i pii sentimenti che si effondevano dal suo cuore davanti ai misteri della Natività.

Verso la fine dell’Avvento del 1619, scriveva a una religiosa della Visitazione per esortarla a disporre il cuore alla venuta dello Sposo celeste: “Dilettissima figlia, ecco il piccolo caro Gesù che sta per nascere in nostra commemorazione, nelle prossime feste; e poiché egli nasce per visitarci da parte del suo eterno Padre, mentre i pastori e i re verranno in cambio a visitarlo alla culla, penso, che egli è nello stesso tempo il Padre e il Figlio di Santa Maria della Visitazione.

Orsù, accarezzalo; dagli ospitalità insieme con tutte le nostre sorelle, cantagli dei bei cantici, e soprattutto adoralo con forza e dolcezza, e in lui adora la sua povertà, la sua umiltà, la sua obbedienza e la sua dolcezza, sull’esempio della sua santissima Madre e di san Giuseppe; prendi una delle sue care lacrime, dolce rugiada del cielo, e mettitela sul cuore, affinché questo non provi mai altra tristezza se non quella che allieta il dolce Bambino; e quando gli raccomanderai la tua anima, raccomandagli di quando in quando anche la mia, che è certo tutta tua.

Saluto affettuosamente la diletta schiera delle nostre sorelle, che io considero come semplici pastorelle che vegliano sui loro greggi, cioè sui loro affetti e che, avvertite dall’Angelo, vanno a rendere omaggio al divino Bambino, e in pegno della loro eterna servitù gli offrono il più bello fra i loro agnelli, cioè il loro amore, senza riserve ne eccezioni”.

Alla vigilia della Nascita del Salvatore, gustando in anticipo le gioie della notte che darà alla terra il suo Redentore, Francesco si effonde con la sua figlia prediletta, Giovanna Francesca di Chantal, e la invita a gustare insieme con lui le bellezze del divino Bambino e a trar profitto dalla sua visita.

“Il grande piccolo Bambino di Betlemme sia per sempre la delizia e l’amore del nostro cuore, dilettissima madre mia e figlia mia! Oh, come è bello questo povero tenero bimbo! Mi par di vedere Salomone sul suo trono d’avorio, ornato d’oro e di disegni, che non ebbe uguali fra i regni, come dice la Scrittura, come questo re non ebbe uguali in gloria e magnificenza. Ma amo cento volte di più vedere il caro bambino nella mangiatoia che vedere tutti i re sui loro troni.

Ma se io lo vedo sulle ginocchia della sua santa Madre o fra le sue braccia, con la boccuccia che sembra un bocciolo di rosa attaccata al suo purissimo seno, o Dio! lo trovo magnifico, su quel trono non solo più di Salomone sul suo trono d’avorio, ma anche più di quanto l’eterno figlio del Padre non lo fosse stato in cielo; perché se il cielo ha più dell’essere visibile, la Santa Vergine possiede più perfezioni invisibili; e una goccia di latte che fluisce castamente dal suo santo seno vale più di tutti gli effluvi celesti. Il grande san Giuseppe ci faccia partecipi della sua consolazione, e la santa Madre del suo amore: e il Bambino voglia spargere per sempre i suoi meriti nei nostri cuori!

Ti prego, sta il più dolcemente possibile presso il celeste bambino: egli non cesserà di amare il tuo diletto cuore così come è, senza tenerezza e senza sentimento. Vedi come riceve l’alito del grosso bue e dell’asino che non hanno alcun affetto e sentimento? E come non riceverà le aspirazioni del nostro povero cuore il quale, per quanto attualmente privo di tenerezza, tuttavia si mostra totalmente e con fermezza ai suoi piedi per essere eternamente servo fedele del suo e di quello della sua santa Madre e del grande governatore del piccolo Re?”.

La notte santa è passata portando la Pace agli uomini di buona volontà; Francesco cerca ancora il cuore della figlia che Gesù gli ha affidata, per versarvi tutte le dolcezze che ha provate nella contemplazione del mistero d’amore.

“Viva, Gesù! Quanto è dolce questa notte, figlia mia dilettissima! I cieli, canta la Chiesa, stillano miele da ogni parte; e io penso che i santi Angeli che fanno risonare nell’aria il loro magnifico cantico, vengono per raccogliere il miele celeste sui gigli dove si è posato, sul petto della dolcissima Vergine e di san Giuseppe. Temo, figlia diletta, che quei divini Spiriti si confondano fra il latte che esce dal purissimo seno e il miele celeste che è attaccato ad esso. Che dolcezza vedere il miele succhiare il latte!

Ma dimmi, figlia diletta, sono io forse tanto ambizioso se pensassi che i nostri buoni Angeli, il mio e il tuo, si trovarono anch’essi nella magnifica schiera di musici celesti che cantarono in quella notte? Oh, Dio! Se si compiacessero di intonare nuovamente, alle orecchie del nostro cuore, quella celeste canzone, che gioia, che gaudio! Li supplico di farlo, affinché sia gloria al cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà.

Tornando dunque dai santi Misteri, io saluto così la mia figlia diletta; poiché credo che anche i pastori, dopo aver adorato il celeste Bambino che il cielo aveva loro annunciato, si riposarono un poco. Ma, oh, Dio! Quanta soavità, penso, nel loro sonno! Sembrava ad essi di sentire ancora la sacra melodia degli Angeli che li aveva salutati così dolcemente con il loro cantico, e di vedere sempre il dolce Bambino e la Madre ai quali erano andati a far visita.

Che cosa potremmo dare al nostro piccolo Re, che non abbiamo ricevuto da lui e dalla sua divina liberalità? Orsù, io gli offrirò, dunque nella santa Messa solenne, la dilettissima figlia che egli mi ha data. O Salvatore delle anime nostre, rendila tutta d’oro per la carità, tutta di mirra per la mortificazione e tutta d’incenso per la preghiera, e quindi ricevila fra le braccia della tua protezione; il tuo cuore dica al suo: Io sono la tua salvezza nei secoli dei secoli”.

Parlando altrove a un’altra sposa di Cristo, la esorta in questi termini a nutrirsi della dolcezza del neonato: “La tua anima, come una mistica ape, non abbandoni mai quel caro piccolo Re, e faccia il suo miele attorno a lui, in lui e per lui; lo prenda anzi su di lui, che ha le labbra adorne di grazia e sulle quali, più beatamente di quanto si vide su quelle di sant’Ambrogio, le santi api, radunate in sciame, si danno al loro dolce e grazioso lavoro”.

È necessario far punto, ma indugiamoci ancora un poco per udirlo narrare le bellezze del santissimo Nome di Gesù, dato al Salvatore nei dolori della Circoncisione. Così egli scrive alla sua santa cooperatrice:
“O Gesù, riempi il nostro cuore del sacro balsamo del tuo Nome divino, affinché la soavità del suo odore si effonda in tutti i nostri sensi, e si spanda in tutte le nostre azioni. Ma per rendere questo cuore capace di ricevere cosi dolce liquore, circoncidilo, e strappane tutto ciò che può tornare sgradito ai tuoi santi occhi. O Nome glorioso, che la bocca del Padre celeste ha chiamato dall’eternità, sii per sempre l’emblema dell’anima nostra, affinché, come tu sei Salvatore, essa sia eternamente salva! O Vergine santa, che, prima fra tutti, hai pronunciato quel Nome di salvezza, ispiraci il modo di pronunciarlo come si conviene, affinché tutto spiri in noi la salvezza che il tuo seno ci ha apportata.

Figlia dilettissima, era giusto scrivere la prima lettera di quest’anno a Nostro Signore e a Maria Vergine; ecco ora la seconda con la quale, figlia mia ti auguro il buon anno, e consacro il nostro cuore alla divina bontà. Possiamo trascorrere in modo tale quest’anno che esso ci serva di fondamento per l’anno eterno! Proprio questa mattina, nel destarmi, ho gridato alle tue orecchie: Viva Gesù! E avrei voluto spargere questo olio santo su tutta la superficie della terra.

Quando un balsamo è ben chiuso in una fiala, nessuno sa distinguere quale liquido contenga, se non chi ve l’ha messo; ma quando si è aperta la fiala e si è versata qualche goccia, ognuno dice: è un balsamo. Figlia diletta, il nostro amato Gesù Bambino era tutto pieno del balsamo di salvezza; ma non lo si conosceva finché con il coltello dolcemente crudele è stata lacerata la sua carne divina; e allora si è saputo che egli è tutto balsamo e olio diffuso, e che è il balsamo di salvezza. Per questo san Giuseppe e la Vergine, e quindi tutto il vicinato, cominciano ad esclamare: Gesù! – che significa Salvatore.

Piaccia a questo divino Bambino bagnare i nostri cuori nel suo sangue, e renderli odorosi del suo santo Nome, affinché le rose dei buoni desideri che abbiamo formulati, siano tutte imporporate del suo colore, e tutte odoranti del suo unguento!”.


Preghiera a San Francesco di Sales

Conquistatore pacifico delle anime, Pontefice amato da Dio e dagli uomini, noi celebriamo in te la dolcezza dell’Emmanuele. Avendo imparato da lui ad essere dolce ed umile di cuore, tu hai, secondo la sua promessa, posseduto la terra (Mt 5,4). Nessuno ti ha potuto resistere: i settari più ostinati, i peccatori più induriti, le anime più tiepide, tutto ha ceduto alla tua parola e ai tuoi esempi. Ci piace contemplarti, presso la culla del Bambino che viene ad amarci, mentre associ la tua gloria a quella di Giovanni e degli innocenti: Apostolo come il primo, semplice come i figli di Rachele! Stabilisci per sempre il nostro cuore in questa beata compagnia; ci insegni essa infine che il giogo dell’Emmanuele è dolce, e il suo peso leggero.

Riscalda le anime nostre al fuoco della tua carità, e fomenta in esse il desiderio della perfezione. Dottore delle vie spirituali, introducici in quella santa Via di cui hai tracciato le leggi; rianima nei nostri cuori l’amore del prossimo, senza il quale non potremmo sperare di possedere l’amore di Dio; iniziaci al tuo zelo per la salvezza delle anime; insegnaci la pazienza e il perdono delle ingiurie, affinché ci amiamo tutti, non soltanto con la bocca e con le parole – come dice Giovanni il tuo modello – ma nelle opere e nella verità (1Gv 3,18). Benedici la Chiesa della terra; il tuo ricordo è vivo nella sua mente come se tu l’avessi or ora lasciata per quella del cielo, poiché tu non sei più soltanto il Vescovo di Ginevra, ma l’oggetto dell’amore e della fiducia dell’universo intero.

Affretta la conversione generale dei seguaci dell’eresia calvinista. Le tue preghiere hanno già fatto progredire l’opera del ritorno, e il sacrificio dell’Agnello si offre oggi pubblicamente nella protestante Ginevra. Procura al più presto il pieno trionfo di Santa Madre Chiesa. Estirpa in mezzo a noi gli ultimi residui dell’eresia giansenista, che si disponeva a seminare la sua zizzania nei giorni stessi in cui il Signore ti ritoglieva da questo mondo. Purifica le nostre regioni dalle massime e dalle abitudini pericolose che hanno ereditate dai tempi in cui trionfava quella perversa setta. Benedici con tutta la tenerezza del tuo cuore paterno il santo Ordine che hai fondato e che hai consacrato a Maria sotto il titolo della sua Visitazione. Conservalo nello stato di costante edificazione della Chiesa; fa’ che progredisca, e dirigilo affinché si conservi il tuo spirito nella famiglia della quale sei il padre. Proteggi l’episcopato di cui sei stato il decoro e il modello; chiedi a Dio, per la sua Chiesa, Pastori formati alla tua scuola, ardenti del tuo zelo ed emuli della tua santità. Ricordati, infine, della Francia, con la quale hai contratto così stretti legami. Essa si commosse alla fama delle tue virtù, desiderò il tuo apostolato e ti diede la tua più fedele collaboratrice. Tu hai arricchito la sua lingua con i tuoi meravigliosi scritti, e dal suo seno stesso sei partito per andare a Dio: dall’alto del cielo, ritienila anche come tua patria.

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959