Bouquet spirituale:
10 ottobre
Francesco Borgia, terzo Generale della Compagnia di Gesù, il 30 settembre del 1572 rendeva la sua anima a Dio con la serenità confidente dell’uomo, che ha sempre fatto il suo dovere.
Nella sua esistenza movimentata il dovere era stato molto vario. Nipote di Alessandro VI, elegante ed abile cavaliere, confidente di Carlo V imperatore, vice re di Catalogna, gesuita, vicario generale della Compagnia di Gesù per la Spagna, poi successore di sant’Ignazio, legato della Santa Sede, Francesco ebbe sempre a cuore di appartenere prima al Re del cielo e di combattere sotto il suo stendardo, piuttosto che sotto quello dei potenti della terra.
La conversione. Egli aveva valutato per quello che valgono la terra, i suoi piaceri e i suoi onori. Caduto malato mentre era ancora alla corte dell’imperatore, aveva letto, durante il riposo, anziché libri di cavalleria, i Vangeli, le Lettere di san Paolo, libri ascetici e Vite di Santi, imitando Ignazio, che, ferito, aveva profittato delle sue letture, per fare i primi passi nell’orazione.
La morte dell’imperatrice Isabella, avvenuta nel 1539, gli portò una luce più abbondante sopra la vanità delle cose e cominciò allora a riformare la sua vita, che era già edificante, dandosi alla lettura, all’orazione e alla mortificazione.
Il vice re di Catalogna. Dio, che lo voleva tutto per se, dispose che gli morisse la moglie il 27 marzo 1546 e Francesco si sentì subito portato verso il nuovo Ordine, che tanto contribuiva alla riforma della Chiesa, la Compagnia di Gesù. Non mancavano ostacoli sul suo cammino a impedirgli di seguire il proposito e per qualche tempo continuò ad amministrare il ducato, che gli era stato affidato, con tatto, disinteresse, sollecitudine per la giustizia, sollecitudine che egli aveva sempre rivelata in tutte le cose, sacrificando tutto piuttosto che omettere quello che la coscienza gli imponeva come dovere. Caritatevole verso i piccoli, i deboli, i malati, devoto agli amici, premuroso dei figli, ai quali insieme con i consigli dava il più perfetto e luminoso esempio di vita cristiana che essi potessero desiderare.
Sapeva vivere come un Grande di Spagna quale era, ma soprattutto rivelava una virtù singolare; sapeva farsi temere dai signorotti imbroglioni e senza scrupoli, ma era pronto a perdonare con generosità i suoi nemici.
Contro l’abitudine del tempo, egli si comunicava tutti i giorni, passava in orazione lunghe ore e non permetteva che divertimenti e giochi in casa sua potessero essere occasione di offendere Dio.
Il Gesuita. Mentre Carlo V pensava a richiamare questo servitore insigne alla corte, egli, per privilegio richiesto a sant’Ignazio, faceva professione solenne il 2 febbraio I548, prima ancora di entrare nella Compagnia di Gesù, che soltanto tre anni dopo doveva aprirgli le porte.
La sua vita allora fu più raccolta, più mortificata, al punto che sant’Ignazio dovette dargli consigli di essere prudente. La Spagna si mosse al combattimento, ma Francesco invece desiderava una cosa sola: essere dimenticato. Doveva invece predicare, mostrarsi alle folle, che accorrevano a lui, colpite dall’unzione della sua parola e più ancora per l’irradiarsi della sua santità.
Generale della Compagnia di Gesù. Francesco, che era uomo di azione, doveva essere soprattutto uomo di preghiera e nessuno più di lui seppe conservare, in mezzo a preoccupazioni numerose e diverse, tale intensità di vita interiore. La sua giornata era giornata di preghiera, un’orazione continua, tanto il suo sguardo e il suo cuore erano assorti in Dio. Avrebbe voluto vivere una vita del tutto contemplativa, ma Dio lo strappò a questo desiderio e gli diede il primo posto nella Compagnia, che promuoveva la sua maggior gloria con l’apostolato, la predicazione, l’insegnamento. Ed egli si dedicò con zelo, seppe redigere le Regole della Compagnia e le fece pubblicare come fece pubblicare gli Esercizi Spirituali del fondatore sant’Ignazio, portò rimedio a piccoli abusi, assicurò la formazione intellettuale e spirituale dei giovani religiosi, inviò missionari per il mondo e molti ne pose a servizio di san Carlo Borromeo e del Papa san Pio V. Avrebbe voluto essere esonerato dal suo ufficio e andare nei paesi di missione per versarvi il sangue per Cristo, ma il suo sogno non si realizzò. Salutava tuttavia con amore i suoi figli, che in terre lontane soffrivano per la Fede, li consolava con le lettere, li assisteva con la preghiera ed ebbe la gloria di contare fra i suoi figli sessantasei martiri.
Morì a Roma, appena tornato da un’ambasciata intrapresa per formare una Lega contro i Turchi, sempre minacciosi per la Cristianità. La sua mistica compatriota, la grande santa Teresa d’Avila, già lo salutava come santo.
Vita. Francesco nacque il 28 ottobre 1510. Passò l’infanzia e la giovinezza nella pietà e nell’innocenza, esempio luminoso per i parenti e per gli amici. L’esempio fu più grande ancora per la vita cristiana e l’austerità, che seppe conservare prima alla corte di Carlo V e poi quale vice re di Catalogna. La morte dell’imperatrice, dopo quella della sposa, gli rivelò la vanità del mondo e risolvette di abbandonarlo, per entrare nella Compagnia di Gesù. Vi entrò nel 1551 e fu subito ordinato sacerdote. Sant’Ignazio, testimone delle sue virtù lo nominò suo vicario generale per la Spagna e il l2 luglio 1565 fu terzo Generale della Compagnia. Egli aumentò il numero delle case, mandò missionari in Polonia, al Messico, nel Perù, nelle Indie. Le occupazioni numerose non gli impedivano di dedicare lunghe ore alla preghiera, mentre la sua carità lo faceva tutto a tutti e l’umiltà lo portava a compiere i lavori più umili c a rifiutare gli onori che gli erano offerti. Al ritorno da un’ambasciata affidatagli dal Papa, morì a Roma il 30 settembre 1572 e numerosi miracoli rivelarono tosto quanto a Dio era caro. Clemente X lo canonizzò il 21 giugno 1670 con i santi: Gaetano, Filippo Benizi, Luigi Bertram e santa Rosa da Lima.
L’umiltà.
“Signore Gesù Cristo, modello della vera umiltà e sua ricompensa, tu che facesti del beato Francesco un tuo glorioso imitatore nel disprezzo degli onori della terra, fa’ che imitandoti come egli ti ha imitato, possiamo essere partecipi della sua gloria” (Colletta del giorno).
Questa è la preghiera che la Chiesa presenta con i tuoi auspici a Cristo. La Chiesa sa che l’intercessione dei Santi è sempre potente presso Dio, ma lo è in modo particolare quando chiedono per i loro devoti la grazia di praticare le virtù che essi hanno praticato.
Quanto preziosa questa prerogativa, o Francesco, dato che si esercita nel campo della virtù che attira sul mondo tutte le grazie, come assicura al cielo tutte le grandezze! Dopo che l’orgoglio precipitò Lucifero negli abissi e l’abbassamento del Figlio dell’uomo riportò l’uomo oltre i cieli (Fil. 2, 6-11) l’umiltà non ha perduto il suo inestimabile valore, qualsiasi cosa se ne pensi oggi, e resta il fondamento indispensabile di ogni costruzione spirituale o sociale che aspiri a durare; la base senza la quale le altre virtù non sussistono, neppure la carità. Ottieni, o Francesco, che siamo umili, che comprendiamo la vanità degli onori del mondo e dei suoi falsi piaceri. Possa la santa Compagnia che tu, dopo Ignazio hai saputo aumentare ancora di importanza per la Chiesa, custodire prezioso il tuo spirito per crescere sempre nella stima del cielo e nella riconoscenza della terra.
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959