Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

26 maggio

San Filippo Neri
San Filippo Neri

San Filippo Neri
Sacerdote e fondatore
(1515-1595)

La gioia. La gioia è il carattere principale del Tempo pasquale: gioia soprannaturale, motivata dal trionfo dell’Emmanuele e dal sentimento della nostra liberazione dai vincoli della morte. Ora, questo sentimento di allegrezza interiore ha regnato in modo caratteristico nel servo di Dio che oggi onoriamo. Ed è proprio di un tale uomo, il cui cuore fu sempre nel giubilo e nell’entusiasmo delle cose divine , che si può dire con la Sacra Scrittura «che il cuore del giusto è come un festino continuo » (Prov. 15, 15). Uno dei suoi ultimi discepoli, il Padre Faber, fedele alla dottrina del maestro, c’insegna nell’opera Il progresso spirituale che il buon umore è uno dei mezzi principali di avanzamento nella perfezione cristiana. Noi accogliamo, dunque, con altrettanta allegrezza che rispetto, la figura radiosa e bonaria di Filippo Neri, l’Apostolo di Roma nel XVI secolo.

Vita. Filippo nacque a Firenze nel 1515. Dopo un’infanzia molto pia, si recò a Roma per studiare filosofia e teologia. Divenuto sacerdote nel 1551, si consacrò interamente al servizio delle anime e, per essere loro di maggior aiuto, fondò la Congregazione dell’Oratorio, che fu approvata da Gregorio XIII nel 1575. La sua orazione era così elevata che spesso egli era rapito in estasi; era dotato del dono della profezia e da quello di leggere nelle anime. Nel 1593 dette le dimissioni da Superiore dell’Oratorio e morì il 24 maggio 1602. Venti anni dopo, veniva canonizzato insieme a Ignazio di Loyola, a Teresa d’Avila e a Francesco Saverio.

La carità. L’amore di Dio, un amore ardente che si comunicava invincibilmente a tutti quelli che lo avvicinavano, fu la caratteristica principale della sua vita. Tutti i santi hanno amato Idio, poiché l’amore suo è il primo e il più grande dei comandamenti; ma la vita di san Filippo realizza questo precetto con una pienezza, si direbbe quasi, incomparabile. La sua esistenza non fu che un trasporto d’amore verso il supremo Signore di tutte le cose; e, senza un miracolo della potenza e della bontà di Dio, questo amore così ardente nel cuore di Filippo avrebbe consumato la sua vita prima del tempo. Era arrivato al ventinovesimo anno di età, quando un giorno, durante l’Ottava della Pentecoste, il fuoco della divina carità infiammò il suo cuore, con un tale impeto, che gli si spezzarono due costole nel petto, lasciando così al cuore lo spazio necessario per cedere, ormai senza pericolo , ai trasporti che lo invadevano tutto. Questa frattura non si rinsaldò mai più. Ognuno lo avrebbe potuto costatare, essendogli rimasto esteriormente una visibile prominenza. Grazie a tale miracoloso sollievo, Filippo poté vivere ancora cinquant’anni in preda a tutti gli ardori di un amore che apparteneva più al cielo che alla terra.

La santità e la dedizione nella Chiesa. Questo serafino in un corpo umano fu come una risposta vivente agli insulti con i quali la pretesa Riforma perseguitava la Chiesa cattolica.

Lutero e Calvino l’avevano chiamata l’infedele e la prostituta di Babilonia; ed ecco che questa medesima Chiesa poteva mostrare, agli amici ed ai nemici, figli come una Teresa nella Spagna, un Filippo Neri, a Roma. Ma il protestantesimo si preoccupava molto di scuotere il giogo, e ben poco dell’amore. In nome della libertà della fede, oppresse i deboli ovunque dominò, e s’impiantò con la forza anche là dove veniva respinto, senza però rivendicare il diritto di Dio che deve essere amato. Fu così che si vide scomparire, dai paesi che invase, quel sentimento di dedizione, fonte del sacrificio verso Dio e verso il prossimo.

Passò un lungo periodo di tempo prima che la pretesa Riforma si accorgesse che esistono ancora degli infedeli sulla superficie del globo. E, se più tardi, essa si è fastosamente imposta l’opera delle missioni, sappiamo abbastanza quali apostoli sceglie, come organi delle sue strane società bibliche. È dunque dopo tre secoli che si accorge che la Chiesa cattolica non ha cessato di produrre delle corporazioni votate alle opere di carità. Preoccupata da una tale scoperta, essa esperimenta, in alcuni luoghi, le sue diaconesse e le sue infermiere. Qualunque cosa avvenga da uno sforzo così tardivo, si può ragionevolmente credere che non assumerà mai vaste proporzioni; e ci è permesso di pensare che quello spirito di dedizione che sonnecchiò durante tre secoli nel cuore del protestantesimo, non sia precisamente l’essenza del suo carattere, quando lo si è visto, nelle contrade che ha invaso, disseccare perfino la sorgente dello spirito di sacrificio, arrestando violentemente la pratica dei consigli evangelici, i quali non trovano la loro ragione di essere che nell’amor di Dio.

Gloria dunque a Filippo Neri, uno dei più degni rappresentanti della divina carità nel XVI secolo! Sotto il suo impulso, prima Roma, e ben presto poi tutta la cristianità, ripresero nuova vita con la frequenza dei Sacramenti, e nell’aspirazione ad una pietà più fervorosa. La sua parola, la sua stessa presenza, elettrizzavano il popolo cristiano nella città santa. E fino ad oggi l’orma dei suoi passi non si è cancellata. Ogni anno il ventisei maggio, Roma celebra la memoria del suo pacifico riformatore. Filippo divide con i santi apostoli l’onore di essere Patrono della città di san Pietro.

Il taumaturgo. Filippo ebbe il dono dei miracoli, e mentre non chiedeva per se stesso che l’oblio ed il disprezzo, vide invece stringersi intorno a sé tutto un popolo che domandava ed otteneva, con l’intercessione della sua preghiera, la guarigione dei mali della vita presente, e nello stesso tempo, la riconciliazione delle anime con Dio. Anche la morte stessa obbedì al suo comando, come ne dette testimonianza quel giovane principe Paolo Massimo, che Filippo richiamò in vita, quando già si preparavano i suoi funerali. Mentre questo adolescente rendeva l’ultimo respiro, il servo di Dio, al quale si era rivolto perché lo assistesse nel transito, celebrava il santo Sacrificio. Poi, al suo ingresso nel palazzo, Filippo vede ovunque i segni del lutto: il padre desolato, le sorelle in lacrime , la famiglia costernata; tristi costatazioni che colpiscono il suo sguardo. Il giovinetto era deceduto dopo una malattia di sessantacinque giorni, che aveva sopportato con rara pazienza. Filippo si getta in ginocchio e, dopo un’ardente preghiera, impone la mano sulla testa del defunto, chiamandolo a nome e a voce alta. Paolo, risvegliato dal sonno della morte per mezzo di quella potente parola, apre gli occhi, rispondendo teneramente: «Padre mio». E poi aggiunge: «Vorrei solamente confessarmi». I presenti si allontanano un momento e Filippo resta solo, con colui che ha riconquistato dalla morte. Ben presto i parenti vengono chiamati, e Paolo, in loro presenza, parla con Filippo della madre e di una sorella che egli amava teneramente e che la morte gli rapì. Durante questo conversazione il volto del giovane, fino a poco fa sfigurato dalla febbre, riprende i suoi colori e la sua grazia di un tempo. Mai Paolo era sembrato così pieno di vita! Il santo gli domanda allora se sarebbe morto volentieri di nuovo. «Oh! sì , molto volentieri, risponde il ragazzo; perché così potrò vedere in Paradiso mia madre e mia sorella» «Vai allora , risponde Filippo, parti verso la felicità, e prega il Signore per me». A queste parole, il giovanetto torna a spirare ed entra nelle gioie dell’eternità, lasciando i presenti commossi di dolore e di ammirazione. Tale era quest’uomo favorito quasi continuamente dalle visite del Signore, nei rapimenti e nelle estasi; dotato di spirito profetico; che penetrava le coscienze con uno sguardo, che spandeva il profumo delle sue virtù, attirando così le anime con irresistibile incanto. La gioventù romana di ogni condizione si stringeva intorno a lui. Ad alcuni abbatteva gli scogli, ad altri , tendeva la mano per salvarli nel naufragio. I poveri, i malati erano costantemente oggetto della sua sollecitudine. A Roma, egli si moltiplicava, esplicando ogni forma di zelo, lasciando così anche dopo di lui un impulso per le buone opere che non si è mai affievolito.

Il fondatore. Filippo aveva compreso che la conservazione del costume cristiano dipendeva specialmente dalla efficace diffusione della parola di Dio, e nessuno si mostrò più sollecito di lui nel procurare ai fedeli apostoli capaci di invitarveli con una predicazione solida ed attraente. Egli fondò, sotto il nome di Oratorio, una istituzione che ancora dura, ed il cui scopò era di rianimare e di mantenere la pietà nelle popolazioni. Questa istituzione, che non bisogna confondere con l’Oratorio della Francia, si propone di utilizzare lo zelo ed il talento di quei sacerdoti che la divina vocazione non chiama alla vita del chiostro, ma che, associandosi nei loro sforzi, giungono ugualmente a produrre abbondanti frutti di santificazione.

Fondando l’Oratorio, senza legare i membri di questa associazione coi voti religiosi, Filippo si adattava al genere di vocazione che essi avevano ricevuto dal cielo, e assicurava loro, per lo meno, i vantaggi di una regola comune, con l’aiuto dell’esempio: aiuto così efficace per sostenere l’anima nel servizio di Dio e nella pratica delle opere di zelo. Ma il santo apostolo era troppo attaccato alla fede della Chiesa, per non stimare la vita religiosa come lo stato di perfezione. Durante tutta la sua lunga carriera, non cessò d’indirizzare verso il chiostro quelle anime che a lui sembravano chiamate alla professione dei voti. Per mezzo suo i diversi ordini religiosi si accrebbero di un numero immenso di persone, da lui messe alla prova con discernimento: in modo tale che sant’Ignazio di Loyola, amico intimo di Filippo e suo ammiratore, lo paragonava scherzosamente alla campagna che convoca i fedeli in Chiesa, anche se essa non vi entra!

La lotta contro il protestantesimo. La terribile crisi che agitò il cristianesimo nel xvi secolo e tolse alla Chiesa cattolica un numero così grande delle sue province, colpì dolorosamente Filippo. Soffriva crudelmente nel vedere tanti lasciarsi inghiottire, gli uni dopo gli altri, nel baratro dell’eresia. Gli sforzi che lo zelo tentava di fare per riconquistare quelle anime sedotte dalla pretesa Riforma, facevano battere il suo cuore, mentre con occhio vigile, osservava le manovre con le quali il protestantesimo lavorava per mantenere la sua influenza. Le Centurie di Magdeburgo, vasta compilazione storica, era destinata a sovvertire i lettori, persuadendoli, con l’aiuto di brani falsificati, di fatti denaturati e spesso anche inventati, che la Chiesa Romana aveva abbandonato l’antica fede e sostituito la superstizione alle pratiche primitive. Questo lavoro sembrò a Filippo di una portata così pericolosa, che solo un’opera superiore per erudizione, attinta dalle reali fonti della verità, avrebbe potuto assicurare il trionfo della Chiesa cattolica.

Egli aveva intuito il genio di Cesare Baronie, uno dei suoi compagni all’Oratorio. Prendendo in mano la causa della fede, ordinò a quest’uomo sapiente di entrare subito nella lizza, e di opporsi al nemico della vera fede, basandosi sul terreno della storia. Gli Annali ecclesiastici furono il frutto di questa grande idea di Filippo; ed il Baronie stesso ne rende testimonianza al principio del suo ottavo libro. Quattro secoli sono passati su quest’opera insigne. Con i mezzi scientifici di cui disponiamo adesso, è facile segnalarne le imperfezioni; ma la storia della Chiesa, mai è stata raccontata con una dignità, una eloquenza ed una imparzialità superiore a quelle che regnano in questa sapiente esposizione di fatti, che abbraccia il corso di dodici secoli.

L’eresia accusò il colpo; l’erudizione malsana e infedele dei Centuriatori si eclissò in presenza di questa leale narrazione, e si può affermare che il flusso che saliva dal protestantesimo si arrestò di fronte agli Annali del Baronio, nei quali la Chiesa appariva finalmente quale è sempre stata «colonna e fondamento della verità» (I Tim. 3, 15). La santità di Filippo ed il genio del Baronio avevano deciso della vittoria. Numerosi ritorni alla fede romana vennero a consolare i cattolici così dolorosamente decimati; e se ai nostri giorni innumerevoli abiure annunciano la prossima rovina del protestantesimo, è giusto attribuirlo in gran parte al successo del metodo storico inaugurato negli Annali.

Amor di Dio. Tu hai amato il Signore Gesù, o Filippo, e tutta la tua vita non è stata che un continuo atto d’amore; ma non hai voluto godere da solo del sommo bene. I tuoi sforzi erano tesi a farlo conoscere da tutti gli uomini, affinché tutti lo amassero insieme a te e pervenissero al loro ultimo fine. Durante quarantanni fosti l’Apostolo infaticabile della città santa, e nessuno poté sottrarsi all’azione del fuoco divino che ardeva in te. Noi osiamo pregarti di volgere gli sguardi anche sopra di noi. Insegnaci ad amare Gesù risorto. Non ci basta di adorarlo e di rallegrarci del suo trionfo; ci è necessario di amarlo: poiché il susseguirsi dei suoi misteri, dall’Incarnazione fino alla Risurrezione, non ha altro fine che quello di rivelarci, in una luce sempre più intensa, la sua divina amabilità. È amandolo sempre di più, che arriveremo ad innalzarci sino al mistero della sua risurrezione, che finisce di svelarci tutte le ricchezze del suo cuore. Più egli si eleva nella nuova vita che ha abbracciata uscendo dalla tomba, e più ci sembra pieno di amore per noi, sollecitando il nostro cuore a stringersi a lui. Prega, Filippo, e domanda che «il nostro cuore e la nostra carne trasaliscano nel Dio vivente» (Sai. 83, 2). Degnati di introdurci, dopo il mistero della Pasqua, in quello dell’Ascensione; disponi le nostre anime a ricevere il divino Spirito nella Pentecoste; e, quando il mistero dell’Eucarestia brillerà ai nostri sguardi nella solennità che si avvicina, tu che, avendola festeggiata un’ultima volta quaggiù alla fine della giornata sei salito verso l’eterno soggiorno ove Gesù si mostra senza velo, prepara le anime nostre a ricevere ed a gustare «questo pane vivente che dà la vita al mondo» (Gv. 6, 33).

La tua santità fu caratterizzata dallo slancio dell’anima verso Dio, e tutti quelli che ti avvicinavano, partecipavano ben presto a questa disposizione che, sola, può rispondere all’appello del Redentore. Tu sapevi impossessarti delle anime e condurle a perfezione, seguendo la via della fiducia e della generosità di cuore. In questa grande opera il tuo metodo fu di non averne uno, imitando gli Apostoli e gli antichi Padri, ed affidandoti a quella virtù propria della parola di Dio. Per mezzo tuo la fervente assiduità ai sacramenti riapparve quale indice più sicuro della vita cristiana. Prega per il popolo fedele e vieni in aiuto a tante anime che si agitano e si esauriscono nelle vie tracciate dalla mano dell’uomo, e che, troppo spesso, ritardano od impediscono l’intima unione del Creatore con la creatura.

Amore alla Chiesa. O Filippo! tu hai amato ardentemente la Chiesa di quell’amore che è il segno indispensabile della santità. La tua elevata contemplazione, non ti distraeva dalla sorte dolorosa di questa santa Sposa di Cristo, così provata nel secolo che ti vide nascere e morire. Gli sforzi dell’eresia trionfante in tanti paesi, stimolavano lo zelo nel tuo cuore: ottieni anche a noi dallo Spirito Santo quella viva attrazione per la verità cattolica, che ci renderà sensibili alle sue disfatte ed alle sue vittorie. Non ci basta di salvare le anime nostre; dobbiamo desiderare ardentemente il progresso del regno di Dio sulla terra, l’estirpazione delle eresie e l’esaltazione della santa Chiesa nostra madre, offrendo, per tutto ciò, il nostro aiuto con ogni mezzo a noi possibile. È a questa condizione che saremo figli di Dio. Ispiraci col tuo esempio, o Filippo, quest’ardore con il quale noi dobbiamo associarci in tutto ai sacri interessi della Madre comune. Prega pure per la Chiesa militante che ti ha contato tra le sue file, come uno dei suoi migliori soldati. Servi valorosamente la causa di questa Roma che si fa un onore di esserti riconoscente di tanti favori a lei prestati. Tu l’hai santificata, durante la tua vita mortale; santificala ancora e difendila dall’alto del cielo.

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, Il Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959

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