Bouquet spirituale:
24 aprile
Marco Rey nacque a Sigmaringa, città della Svevia nel 1577. Studiò filosofia a Friburgo, diritto a Dillingen ed esercitò la professione di avvocato a Colmar. Convinto che questa attività lo avrebbe esposto a commettere delle ingiustizie, entrò tra i Cappuccini, che gli sembravano unire i meriti della vita attiva e della contemplativa, ricevendone il nome di Fedele. Fu ordinato sacerdote il 4 ottobre 1612, diede l'esempio delle più alte virtù religiose, di una viva devozione verso la Santissima Vergine e di grande austerità. La Congregazione di Propaganda gli chiese di andare a predicare in Svizzera, soprattutto tra i Grigioni, dove l'eresia aveva fatto grandi rovine. Egli vi convertì molte anime, ma si attirò l'odio degli eretici. Il 24 Aprile 1622 questi s'impadronirono di lui, e non essendo riusciti a farlo abiurare, gli fracassarono il cranio e lo trafissero con le loro spade. Il suo corpo fu trasportato nella Cattedrale di Coira. Nel 1729 Fedele ricevette gli onori della beatificazione; poi, nel 1743, quelli della canonizzazione.
Un martire dei tempi moderni. Gesù Risorto tiene ad avere intorno alla sua persona una guardia d'onore formata da Martiri e per questo mette a contributo tutti i secoli. La giornata odierna ha visto aprire le fila delle falangi celesti per accogliervi un generoso combattente che aveva raccolto la palma, non lottando contro il paganesimo come gli altri che abbiamo già salutato al loro passaggio, ma difendendo la santa Madre Chiesa contro alcuni suoi figli ribelli. La mano degli eretici immolò la vittima gloriosa nel XVII secolo, che fu teatro di questa nuova battaglia. Fedele realizzò pienamente il significato del suo nome predestinato. Mai fu visto indietreggiare di fronte al pericolo; durante tutta la sua vita non ebbe in conto che la gloria e il servizio del suo divin Signore, e quando giunse il momento di affrontare il pericolo supremo, avanzò senza fierezza e senza debolezza, come si conveniva all'imitatore di Gesù, verso i suoi nemici. Rendiamo dunque onore al coraggioso figlio di san Francesco, in tutto degno del serafico Patriarca, che affrontò i Saraceni e fu martire di desiderio.
Il Protestantesimo e la libertà. Il Protestantesimo fu stabilito e mantenuto nel sangue, ed ha osato lamentarsi di essere stato esposto alla resistenza armata dei figli della Chiesa. Durante diversi secoli esso si è macchiato del sangue dei nostri fratelli, il cui unico delitto era quello di voler restare fedeli alla fede che aveva civilizzato gli antenati dei loro persecutori. Esso proclamava la libertà in materia di religione, ed intanto immolava quei cristiani che, nella loro semplicità, pensavano che fosse permesso di usare di questa vantata libertà, per credere e per pregare come si credeva e si pregava prima di Lutero e di Calvino.
Ma i cattolici hanno torto di contare sulla tolleranza degli eretici. Un fatale istinto li trascinerà sempre alla violenza contro una Chiesa, la cui esistenza imperitura è per essi un continuo rimprovero di averla abbandonata. Prima cercheranno di annientarla nei suoi membri, e se la stanchezza della lotta a oltranza condurrà finalmente ad una certa calma, lo stesso odio si prodigherà cercando di asservire coloro che non osa più immolare, insultando e calunniando quelli che non ha potuto sterminare. Da quattro secoli, la storia dell'Europa protestante giustifica ciò che diciamo; ma noi dobbiamo chiamare fortunati quei nostri fratelli che, in numero così notevole, hanno reso testimonianza col sangue alla fede Romana.
Attaccamento alla fede.
Hai compiuto gloriosamente la tua carriera, o Fedele! e la fine di questa è stata anche più bella di quanto ne fu il suo corso. Con quale serenità andasti incontro alla morte! Con quale gioia soccombesti sotto i colpi dei tuoi nemici, che erano quelli della santa Chiesa! Simile a Stefano, ti lasciasti abbattere pregando per loro; poiché il cattolico, che deve detestare l'eresia, deve anche perdonare all'eretico che l'immola. Prega, o Martire santo, per i figli della Chiesa; ottieni che essi conoscano sempre meglio il valore della fede e la grazia insigne che Dio ha fatto loro, facendoli nascere in seno ad essa, unica e vera, che vivano guardinghi contro le dottrine perverse, che da ogni lato risuonano al loro orecchio; che non si scandalizzino delle dolorose defezioni che si registrano così spesso in questo secolo di mollezza e di orgoglio. È la fede che ci deve condurre a Gesù risorto; egli ce lo raccomanda nelle parole dette a Tommaso: "Beati coloro che non han visto ed han creduto"!
Noi vogliamo credere, ed è per questo che ci attacchiamo alla santa Chiesa che è Maestra somma di fede. A lei che vogliamo credere, e non alla ragione umana che non saprebbe attingere la parola di Dio, e tanto meno giudicarla. Gesù ha voluto che questa fede arrivasse a noi, appoggiata dalla testimonianza dei martiri; ed ogni secolo ha avuto i suoi. Gloria a te, o Fedele! che hai saputo conquistare la palma combattendo gli errori, e la pretesa riforma! Vendicati da Martire, e domanda incessantemente a Gesù che i settari dell'errore ritornino alla fede e all'unità della Chiesa. Sono fratelli nostri nel Battesimo: prega perché rientrino all'ovile, affinché sia possibile un giorno celebrare tutti insieme la vera cena della Pasqua, nella quale l'Agnello di Dio si dà nostro cibo, non in figura, come nell'antica legge, ma nella piena realtà, come si conviene a quella nuova.
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959
Riflessione. S. Fedele ci dà esempio di costanza e fedeltà nel servizio del Signore: siamo anche noi fedeli, e costanti, qualunque sia la nostra missione.