Bouquet spirituale:
4 agosto
L’opera della sapienza. «La fonte della Sapienza, il Verbo del Padre, nostro Signor Gesù Cristo, la cui natura è bontà, la cui opera è misericordia, non abbandona nello scorrere dei secoli la vigna che ha tratta dall’Egitto; sovviene, mediante nuovi segni, all’instabilità degli animi, e proporziona i suoi prodigi alle deficienze dell’incredulità. Quando dunque il giorno volgeva già al tramonto e – poiché l’abbondanza del male inaridiva la carità – il raggio della giustizia era presso a scomparire, il Padre di famiglia volle radunare gli operai dell’undicesima ora alle fatiche; per liberare la sua vigna dagli sterpi che l’avevano invasa e scacciarne la funesta moltitudine delle piccole volpi che operavano per distruggerla (Cant. 2, 15), suscitò le schiere dei Frati Predicatori e Minori con i loro capi armati per il combattimento.»
Domenico e Francesco. Ora, in questa spedizione del Dio degli eserciti, Domenico fu «il corsiero della sua gloria, che gettava intrepido, nel fuoco della fede, il nitrito della divina predicazione» (ibid.).
Vedremo la parte che ebbe nella lotta Francesco, il compagno datogli dal cielo, e che apparve come il vivente stendardo di Cristo in croce, in mezzo a una società in cui la triplice concupiscenza prestava la mano all’errore per battere in breccia su tutti i punti il cristianesimo stesso.
La povertà. Al pari di Francesco, Domenico, incontrando dovunque quella complicità della cupidigia con l’eresia che sarà ormai la principale forza dei falsi predicatori, prescrisse ai suoi la più assoluta espropriazione dei beni di questo mondo e si fece egli stesso mendicante per Cristo. Non erano più i tempi in cui i popoli, acclamando tutte le conseguenze dell’Incarnazione, costituivano per l’Uomo-Dio il più vasto dominio territoriale che mai vi sia stato, mentre ponevano insieme il suo Vicario alla testa dei re. Dopo aver tentato invano di umiliare la Sposa sottomettendo il Sacerdozio all’Impero, gli indegni discendenti dei valorosi cristiani d’un tempo rimproveravano alla Chiesa il possesso di quei beni di cui essa era soltanto la depositaria in nome del Signore; per la Colomba della Cantica era sonata l’ora di iniziare con l’abbandono del suolo il suo moto verso il cielo.
La scienza. Ma se i due principi della memorabile lotta che arrestò per un certo tempo il progresso del nemico si incontrarono nell’accoglienza fatta da essi alla santa povertà, quest’ultima rimase in modo particolare la «Signora» del Patriarca d’Assisi. Domenico, che al pari di lui aveva solo di mira l’onore di Dio e la salvezza delle anime, ricevette come più diretta eredità la scienza.
Appunto «sulla luce» – dice Dio a santa Caterina da Siena, «il padre dei Predicatori basò il suo principio, facendone il proprio oggetto e la propria arma di combattimento; egli prese per sé l’ufficio del Verbo mio Figliolo, seminando la mia parola, dissipando le tenebre, illuminando la terra; Maria, mediante la quale lo presentavo al mondo, ne fece l’estirpatore delle eresie» (Dialogo, 158). Così l’Ordine chiamato a diventare il principale appoggio del Sommo Pontefice nella guerra contro le false dottrine doveva, in un certo senso, giustificare l’espressione meglio ancora del suo patriarca: il primo dei tribunali della santa Chiesa, l’Inquisizione romana, il Sant’Ufficio, investito della missione del Verbo con la spada a doppio taglio (Apoc. 19, 11-16) per convertire o per castigare non ebbe strumento più fedele e più sicuro.
Il liberalismo. Al pari di Caterina da Siena, il celebre autore della Divina Commedia non avrebbe mai immaginato che dovesse venire il tempo in cui il primo attributo della famiglia domenicana che gli dava diritto al riconoscente amore dei popoli sarebbe stato discusso in certa scuola apologetica e rifuggito ivi come un insulto o dissimulato come una cosa inferiore. Il nostro tempo ripone la sua gloria in un liberalismo che si è manifestato moltiplicando le rovine, e filosoficamente non si fonda che sulla strana confusione della licenza e della libertà: non ci voleva altro che questa prostrazione intellettuale per non comprendere più che, in una società in cui la fede è la base delle istituzioni così come è il principio della comune salvezza, nessun delitto uguaglia quello di sradicare il fondamento sul quale poggia insieme con l’interesse sociale il più prezioso bene individuale, Né l’ideale della giustizia, né tanto meno quello della libertà consistono nel lasciare alla mercé del male o del maligno il debole che non può proteggersi da se stesso: la cavalleria fece di questa verità il suo assioma, e ciò costituì la sua gloria; i fratelli di Pietro Martire consacrarono la propria vita a proteggere, contro le insidie del forte armato (Lc. 11, 21) e il contagio che serpeggia nella notte (Sai. 90, 6), la sicurezza dei figli di Dio: fu questo l’onore
… della santa greggia
che Domenico mena per cammino
u’ ben s’impingua se non si vaneggia. (Dante, Paradiso, X, 94-96).
Protezione di Maria. E quali più veri cavalieri di questi atleti della fede (2), che contraevano il loro sacro impegno sotto forma di un omaggio di fedeltà (3), e sceglievano come Dama colei che, forte come un esercito (Cant. 6, 3, 9), stermina da sola le eresie in tutto il mondo? (4). Allo scudo della verità (Sai. 90, 5), alla spada della parola (Ef. 6, 17), colei che custodisce in Sion le armature dei forti (Cant. 4, 4) univa per i suoi devoti servi il Rosario, segno particolarissimo della sua personale milizia; assegnava l’abito da lei scelto come loro distintivo di guerra, e li ungeva con le sue stesse mani per la lotta nella persona del Beato Reginaldo.
Ella stessa, inoltre, vigilava al reclutamento, prelevando dalla gioventù scelta delle università le anime più pure, i cuori più generosi, le intelligenze più nobili. Parigi, la capitale della teologia, Bologna, quella della giurisprudenza e del diritto, vedevano maestri, scolari, discepoli di ogni scienza cercati e raggiunti dalla dolce Sovrana nel corso di circostanze che erano più celesti che terrene.
Quanta grazia in queste origini in cui la virginea serenità di Domenico sembrava circondare tutti i suoi figli! In questo Ordine della luce appariva appunto la verità delle parole evangeliche: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt. 5, 8). Occhi illuminati dall’alto scorgevano sotto l’immagine del campo di gigli le fondamenta dei Predicatori; e Maria, dalla quale ci è venuto lo splendore della luce eterna (Sap. 7, 26), si faceva loro celeste maestra e con ogni scienza li guidava alla Sapienza, amica dei cuori non contaminati (ibid. 8). In compagnia di Cecilia e di Caterina, essa scendeva per benedire il loro riposo nella notte, e li copriva del suo manto presso il trono del Signore. Come stupire quindi del candore che in Domenico e durante il generalato di Giordano di Sassonia o di Raimondo di Pegnafort, di Giovanni il Teutonico o di Umberto di Romans continua a regnare in quelle Vite dei Frati e in quelle Vite delle Suore di cui felici penne hanno tramandato fino a noi i racconti d’una squisita freschezza?
Le monache. Discreta lezione, e insieme potente aiuto per i Fratelli: nella famiglia domenicana essenzialmente dedita all’apostolato, le Suore furono più anziane di dieci anni, quasi a indicare che, nella Chiesa di Dio l’azione non può essere feconda se non è preceduta e non resta accompagnata dalla contemplazione che le merita benedizione e ogni grazia. La Madonna di Prouille, ai piedi dei Pirenei, non fu solo il principio di tutto l’Ordine; proprio alla sua ombra protettrice i primi compagni di Domenico fissarono insieme con lui la scelta della loro Regola e si spartirono il mondo, muovendo di lì per fondare san Romano di Tolosa, e quindi san Giacomo di Parigi, san Nicola di Bologna, san Sisto e santa Sabina nella Città eterna.
Il Terz’Ordine. Verso la stessa epoca, l’istituzione della Milizia di Gesù Cristo poneva sotto la direzione dei Predicatori i secolari che, di fronte all’eresia militante, si impegnavano a difendere con tutti i mezzi in loro potere i beni della Chiesa e la sua libertà; quando i settari ebbero deposto le armi, lasciando per un certo tempo la pace al mondo, l’associazione non scomparve: portò la lotta sul terreno spirituale e cambiò il proprio nome in quello di Terz’Ordine dei Frati e delle Suore della Penitenza di san Domenico.
Vita. Domenico nacque verso il 1170 a Caleruega, non lontano da Burgos, nella Spanga. Andò a studiare a Palencia dove si distinse per l’ardore nell’azione e per la grande carità verso i poveri. Il Vescovo di Osma lo fece entrare nel suo Capitolo, dove rimase per nove anni, modello di pietà e di regolarità nell’Ufficio. Recatosi a Roma insieme con il Vescovo, cominciò nel 1206, sotto la direzione di un legato pontificio, a predicare nel Mezzogiorno della Francia per convertire gli eretici albigesi. Si stabilì a Prouille, presso Fanjeaux e di lì evangelizzò tutta la regione. A Tolosa fondò un convento di monache di cui la preghiera e la penitenza avrebbero aiutato il suo apostolato, e l’insegnamento avrebbe formato le giovinette povere della nobiltà e le avrebbe protette dal contagio dell’eresia. Domenico vide subito che non poteva bastare da solo alla missione che gli si presentava. Con parecchi compagni si stabilì in una casa di Tolosa, e cominciarono insieme a condurre vita religiosa. Partì quindi per Roma dove stava per tenersi il Concilio Lateranense e chiese al Papa Innocenzo III l’autorizzazione a fondare l’Ordine dei Predicatori. Tornò a Tolosa nel 1216 per scegliere una Regola di vita e quindi ancora a Roma, dove Onorio III, successore di Innocenzo , l’approvò. Da quel momento le case dei Predicatori si moltiplicarono, come pure i miracoli del Santo. Consumato dalla febbre e dalle innumerevoli fatiche che s’imponeva, morì il 6 agosto 1221, all’età di 51 anni. Fu canonizzato dal suo amico il Papa Gregorio IX fin dal 1234.
La fonte di ogni Apostolato.
Il tuo esempio, o Domenico, ci mostra che per Dio sono potenti sui popoli soltanto coloro che si consacrano a lui senza cercare altro e fanno dono al prossimo soltanto della loro pienezza! Sdegnando qualsiasi incontro e qualsiasi scienza in cui non si mostrasse l’eterna Sapienza, solo a essa – ci dicono i tuoi storici – si appassionò la tua adolescenza (Sap. 8, 2); ed essa che precede quanti la desiderano (ibid. 6, 14) ti inondò fin da quei primi anni della luce e delle dolcezze anticipate della patria. Da essa appunto scendeva su di te quella radiosa serenità che colpiva i tuoi contemporanei e che nessun evento riuscì mai ad alterare. In una pace celeste, tu bevevi a lunghi sorsi l’acqua dell’inesauribile pozzo che zampillava alla vita eterna (Gv. 4, 14); ma mentre nel più segreto dell’anima il suo amore così ti abbeverava, una meravigliosa fecondità si manifestava nella fonte divina, i suoi rivoli divenuti i tuoi traboccavano al di fuori e le pubbliche piazze beneficiavano della tua sovrabbondanza (Prov. 5. 15-19).
Tu avevi accolto la Sapienza, ed essa ti esaltava (ibid. 4, 8); non contenta di adornare la tua fronte con i raggi della stella misteriosa (ibid. 9), essa ti concedeva la gloria dei patriarchi e moltiplicava con tutti quelli dei tuoi figli i tuoi anni e le tue opere (ibid. 10). Tu non hai cessato di essere in essi uno dei più potenti aiuti della Chiesa. La scienza ha reso celebre il loro nome in mezzo ai popoli, e per essa la loro giovinezza fu onorata dagli anziani (Sap. 8, 10). Fa’ dunque che sia sempre per essi, come lo fu per i loro antenati, il frutto della Sapienza e la via che vi conduce; che si alimenti alla preghiera, la cui parte è rimasta così importante nel tuo santo Ordine che si riavvicina più di ogni altro per questo agli antichi Ordini monastici. Lodare, benedire e predicare sarà sempre il suo preciso motto, dovendo l’apostolato essere per esso, secondo l’espressione del Salmo, la traboccante effusione del ricordo delle dolcezze gustate nel divino commercio. Così stabilita in Sion, così benedetta nella sua gloriosa missione di propagatrice e di custode della verità (Is. 26, 1-2), la tua nobile discendenza meriterà di sentire sempre dalle labbra della Vergine stessa questo incoraggiamento superiore a ogni lode: «Fortiter, fortiter, viri fortes! Coraggio, coraggio, uomini coraggiosi!».
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959