Vite dei Santi
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Bouquet spirituale:

9 febbraio

San Cirillo d'Alessandria
San Cirillo d'Alessandria

San Cirillo d'Alessandria
Vescovo e Dottore della Chiesa
(370-444)

San Cirillo, ancor giovane, fu fatto vescovo d’Alessandria nel 412. Infiammato di zelo per la salvezza delle anime, s’adoperò a conservare intatta la fede del suo gregge. Con un ardore e con una scienza ammirevoli egli difese contro Nestorio il dogma della Maternità divina e, quale legato al Concilio di Efeso (431), confuse e condannò l’eretico. Mori nel 434. Leone XIII lo dichiarò Dottore della Chiesa universale.

L’inimicizia fra la donna e il serpente. “Porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua progenie e la progenie di lei; essa ti schiaccerà la testa e tu la insidierai al calcagno (Gen 3,15). La parola che fu pronunciata contro il serpente, e che la Chiesa in questi giorni richiama alla mente dei suoi figli domina tutta la storia del mondo. La donna, caduta per la prima, per l’astuzia di Satana, in Maria viene per la prima rialzata. Nella sua immacolata Concezione, nel parto verginale e nell’offerta che fece a Dio del nuovo Adamo sul monte Calvario, la novella Eva mostrò all’antico nemico la potenza del suo piede vittorioso. Persino l’angelo ribelle, divenuto il principe del mondo per la complicità dell’uomo (Gv 12,31), sin d’allora, contro la donna che doveva trionfare su di lui, convogliò tutte le forze della duplice schiera delle legioni infernali e dei figli delle tenebre che dipendono da lui. Maria, in cielo, prosegue la lotta che cominciò sulla terra. Regina degli spiriti beati e dei figli della luce, ella stessa guida alla battaglia, come un solo esercito, le falangi celesti e le schiere della Chiesa militante. Il trionfo di queste truppe fedeli è quello della loro sovrana: il continuo schiacciamento del capo del padre della menzogna mediante la disfatta dell’errore e l’esaltazione della verità rivelata, del figlio di Maria e figlio di Dio.

Cirillo e Atanasio. Però, mai l’esaltazione del Verbo divino parve più intimamente connesso al trionfo dell’augusta sua Madre, come nel memorabile combattimento, in cui il pontefice che oggi viene presentato ai nostri riconoscenti omaggi ebbe una parte così gloriosa. Cirillo d’Alessandria è il Dottore della divina Maternità; come il suo predecessore Atanasio lo fu della consustanzialità del Verbo; l’Incarnazione si poggia sui due misteri, che, a un secolo di distanza, furono l’oggetto della loro confessione e delle loro lotte. Quale Figlio di Dio Cristo doveva essere consustanziale al Padre, perché la semplicità infinita dell’essenza divina esclude ogni idea di divisione o di parte; negare in Gesù, Verbo divino, l’unità di sostanza col suo principio, era negare la sua divinità. Quale figlio dell’uomo, al tempo stesso che Dio vero da Dio vero (Simbolo di Nicea), Gesù doveva nascere quaggiù da una figlia d’Adamo, e restare tuttavia, nella sua umanità, una medesima persona col Verbo consustanziale al Padre: negare in Cristo questa unione di persona delle due nature era lo stesso che misconoscere la sua divinità; ciò significava proclamare nel medesimo tempo che la Vergine benedetta, venerata fino allora per aver generato Dio nella natura assunta per salvarci, non era che la madre d’un uomo.

Ario. Tre secoli di persecuzione avevano tentato invano di indurre la Chiesa al rinnegamento della divinità del Cristo. Il mondo aveva appena assistito al trionfo dell’Uomo-Dio, e già il nemico traeva vantaggio da questa vittoria; approfittando del nuovo stato createsi intorno al cristianesimo e della sicurezza da parte dei persecutori, si sforzava d’ottenere sul terreno della falsa scienza quel rinnegamento che non era riuscito a conseguire nell’arena del martirio. L’accanito zelo degli eretici nel riformare la credenza della Chiesa serviva all’inimicizia del serpente, e contribuiva allo sviluppo della sua razza maledetta più che non l’avessero fatto le defezioni degli apostati. Degno d’essere, per la sua superbia, il primo nell’era della pace, di questi dottori infernali, Ario spinse la sua controversia persino nelle profondità dell’essenza divina, rigettando, sulla base di testi astrusi, il termine consustanziale. Sullo scorcio d’un secolo in cui il principale elemento di forza era stato l’appoggio delle potenze di questo mondo, l’arianesimo cadeva, conservando le radici solo presso quelle nazioni che, battezzate di recente, non avevano dovuto versare il loro sangue per la divinità del Figlio di Dio. Allora Satana fece sorgere Nestorio.

Nestorio. Abile a trasformarsi in angelo di luce (2Cor 11,14), l’eterno nemico rivestì il suo apostolo d’una duplice bugiarda aureola di santità e di scienza; l’uomo che più d’ogni altro doveva manifestare l’odio del serpente contro la donna ed il suo seme, si assise sulla cattedra episcopale di Costantinopoli col plauso di tutto l’Oriente, che si riprometteva di veder rivivere in lui l’eloquenza e le virtù d’un nuovo Crisostomo. Ma l’esultanza dei buoni fu di breve durata perché nello stesso anno dell’esaltazione dell’ipocrita pastore, il giorno di Natale del 428, Nestorio, approfittando dell’immenso concorso di fedeli venuti a festeggiare il parto della Vergine-Madre, dall’alto del soglio episcopale lanciò quella blasfema parola: “Maria non ha generato Dio: il Figlio suo non è che un uomo, strumento della divinità”.

Difesa della fede. A queste parole la moltitudine fremette inorridita; interprete della generale indignazione Eusebio di Doriles, un semplice laico si levò in mezzo alla folla a protestare contro l’empietà. In seguito, a nome dei membri di questa desolata Chiesa fu redatta una più esplicita protesta, diffusa in numerosi esemplari, anatemizzando chiunque avesse osato dire: “Altro è il Figlio unico del Padre, altro quello nato dalla Vergine Maria”. Generoso atteggiamento che fu allora la salvaguardia di Bisanzio e gli valse l’elogio dei Concili e dei Papi! Quando il pastore si cambia in lupo, tocca soprattutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede, i capi. Ma nel tesoro della rivelazione vi sono dei punti essenziali, dei quali ogni cristiano, perciò stesso ch’è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la dovuta custodia. Il principio non muta, sia che si tratti di verità da credere che di norme morali da seguire, sia di morale che di dogma. I tradimenti simili a quelli di Nestorio non sono frequenti nella Chiesa; tuttavia può darsi che alcuni pastori tacciano, per un motivo o per l’altro, in talune circostanze in cui la stessa religione verrebbe ad essere coinvolta. In tali congiunture, i veri fedeli sono quelli che attingono solo nel loro battesimo l’ispirazione della loro linea di condotta; non i pusillanimi che, sotto lo specioso pretesto della sottomissione ai poteri costituiti, attendono, per aderire al nemico o per opporsi alle sue imprese un programma che non è affatto necessario e che non si deve dare loro.

Roma e Alessandria. Ciò nonostante, lo scandalo provocato dalle bestemmie di Nestorio mise in agitazione tutto l’Oriente e presto raggiunse Alessandria. La cattedra fondata da Marco in nome di Pietro e, per volontà di questo capo delle Chiese, ornata dell’onore di seconda sede, era allora occupata da Cirillo. Come l’armonia che regnò fra Atanasio ed i pontefici romani aveva, nel secolo precedente, vinto l’arianesimo; così l’unione costante di Alessandria con Roma doveva ancora una volta abbattere l’eresia. Se non che il nemico, edotto dall’esperienza, aveva escogitato una precauzione diabolica. Quando il futuro rivendicatore della Madre di Dio saliva sulla sede di sant’Atanasio non esisteva più quell’alleanza tanto temuta dal demonio. Infatti Teofilo, l’ultimo patriarca e autore principale della condanna di san Giovanni Crisostomo nel conciliabolo detto “ad Quercum”, dal luogo dove fu tenuta la riunione, aveva sempre impedito fino alla fine, di favorire la riabilitazione della sua vittima con la Sede Apostolica, per cui Roma ruppe i rapporti con la sua figlia primogenita. Ora Cirillo, nipote di Teofilo, ignorava affatto le ragioni inconfessabili dello zio in questa dolorosa faccenda; abituato fin dall’infanzia a venerare in lui il legittimo superiore, il suo benefattore e il suo maestro nella sacra scienza, Cirillo, divenuto a sua volta patriarca, non ebbe la minima idea di mutare le decisioni di colui che considerava come un padre: così Alessandria rimase separata dalla Chiesa romana. Perciò Satana, veramente simile al serpente, che con la sua bava avvelena tutto ciò che tocca, aveva rivolto a suo profitto contro Dio i più nobili sentimenti. Però Maria Santissima, tanto amica dei cuori retri, non abbandonò il suo paladino. Dopo alcuni anni, in cui diversi avvenimenti fecero conoscere al giovane patriarca gli uomini, un santo monaco, Isidoro di Pelusa, aprì completamente gli occhi di Cirillo alla luce, il quale ormai convinto, non esitò a rimettere nei dittici sacri il nome di Giovanni Crisostomo. La trama ordita dall’inferno era sventata, e per le nuove lotte della fede che stavano per sorgere in Oriente, Roma ritrovava sulle sponde del Nilo un nuovo Atanasio.

La fede dei monaci. Ricondotto da un monaco sui sentieri della santa unità, Cirillo nutrì per i solitari un affetto pari a quello di cui li aveva circondati il suo illustre predecessore, e al primo rumoreggiare dell’empietà nestoriana, li elesse a confidenti delle sue angoscie, illuminando, in una lettera rimasta celebre, la loro fede sul pericolo che minacciava la Chiesa. “Poiché, scrive loro (I Lettera ai monaci), tutti coloro che hanno abbracciato in Cristo l’invidiabile e nobile vostra vita, devono anzi tutto rifulgere dello splendore d’una fede inequivocabile e indefettibile, e su questa fede innestare la virtù; dopo ciò, devono impiegare tutta la loro diligenza nell’approfondire in loro la conoscenza del mistero di Cristo, tendendo con ogni sforzo ad acquistarne l’intelligenza più perfetta. Così io intendo, soggiunge il santo Dottore, il modo di arrivare all’uomo perfetto di cui parla l’Apostolo, e alla misura dell’età piena di Cristo” (Ef 4,13).

Il liberalismo. Né il patriarca d’Alessandria si contentò d’effondere la sua anima con coloro il cui consenso gli era stato garantito in anticipo. Con lettere in cui la sua mansuetudine non cede se non alla forza ed all’ampiezza dell’esposizione dottrinale, Cirillo tentò di ricondurre Nestorio sulla retta via. Ma l’ostinato settario si mostrò contrario, e, in mancanza di argomento, si lamentò dell’ingerenza del patriarca. Come sempre avviene in tali circostanze, s’imbatté in uomini amanti del quieto vivere che, senza condividere l’errore, pensavano ch’era meglio non rispondere, per timore d’inasprire Nestorio e aumentare lo scandalo, in una parola, d’offendere la carità. A questi uomini, che non si spaventavano dell’audacia dell’eresia e non si preoccupavano di affermare la fede cristiana, a questi partigiani della pace e a qualunque costo, Cirillo rispondeva una buona volta: “Come?! Nestorio osa lasciar dire in sua presenza nell’assemblea dei fedeli: anatema chiunque chiami Maria Madre di Dio! e per bocca dei suoi partigiani colpisce d’anatema noi e tutti gli altri vescovi dell’universo, e gli antichi Padri che ovunque e in ogni epoca unanimemente hanno riconosciuto ed onorato la santa Madre di Dio! E noi non avremo il diritto di ritorcergli la frase e dire: Se qualcuno nega che Maria sia Madre di Dio, sia anatema? Questa parola, però, io non l’ho ancora pronunciata contro di lui” (Lettera 8.a o 6.a).

La paura. Altri uomini, che pure in ogni tempo esistono, palesavano il vero motivo delle loro esitazioni, quando, gridando a tutti i venti i vantaggi della concordia e la loro antica amicizia per Nestorio, ricordavano timidamente il credito di cui egli godeva e il pericolo che si poteva incontrare nel contraddire un avversario così potente. “Potessi io, rispondeva Cirillo, perdendo tutti i miei beni, soddisfare il vescovo di Costantinopoli e placare l’asprezza del mio fratello! Ma qui si tratta della fede; lo scandalo dilaga in tutte le Chiese e ciascuno cerca d’informarsi della nuova dottrina. Se noi, che abbiamo ricevuta da Dio la missione d’insegnare, non portiamo rimedio a così grandi mali, il giorno del giudizio non saranno per noi riservate moltissime fiamme? Già non mi sono mancate calunnie e ingiurie; ma io dimentico tutto questo: resti unicamente salva la fede, e non mi lascerò sorpassare da nessuno nell’amare ardentemente Nestorio. Ma se, per colpa di qualcuno, ne viene a soffrire la fede, non vi può essere ombra di dubbio: noi non vogliamo perdere la nostra anima, anche se la stessa morte pende sulla nostra testa. Se il timore di qualche disagio vincesse sullo zelo della gloria di Dio, e ci facesse tacere la verità, con quale coraggio potremmo celebrare alla presenza del popolo cristiano i santi Martiri, quando ciò che costituisce unicamente il loro elogio è l’aver realizzato la parola (Eccli 4,33): Per la verità, combatti fino alla morte?” (Lettera 9.a o 7.a).

La lotta coraggiosa. Quando finalmente la lotta divenne inevitabile, organizzò la santa milizia che doveva combattere a suo fianco, chiamando vicino a sé vescovi e monaci. Non contenendo più il sacro entusiasmo che l’animava, Cirillo scriveva ai suoi chierici residenti nella città imperiale: “Quanto a me, soffrire, vivere e morire per la fede di Gesù Cristo è il mio sommo desiderio. Come è scritto, non concederò sonno agli occhi miei, non riposo alle mie palpebre, non requie alle mie tempia (Sal 131,4-5), finché non abbia ingaggiata battaglia necessaria alla salvezza di tutti. Pertanto, compenetrati del nostro pensiero, siate forti, sorvegliate il nemico, informateci sulle minime sue mosse. Alla prima occasione v’invierò uomini scelti fra tutti per pietà e saggezza, vescovi e monaci; fin d’ora vi preparo le debite lettere, come il caso richiede. Ho deciso di lavorare senza tregua per la fede di Cristo e di sopportare tutti i tormenti, anche i più terribili, fino a subire la morte, che mi sarà così dolce per una tal causa” (Lettera 10.a o 8.a).

Santa Pulcheria. Informato dal patriarca d’Alessandria circa l’agitazione delle Chiese, san Celestino I, che occupava allora la Sede Apostolica, condannò la nuova eresia e incaricò Cirillo di detronizzare il vescovo di Costantinopoli in nome del Romano Pontefice, se non veniva a resipiscenza. Ma gl’intrighi di Nestorio dovevano prolungare la lotta. A questo punto, vicino a Cirillo nel trionfo della donna sull’antico nemico, ci appare l’ammirabile figura d’una donna, d’una santa, che per quarant’anni fu il terrore dell’inferno, e per due volte, nel nome della Regina del cielo, schiacciò il capo all’odioso serpente. In un secolo di rovine, Pulcheria dovendo reggere a quindici anni le redini dell’impero, con la prudenza nel consiglio e con l’energia nell’azione, arginò i torbidi all’interno, al punto che, con la sola forza del suo divino salmodiare insieme alle sorelle, anch’esse vergini, riuscì a contenere i barbari. Quando l’Occidente si agitava nelle convulsioni di un’ultima agonia, l’Oriente ritrovava nel genio della sua imperatrice la prosperità dei suoi giorni migliori. Ora, nel vedere la nipote del grande Teodosio consacrare le proprie ricchezze a moltiplicare fra le sue mura le chiese alla Madre di Dio, Bisanzio apprese da lei il culto di Maria, che doveva costituire la sua salvaguardia in tanti tristi giorni, e le valse dal Signore, Figlio di Maria, mille anni di misericordia e d’incomprensibile pazienza. Salutata dai Concili ecumenici come la custode della fede ed il baluardo dell’unità (Labbe, Conc. iv, 464), santa Pulcheria ebbe dopo san Leone la parte principale di tutto ciò che si fece nel suo tempo contro gli avversari della verità divina (Lettera 31.a o 27.a). Due palme sono nelle sue mani, due corone cingono il suo capo, dice questo grande Papa, perché la Chiesa deve a lei la propria vittoria sull’empietà di Nestorio e di Eutiche, i quali, divisi nell’attacco, si congiungevano per lati opposti nel medesimo fine: la negazione dell’Incarnazione e quella del ruolo della Vergine-Madre nella redenzione del genere umano (ivi e Lettera 79.a o 59.a).

La divina Maternità ed Immacolata Concezione. Santo Vescovo, si rallegrino i cieli ed esulti la terra (Sal 95,11) al ricordo del combattimento in cui la Regina della terra e del cielo volle trionfare per tuo mezzo dell’antico serpente. L’Oriente sempre ti onorò quale suo luminare; l’Occidente saluta in te sin dagli antichi tempi il difensore della Madre di Dio; ed ecco che oggi la solenne commemorazione ch’essa consacra alla tua memoria, nei fasti dei Santi, non basta più alla sua riconoscenza. Infatti, un nuovo fiore è sbocciato sulla corona di Maria nostra Regina; e questo fiore splendente è germogliato dal medesimo suolo che irrorasti coi tuoi sudori. Tu, proclamando nel nome di Pietro e di Celestino Papa la divina Maternità, preparavi alla Madonna un altro trionfo, conseguenza del primo: la Madre d’un Dio non poteva che essere immacolata. Pio IX, definendo tale dogma, non faceva che completare l’opera di Celestino e la tua, perciò le date del 22 giugno del 431 e dell’8 dicembre del 1854 risplendono in cielo con un medesimo fulgore, alla stessa maniera che produssero sulla terra le medesime manifestazioni di giubilo e di amore.

Dottore della Chiesa. L’Immacolata imbalsama il mondo dei suoi profumi, ed è per questo, o Cirillo, che tutta quanta la Chiesa, a quattordici secoli di distanza, si rivolge a te, e giudicando compiuta l’opera tua, ti proclama Dottore, affinché d’ora in poi nulla manchi agli omaggi che ti deve la terra. Così, o Pontefice prediletto del cielo, il culto che ti è attribuito si completa con quello della Madre di Dio; la stessa tua glorificazione è una nuova estensione della gloria di Maria. Te fortunato, o suo paladino, che nessun altro onore potrebbe mai procurarti un tale avvicinamento alla Sovrana del mondo e del suo cavaliere.

Preghiera alla Madre di Dio

Pertanto, comprendendo che il miglior modo di onorarti, è l’esaltare Colei la cui gloria divenne la tua, noi vogliamo ripetere gli accenti infiammati che lo Spirito Santo ti suggerì per cantare le sue grandezze all’avvenuto trionfo di Efeso: “Noi ti salutiamo, o Maria Madre di Dio, gioia fulgente dell’universo, lampada inestinguibile, corona di verginità, scettro dell’ortodossia, tempio indistruttibile e che racchiude l’immenso, o Vergine e Madre, per la quale ci fu dato il benedetto dei santi Evangeli, colui che viene nel nome del Signore. Salve a te, il cui seno verginale e sempre puro portò l’Infinito, per la quale è glorificata la Trinità, e la preziosissima Croce è onorata e adorata in tutta la terra; letizia del ciclo, serenità degli Arcangeli e degli Angeli, che mette in fuga i demoni; per merito tuo il tentatore è caduto dal cielo, così come per merito tuo la creatura decaduta si rialza e risale al cielo. L’insania degl’idoli chiudeva come in una morsa il mondo, e tu apristi i suoi occhi alla verità; a te i credenti devono il santo battesimo, a te l’olio dell’allegrezza; in ogni angolo della terra tu fondasti le Chiese e riconducesti le nazioni alla penitenza. Che dire di più. Per te il Figlio unico di Dio brillò come la luce di coloro che giacevano nelle tenebre e nell’ombra della morte; per te i Profeti predissero l’avvenire, gli Apostoli predicarono la salvezza alle nazioni, i morti risuscitano e regnano i re per la Ss. Trinità. Chi mai potrà celebrare Maria, la creatura degna d’ogni lode, in maniera adeguata alla sua dignità?” (4.a Omelia).

Preghiera a san Cirillo

Se la dignità della Madre di Dio realmente supera ogni lode, o Cirillo, fa’ almeno ch’ella susciti in mezzo a noi uomini capaci di celebrare come te le sue grandezze. Che la potenza di cui ella si degnò arricchirti contro i suoi nemici mai venga meno a coloro che devono sostenere ai nostri giorni la lotta incominciata dall’origine del mondo fra la Donna e il Serpente. L’avversario è cresciuto in audacia; il nostro secolo è andato più lontano, nel negare Cristo, che Nestorio, che lo stesso Giuliano, questo principe apostata, contro il quale pure difendesti la divinità del Figlio della Vergine Madre. O te, che hai colpito l’errore così fortemente, mostra ai sapienti dei nostri tempi come si vince: ch’essi sappiano appoggiarsi come te su Pietro, e non restino indifferenti per tutto ciò che viene a toccare la Chiesa, e considerino sempre propri nemici, e loro soli nemici, i nemici del regno di Dio. Nei tuoi scritti sublimi i pastori apprenderanno la vera scienza, quella dei Libri Sacri, senza la quale il loro zelo sarà inefficace. I cristiani impareranno alla tua scuola che non potranno mai crescere nella virtù, senza progredire sopra tutto nella fede e senza approfondire in essi la conoscenza del mistero dell’Uomo-Dio. In un tempo in cui la superficialità delle nazioni basta a tante anime, a tutti ripetete che “solo l’amore del vero porta alla vita” (1.a Omelia).

All’avvicinarsi della santa Quarantena, noi ci ricordiamo ogni anno, in questi stessi giorni, di queste Lettere pasquali, che, con l’annuncio della Solennità delle solennità, esortavano alla penitenza; penetra i nostri cuori dell’importanza della vita cristiana, eccitali ad entrare coraggiosamente nel sacro tempo in cui essi dovranno ritrovare la pace con Dio mediante il trionfo sulla carne e sui sensi.

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959


Riflessione. Franchezza, accorgimento, semplicità, modestia, grandezza d'animo, zelo vero ed ardente; ecco quello che distingue i santi negli atti, nelle parole, nel cuore, e che deve distinguere il vero cristiano che dal loro esempio apprende la scienza della propria santificazione.

Le Vite dei Santi per ciascun giorno dell’anno, Milano, Presso Carlo Barbini, editore, 1879