Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

6 ottobre

San Bruno
San Bruno

San Bruno
Fondatore dei Certosini
(1035-1101)

Vita certosina e contemplazione. Tra le varie famiglie religiose, non ve n’è nessuna che la Chiesa tenga in più grande stima di quella dei Certosini; e tuttavia quella famiglia pare che abbia meno di ogni altra parte nei molteplici servizi nei quali quaggiù si consuma lo zelo dei figli di Dio. È questa una prova che lo zelo esteriore, per quanto lodevole possa essere, non è tutto e non è il principale davanti al Signore. La Chiesa è fedele allo Sposo e apprezza le cose seguendo le preferenze dello Sposo. Ora, il Signore stima i suoi eletti molto meno in proporzione dell’attività della loro vita che non in proporzione della perfezione nascosta nelle loro anime, perfezione che si misura dalla intensità di vita divina e della quale è detto: “Siate perfetti come il Padre vostro, che è nei cieli”. Per questo motivo la Chiesa incoraggia volentieri chiunque sia dalla grazia chiamato alla solitudine.

La chiamata alla solitudine è di tutti i tempi. Dal Profeta Elia al Padre De Foucauld, è lungo l’elenco di coloro che, o individualmente o in gruppo, hanno cercato, lontano dal mondo e dalle sue schiavitù, di vivere “con Dio solo e per Dio solo”. La forma di vita eremitica iniziata da san Bruno nel deserto della Certosa era così bene equilibrata che il suo Ordine, unico fra tutti, non ebbe mai bisogno di riforme. Riuniti in un monastero, i religiosi vivono tuttavia separati e si incontrano soltanto per la preghiera liturgica. Il tempo non impegnato nella preghiera e nel lavoro è dedicato alla lettura.

L’ Ordine certosino ebbe nel secolo XIII anche il ramo femminile e contò fino a 170 monasteri maschili e 30 femminili.

“Il certosino vive nella solitudine, per trovare Dio. Ma perché? dicono alcuni. Dio non è dappertutto? Sì, Dio è dappertutto e, se trovarlo è difficile, non dipende da Lui, ma da noi, dal nostro spirito che le preoccupazioni della terra aggrediscono con mille distrazioni. L’anima ritirata nella solitudine si volge facilmente a Dio, e nel silenzio che in lei gradualmente si forma, ascolta la voce dello Spirito Santo, prima soffocata dal rumore del mondo. L’anima allora, stupita, risponde e la vita del monaco diventa un dialogo infinitamente dolce col suo Signore, un preludio dell’eternità.

Impotente talora a tradurre in linguaggio la gioia che l’inonda, non sa fare altro che esclamare con san Bruno, davanti alle tenerezze dello Sposo: “O Bonitas, Bonitas!”.

Ma ciò è possibile soltanto ad alcune condizioni e la prima di tutte è la morte a se stesso. “Se uno vuole essere mio discepolo, ha detto Gesù, prenda la sua croce e mi segua” e vuol dire che egli deve seguire i miei passi, portando con me i peccati degli uomini e morire con me sulla Croce per la redenzione del mondo. Il lato positivo della via contemplativa è ben rilevato dalle parole: è una morte, ma una morte in Cristo, per vivere eternamente con Lui; è sofferenza, ma sofferenza unita a quella del Salvatore, per cui l’anima diventa ricca di tutti i poteri e santa di tutta la santità della Passione. E allora l’unione tra Cristo e il monaco diventa tale che Egli lo prende “come una umanità aggiunta” (Suor Elisabetta della Trinità) per continuare e compiere l’opera della Redenzione.

Utilità dei contemplativi. Ogni vita religiosa si effonde sul mondo delle anime. La vita che santifica il contemplativo santifica altresì il prossimo. “È cosa facile vedere come coloro che adempiono assiduamente al dovere della preghiera e della penitenza contribuiscono al progresso della Chiesa e alla salvezza del genere umano più di quelli, che con la loro fatica coltivano il campo del Signore, perché, se essi non facessero scendere dal cielo l’abbondanza delle grazie divine, per irrigare il campo, gli operai evangelici non ricaverebbero dal loro lavoro che frutti molto scarsi” (Leone XIII, Testem benevolentiae, del 22 genn. 1899).

Gli uomini ignorano l’utilità soprannaturale dei contemplativi, perché essi non comprendono che quello che vedono e il loro sguardo non è capace di superare il sensibile e l’immediato. Il mondo disprezza per questo i contemplativi ed è cosa normale e il Signore ebbe cura di farlo presente: “Se voi foste del mondo, ha detto, il mondo amerebbe ciò che gli appartiene, ma, siccome non siete del mondo, il mondo vi odia per questo” (Gv. 15, 19). L’uomo infatti non può amare nel suo prossimo che quello che possiede in se stesso.

Vita. Bruno nacque a Colonia verso il 1035. Giovane ancora, si portò a Reims, le cui scuole erano allora celebri. La sua intelligenza si affermò presto e fece progressi tali che l’Arcivescovo gli affidò l’incarico di Teologo della Cattedrale, la direzione degli studi e l’ispezione delle scuole della Diocesi. Il nuovo maestro ebbe alunni numerosi e ferventi tra i quali Eudes de Chatillon, il futuro Papa Urbano II.

Filosofo e letterato, Bruno conosceva il greco e l’ebraico e questo, unito ai gusti poetici e alla naturale amabilità, spiega l’entusiasmo che sollevavano i suoi commenti della Scrittura.

L’autorità crescente, il prestigio della sua santità gli procurarono numerosi nemici e Bruno perdette l’incarico, i titoli e i beni, per aver difeso la giustizia e l’ortodossia contro un indegno prelato. Dovette anche andare in esilio. Quando nel 1082 tornò dopo la deposizione del suo persecutore, si volle farlo succedere al prelato simoniaco. Ma Bruno, che aveva compreso la vanità delle cose create, e fatto voto di consacrarsi a Dio, rifiutò.

Con due amici si portò a Molesme dove san Roberto, sant’Alberico e santo Stefano Harding stavano preparando la forma della vita monastica, che doveva poi sbocciare nell’Ordine Cistercense. La vita di questo monastero, per quanto fervorosa, non rispondeva ai desideri dell’anima sua, perché a lui occorrevano assoluto silenzio e assoluta solitudine. Una prova fatta in un eremitaggio dipendente da Molesme lo convinse della realtà delle sue aspirazioni e all’inizio del·1084, partì con alcuni compagni per il Delfinato. Il vescovo di Grenoble, Ugo di Castelnuovo, suo vecchio allievo a Reims, ricevette con gioia il piccolo gruppo di sette persone e lo condusse egli stesso in un luogo selvaggio e inaccessibile del deserto di Chartreuse.

Si cominciò la costruzione di un monastero e nel marzo del 1085, dopo circa un anno, la chiesa fu consacrata. Questo piccolo eremitaggio concepito in modo nuovo doveva poi essere il modello delle Certose di tutto il mondo.

La tranquillità di Bruno non durò molto. Nella primavera del 1090 una lettera di Papa Urbano II lo chiamava a Roma “per servizio della Sede Apostolica” . Dio però lo chiamava a una vocazione più alta degli affari del mondo, per quanto essi siano utili. Il Papa lo comprese e gli accordò finalmente il permesso di ritirarsi nel deserto, ma con la condizione di non lasciare l’Italia. Dopo appena qualche mese passato alla Corte Papale, verso la fine del 1090, Bruno si ritirò nella solitudine di Squillace, dove il conte di Calabria, Roberto Guiscardo, gli aveva concesso vaste tenute. Si addormentò nel Signore a Squillace, il 6 ottobre 1101.

Preghiera al Patriarca del deserto.

Benedici, o Bruno, la riconoscente allegrezza dei figli di Dio: Tu, che nella vita mortale ornasti il giardino dello Sposo di uno degli alberi più belli, insegna la virtù dell’adorazione silenziosa agli uomini storditi dal tumulto dell’attività e riconduci alle sorgenti della vita un mondo, che dalla perdurante incredulità è stato condotto all’orlo dell’abisso.

I tuoi figli custodiscono preziosamente, nella calma delle loro tradizioni, il privilegio dei perfetti, che la Chiesa non cessa di riconoscere a loro nei nostri giorni febbrili. La storia del loro Ordine è semplice della loro semplicità, sicché il soprannaturale che la riempie pare affatto alieno dal meraviglioso e dal miracolo: Conserva, o Bruno, ai tuoi figli questo spirito e fa’ che noi possiamo trarre profitto dall’insegnamento che essi ci dànno.

La tua preghiera abbracci tutti i contemplativi e pieghi verso di essi l’amore divino, alle sorgenti del quale tu ti dissetavi continuamente. Conducili, se non nel silenzio del deserto, nelle solitudini dell’amore, perché l’adorazione della loro vita di olocausto e di ringraziamento sia giudicata degna di rimpire l’incensiere d’oro, presentato dagli Angeli a Dio.

Manifestaci infine gli splendori dell’amore divino, scoprici i segreti della bellezza “che chiude le labbra” e riunisci nel cuore del Padre tutti noi, figli ingrati, perché il mondo, pacificato, comprenda nel tuo esempio che “la realtà è vivere solo per Dio” (Bossuet: Lettera al Maresciallo di Bellefond).

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959