Bouquet spirituale:
14 luglio
Tommaso e Bonaventura. La pittura ha illustrato la celebre visione in cui la Vergine presentò al suo Figliolo i suoi due servi Domenico e Francesco i quali dovevano ricondurre a lui l’umanità in preda ad una profonda corruzione. Ha illustrato pure l’incontro dei due santi che si abbracciano e si promettono scambievolmente di rimanere uniti nell’azione apostolica che inauguravano quasi nello stesso tempo. Anche due dei loro più nobili figli dovevano rassomigliarsi per lo splendore della dottrina e per l’unione che godono nell’ammirazione e nella gratitudine della Santa Chiesa. Tommaso e Bonaventura, la cui opera intellettuale non avrà che uno scopo: condurre gli uomini mediante la scienza e l’amore a quella vita eterna che consiste nel conoscere l’unico vero Dio e colui che egli ha mandato. Gesù Cristo (Gv. I7. 3).
Entrambi furono lampade ardenti (ibid. 5, 15) che illuminarono il loro secolo e infervorarono le anime. Ma il Signore volle che la Chiesa attingesse particolarmente da san Tommaso la sua luce e da san Bonaventura la sua ardente carità. Abbiamo già festeggiato il Dottore Angelico durante la quaresima; oggi la Chiesa rivolge i nostri cuori verso il Dottore Serafico, perché gli offriamo la nostra lode e la nostra preghiera, e riceviamo l’insegnamento della sua vita.
Lo studioso. Era ancor giovinetto, quando allo scadere dei suoi primi anni di vita religiosa fu mandato alla celebre Università di Parigi per apprendervi la teologia. In mezzo alla moltitudine di studenti spesso chiassosi e leggeri, egli conservò la sua anima così semplice e distaccata, che il suo maestro Alessandro di Hales diceva pieno di ammirazione: «Pare che Adamo non abbia peccato in lui». Alessandro di Hales sembrava allora, secondo l’espressione del Papa Alessandro IV, «racchiudere in sé la fonte viva del paradiso, da cui scorreva a grandi flutti sulla terra il fiume della scienza della salvezza».
Il Dottore. Sotto la sua guida, Bonaventura fa mirabili progressi nella scienza e nella santità. Studia dapprima la Sacra Scrittura, copiando parecchie volte di sua mano i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento; riassume e analizza i Padri della Chiesa e si compenetra tanto di tutte le scienze sacre che, malgrado le regole dell’Universtità, viene chiamato a 27 anni ad occupare una cattedra. Allo stupore causato dalla sua giovine età seguì presto l’ammirazione. Investito dell’eredità di Alessandro di Hales che era chiamato il «Dottore irreprensibile, il Dottore dei Dottori» Bonaventura poteva dire della divina Sapienza: «È essa che mi ha insegnato tutto; essa mi ha insegnato la giustizia e le virtù, e le sottigliezze del discorso e il nodo dei più forti argomenti» (Sap. 7, 2i; 4, 7-8).
Questo è appunto l’oggetto dei Commentari sui quattro Libri delle Sentenze che ci hanno conservato le lezioni tenute da Bonaventura da quella cattedra della Sorbona dove la sua amabile parola, animata da un soffio divino, teneva prigionieri i più nobili intelletti.
Il giovane maestro rispondeva già al suo titolo predestinato di Dottore Serafico, vedendo nella scienza solo un mezzo per amare di più, e ripetendo senza posa che la luce che illumina l’intelletto rimane sterile e vana se non penetra fino al cuore, dove unicamente riposa e si diletta la Sapienza {Exp. in Lib. Sap., Vili, 9, 16). Cosicché – ci dice sant’Antonio – qualunque verità appresa da lui si cambiava in affetti, diventando così preghiera e lode divina (Antonin., Chronic, p. Ili, tit. 24, cap. 8). Il suo scopo – dice un altro storico – era quello di giungere all’incendio dell’amore, di bruciare egli stesso al fuoco divino e di infiammare quindi gli altri; indifferente alle lodi come alla fama, unicamente preoccupato di regolare i suoi costumi e la sua vita, intendeva innanzitutto ardere e non solo risplendere, essere fuoco per accostarsi così maggiormente a Dio, in maggior conformità a colui che è fuoco; tuttavia, come il fuoco non può concepirsi senza luce, così egli fu pure una fiaccola risplendente nella casa di Dio. Il suo speciale titolo di lode è però che di tutta la luce che poté raccogliere, ne fece l’alimento della sua fiamma e della divina carità (H. Sedulius, Histor. seraph.).
Si seppe bene a che cosa attribuire questa unica direttiva dei suoi pensieri allorché, inaugurando il suo insegnamento pubblico, dovette prendere una decisione riguardo al problema che divideva la Scuola circa il fine della teologia: scienza speculativa per gli uni pratica a giudizio degli altri, secondo che gli uni e gli altri erano maggiormente colpiti dal carattere teorico o morale delle nozioni che essa ha per oggetto. Bonaventura, cercando di unire le due tendenze nel principio che era ai suoi occhi la legge universale ed unica, concludeva che «la Teologia è una scienza affettiva, la cui conoscenza procede per contemplazione speculativa, ma tende principalmente a renderci buoni». La Sapienza della dottrina infatti – diceva deve essere ciò che indica il suo nome (Eccl. 6; I Sent. 9, 3): saporosa all’anima.
Il santo. Ma, come fece notare più tardi il Papa Sisto V, egli non eccelleva soltanto per la forza del ragionamento, per la facilità dell’insegnamento e per la chiarezza delle definizioni, ma trionfava soprattutto per una virtù del tutto divina nel potere di commuovere le anime. Mentre illuminava le menti, predicava ai cuori e li conquistava all’amore di Dio. I suoi stessi amici ne stupivano, e avendogli un giorno san Tommaso chiesto, in uno slancio di fraterna ammirazione, in quale libro avesse potuto attingere quella scienza sacra, Bonaventura, mostrando il crocifisso, rispose umilmente: «Ecco la sorgente da cui attingo tutto ciò che io so; studio Gesù, e Gesù crocifisso»!
Questo è il segreto della composizione di tutta quella serie di meravigliosi opuscoli in cui, senza un piano prestabilito, semplicemente per appagare il desiderio dei suoi discepoli o per effondere la propria anima, Bonaventura ha trattato insieme dei primi elementi dell’ascesi e degli scritti più sublimi della vita mistica, con una pienezza, una sicurezza, una chiarezza e una divina forza di persuasione che fanno dire al Sommo Pontefice Sisto IV che lo Spirito Santo stesso sembra parlare in lui (Liti. Superna Caelestis). Scritto sulla vetta della Verna e come sotto l’influsso più immediato dei Serafini del cielo, l’Itinerario dell’anima a Dio rapiva a tal punto il cancelliere Gersone da fargli dichiarare «quell’opuscolo, o piuttosto – diceva – quell – l’opera immensa, superiore alla lode di qualsiasi bocca mortale»; egli avrebbe voluto che insieme con il Breviloquium, meraviglioso compendio della scienza sacra, fosse imposto come manuale indispensabile ai teologi (Traci, de examinatione doctrinarum). «Infatti dice per l’Ordine benedettino l’abate Tritemio – chi considera lo spirito dell’amore divino che si esprime in Bonaventura, riconoscerà facilmente che egli sorpassa tutti i Dottori del suo tempo per la forza persuasiva delle sue opere. Molti espongono la dottrina, molti predicano la devozione, pochi nei loro libri insegnano l’una e l’altra; Bonaventura sorpassa quel grande e quel piccolo numero, poiché in lui la scienza forma alla devozione e la devozione alla scienza. Se dunque vuoi essere studioso e devoto, vivi come lui» (De scriptor. eccl.).
Ma, meglio di chiunque altro, Bonaventura ci rivelerà in quali disposizioni convenga leggerlo per farlo con frutto. All’inizio del suo Incendium amoris, nel quale la triplice via che conduce, mediante la purificazione, l’illuminazione e l’unione, alla vera sapienza, così dice: « Offro questo libro non ai filosofi, non ai sapienti del mondo, non ai grandi teologi occupati da infinite questioni, ma ai semplici, agli ignoranti che si sforzano più di amare Dio che di sapere molto. Non già discutendo, ma agendo s’impara ad amare. Quanto a quegli uomini pieni di questioni, superiori in qualunque scienza, ma inferiori nell’amore di Cristo, penso che non saprebbero comprendere il contenuto di questo libro; a meno che lasciando da parte la vana ostentazione del sapere, non si applichino, in una profonda rinuncia, nella preghiera e nella meditazione, a far nascere in sé la divina scintilla che, riscaldando il loro cuore e dissipando ogni oscurità, li guiderà al di là delle cose del tempo fino al trono della pace. Perciò stesso che sanno di più, infatti, essi sono più atti ad amare o potrebbero esserlo, se disprezzassero veramente se stessi e fossero contenti di essere disprezzati dagli altri» (Incend. amoris, prologus).
Il ministro generale dei frati minori. Tuttavia san Bonaventura non doveva restare a lungo sulla cattedra della Sorbona. A 35 anni veniva eletto Ministro Generale dei Frati Minori. Costretto ad abbandonare l’insegnamento della Scolastica lasciava il posto ad un giovane amico, fra Tommaso d’Aquino, la cui scienza e santità avrebbero illustrato l’Università di Parigi e l’intera Chiesa.
San Francesco era morto da 31 anni. Egli aveva posto le basi del suo Ordine, la linfa serafica era scaturita dal suo cuore, ma la sua opera richiedeva di essere organizzata: fu il compito di san Bonaventura. Senza uscire dallo spirito di san Francesco, egli si dedicherà a disciplinare tutte le energie e a dare all’Ordine la sua forma definitiva e le sue sapienti e mirabili costituzioni che dovevano formare l’armatura di quell’immenso edificio. Lo vediamo così percorrere tutte le Province del suo Ordine. Va successivamente a Parigi, a Narbona, a Pisa, e dopo i suoi lunghi itinerari, si ritira in un’umile cella, sulla Verna, là dove Francesco ha ricevuto le sacre stimmate. Qui scrive la vita del serafico Padre, onde penetrare tutti i suoi figli del suo spirito.
Il Cardinale d’Albano. La profondità della scienza, la santità della vita e la potenza della parola attirano su di lui l’attenzione della Chiesa. A Perugia, quando il Papa Clemente IV vuole nominarlo Arcivescovo di York, cade ai suoi piedi e lo supplica di allontanare da lui tale dignità. Deve tuttavia cedere alle istanze di san Gregorio X e obbedire agli ordini «che Io nominavano cardinale e arcivescovo di Albano e gli imponevano di raggiungere il Papa con tutta umiltà e sottomissione, senza scuse nè ritardi». I legati del Papa, incaricati di quell’importante messaggio, trovarono il santo occupato a lavare i piatti. Egli partì per preparare i lavori del Concilio che doveva tenersi a Lione nel 1274, e fu appunto in quella città che, dopo aver moltiplicato i suoi tentativi, i suoi discorsi, le sue fatiche, rese la sua bell’anima a Dio, all’età di 53 anni, quattro mesi dopo la morte di San Tommaso.
Vita. Giovanni Fidanza nacque nel 1221 a Bagnoregio, cittadina situata tra Viterbo e Orvieto. Essendo caduto gravemente malato, la madre lo portò a san Francesco d’Assisi che lo prese fra le braccia, lo benedisse, lo accarezzò, lo guarì e lo restituì alla madre dicendo : «O buona ventura!» donde il suo nome. A 17 anni, entrò presso i Frati Minori, dove il suo fervore mise in dispetto il demonio che tentò di strangolarlo. Presto, mandato alla Sorbona per studiarvi la teologia, vi ricevette una cattedra all’età di appena 27 anni. A 35 anni divenne Maestro Generale dei Frati Minori e promulgò le Costituzioni nel Capitolo di Narbona tenuto nel 1260. Creato cardinale, ricevette la consacrazione episcopale nel novembre del 1273 e, durante il secondo concilio ecumenico di Lione, si spense in quella città, il 14 luglio 1274.
I suoi principali trattati spirituali sono il Breviloquium apparso nel 1256; l’Itinerario dell’anima a Dio che è senza dubbio la più bella fra le opere mistiche del XIII secolo; la Triplice Via; l’Albero di Vita; le Cinque feste del Bambino Gesù ed infine l’Apologia dei Poveri.
Preghiera.
Tu sei entrato nel gaudio del tuo Signore (Mt. 25, 21), o Bonaventura; quali debbono essere ora le tue delizie, poiché, secondo la regola che hai ricordata, «tanto più uno ama Dio quaggiù, tanto più lassù esulta in lui» (De perfectione vitae, ad Sorores, VIII). Se il grande sant’Anselmo, dal quale attingevi quelle parole, aggiungeva che l’amore si misura dalla conoscenza, tu che fosti uno dei principi della scienza sacra e insieme il Dottore dell’amore, mostraci che realmente ogni luce, nell’ordine della grazia e in quello della natura, non ha altro scopo che di condurre all’amore.
Dottore Serafico, guidaci attraverso quella sublime ascesa di cui ogni riga delle tue opere ci manifesta i segreti, le sofferenze, le bellezze e i pericoli. Nel raggiungimento della divina sapienza, che nessuno percepisce senza estasi anche nei suoi più lontani riflessi, preservaci dall’illusione che ci farebbe ritenere come fine la soddisfazione trovata negli sparsi raggi discesi a noi per ricondurci dai confini del nulla fino ad essa. Infatti, quei raggi che per se stessi procedono dall’eterna bellezza, separati dal centro, distolti dal fine, non potrebbero essere altro che illusione, inganno, occasione di vana scienza o di falsi piaceri. Inoltre, più elevata è la scienza, più si avvicina a Dio in quanto oggetto di teoria speculativa, ma più si deve temere la deviazione; se essa distrae l’uomo nelle sue ascensioni verso la Sapienza posseduta e gustata per se stessa; se lo arresta alle sue sole attrattive, tu non esiti a paragonarla alla città seduttrice che soppianterebbe negli affetti del figlio di un re la nobilissima Sposa che lo attende (Illuminationes Eccl, II). E certo un simile affronto, che provenga dalla serva o dalla dama d’onore, è forse meno sanguinoso per un’augusta regina? Per questo tu dichiari che «pericoloso è il passaggio dalla scienza alla Sapienza, se non vi si pone in mezzo la santità». Aiutaci a superare il pericoloso passo; fa’ che ogni scienza non sia mai per noi se non un mezzo della santità per giungere a un più alto amore.
Questo è appunto sempre il tuo pensiero nella luce di Dio, o Bonaventura. Se ve ne fosse bisogno, ne potremmo avere come prova le tue serafiche predilezioni manifestate più d’una volta ai tempi nostri per i luoghi in cui, a dispetto della febbre che spinge all’azione tutte le forze vive di questo secolo, la divina contemplazione continua ad essere ritenuta come la parte migliore, come il principale scopo e l’unico fine di ogni conoscenza. Degnati di continuare a porgere ai tuoi devoti fedeli una protezione che essi stimano nel suo giusto valore. Difendi come già un tempo nelle loro prerogative e nella loro vita, gli Ordini religiosi, più che mai sulla breccia ai giorni nostri. La famiglia francescana ti sia ancora grata di crescere in santità e in numero; benedici le iniziative prese in seno ad essa, con il plauso del mondo, per illustrare come meritano la tua storia e le tue opere. Per la terza volta e per sempre, se è finalmente possibile, riconduci l’Oriente all’unità e alla vita. Che tutta la Chiesa si riscaldi ai tuoi raggi; che il fuoco divino così validamente alimentato da te bruci nuovamente la terra.
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959