Bouquet spirituale:
27 maggio
Oggi l’Inghilterra presenta agli uomini il suo illustre figlio, Beda il Venerabile, l’umile e dolce monaco che trascorse la vita a lodare Iddio, a cercarlo nella natura e nella storia , ma ancor più nella Sacra Scrittura, studiata con amore e approfondita alla luce delle più sicure tradizioni. Egli, che sempre si attenne alla parola degli antichi, ora ha il suo posto tra i maestri d’un tempo, divenuto esso stesso Padre e Dottore della Chiesa di Dio. Ascoltiamo come egli, durante i suoi ultimi anni, riassume la sua vita.
«Sacerdote del monastero dei beati Pietro e Paolo Apostoli, nacqui in quella proprietà e, da quando ebbi sette anni, abitai sempre la loro casa, osservandone la regola, cantando ogni giorno nella loro Chiesa, trovando la mia delizia nell’apprendere, nell’insegnare o nello scrivere. Ricevuto poi il sacerdozio, mi posi ad annotare, per i miei fratelli e per me, la sacra Scrittura, dividendola in varie opere, aiutandomi con l’espressioni di cui si erano serviti i nostri venerati Padri, o unendomi alla loro interpretazione. E adesso, buon Gesù, io domando a te, che mi hai misericordiosamente concesso di abbeverarmi alla dolcezza della tua parola, di darmi benignamente la grazia di arrivare alla fonte di sapienza e di vederti per sempre».
Vita. Beda nacque in Gran Bretagna, nel 672 o 673. Orfano, all’età di sette anni entrò nell’abbazia di Wearmouth. Tre anni dopo, si trasferì alla fondazione monastica di Farrow, dove passò tutta la sua vita. Vi fu ordinato diacono all’età di diciannove anni; e sacerdote a trent’anni; è là che morì il 25 maggio 735. La sua cultura era veramente enciclopedica; e lasciò tanti scritti che, durante l’Alto Medio Evo, essi costituirono per così dire la biblioteca ecclesiastica degli Anglo-Sassoni. Le sue opere sono tra quelle che furono maggiormente lette e ricopiate nell’intera cristianità. Commentò tutta la Scrittura, attenendosi strettamente alla dottrina dei Padri. Leone XIII lo dichiarò Dottore della Chiesa.
La morte. La morte del servo di Dio non poteva essere la lezione meno preziosa che egli lasciò ai suoi. I cinquanta giorni della malattia che doveva toglierlo dal mondo trascorsero, come tutta la sua vita, cantando i salmi ed insegnando. Essendo ormai prossima la festa dell’Ascensione del Signore egli ripeté più volte, con lacrime di gioia, l’antifona: « O re di gloria, che sei salito trionfante al di là di tutti i cieli, non ci lasciare orfani, ma inviaci lo Spirito di verità, secondo la promessa del Padre ». Ripetendo le parole di sant’Ambrogio, così disse ai suoi allievi che piangevano: « Non ho vissuto in maniera che abbia ad arrossire di vivere con voi; né temo neppure di morire, perché abbiamo un buon Maestro ». Poi, tornando alla sua traduzione del Vangelo di san Giovanni e ad un’opera che aveva cominciato su sant’Isidoro, aggiunse: «Non voglio che i miei discepoli, dopo la mia morte vengano ritardati da cose inesatte, e che i loro studi restino senza frutto».
Il martedì prima dell’Ascensione, il malato si sentì più oppresso, ed apparvero i sintomi della prossima fine. Pieno di allegrezza, trascorse nella dettatura tutta la giornata; e la notte in continui atti di ringraziamento. L’alba del mercoledì lo ritrovò che sollecitava il lavoro dei suoi discepoli. All’ora di terza, essi lo lasciarono per recarsi alla processione con le reliquie dei santi, come si usava fare, fin da allora in quel giorno. Uno di essi, un fanciullo, restato presso di lui gli disse: «Maestro carissimo, non c’è più da dettare che un solo capitolo: ne avete la forza?» «È facile, rispose sorridente il dolce Padre: prendi la tua penna, temperala, e poi scrivi; ma sbrigati e fa’ presto». All’ora Nona convocò i sacerdoti del monastero e distribuì piccoli doni, implorando il loro ricordo all’altare del Signore. Tutti piangevano. Ma egli, pieno di gioia, diceva: «È ora, se così piace al mio Creatore, che io ritorni a Colui che m’ha fatto dal nulla, quando non esistevo; il mio dolce Giudice ha ordinato bene la mia vita; ed ecco che adesso, per me si avvicina il dissolvimento; lo desidero per essere con Cristo: sì, ma la mia anima anela di vedere il suo Re, Cristo, in tutta la sua bellezza».
Fino alla sera non ebbe che effusioni di questo genere; poi seguì il presente dialogo, più commovente di tutti, tenuto con Wibert, il fanciullo menzionato prima: « Maestro caro, resta ancora una frase». «Scrivila presto». E dopo un momento: «È finito» disse il ragazzo. «Dici il vero, rispose il beato: è finito; prendi la mia testa nelle tue mani e volgila dalla parte dell’Oratorio, perché mi è di grande gioia il vedermi di fronte a quel luogo santo, dove ho tanto pregato». E dal pavimento della sua cella, dove l'avevano deposto, intonò: «Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo». E, subito dopo nominato lo Spirito Santo, rese l’anima a Dio.
Preghiera.
«Gloria al Padre ed al Figlio ed allo Spirito Santo»! É il canto dell’eternità; l’angelo e l’uomo non erano ancora creati, che Dio, nel concerto delle tre divine persone, era perfetto nella sua lode: lode adeguata, perfetta come Dio, sola degna di lui. Quanto è stato inferiore all’oggetto dei suoi canti il mondo, anche se in modo meraviglioso ha potuto celebrare il suo autore con le mille voci della natura! Tuttavia la stessa creazione era chiamata a rivolgere un giorno verso il cielo l’eco della melodia trina ed una; quando il Verbo divenne, per mezzo dello Spirito Santo, figlio dell’uomo in Maria, come lo era del Padre, la risonanza creata del cantico eterno rispose pienamente alle adorabili armonie di cui la Trinità serbava primitivamente il segreto per lei sola. Poi, per l’uomo che sa comprendere, la perfezione ha costituito nell’assimilarsi al Figlio di Maria, per non essere che uno col Figlio di Dio, nell’augusto concento, nel quale il Signore trova la sua gloria.
Tu, o Beda, fosti l’uomo a cui fu elargito l’intelletto. Era giusto che l’ultimo respiro, sulle tue labbra, si esalasse con il canto d’amore nel quale si era consumata in te la vita mortale, segnando così il tuo ingresso nella beata e gloriosa eternità. Fa’ che ci sia dato di mettere a profitto la suprema lezione, nella quale si riassumono gl’insegnamenti della tua vita, così grande e così semplice.
Gloria alla potentissima e misericordiosa Trinità. Non è questa anche l’ultima parola dell’intero Ciclo dei misteri, che si chiude adesso nella glorificazione del Padre sovrano, per mezzo del trionfo del Figlio redentore, e la dilatazione del regno dello Spirito, santificatore in tutti i luoghi? Splendido era nell’Isola dei Santi il regno dello Spirito, il trionfo del Figlio nella gloria del Padre quando l’Inghilterra, data da Roma a Cristo, brillava fino all’estremità dell’universo come un gioiello prezioso, facente parte dell’ornamento della Sposa! Dottore degli Anglo-Sassoni, all’epoca in cui essi erano fedeli, rispondi alla speranza del Sommo Pontefice, estendendo il tuo culto a tutta la Chiesa; e risveglia nell’anima dei tuoi concittadini i loro sentimenti di un tempo per la Madre comune.
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, Il Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959