Bouquet spirituale:
25 dicembre
La Chiesa, in questo sacro tempo, offre al Dio Bambino il tributo delle sue profonde adorazioni, i trasporti delle sue gioie ineffabili, l’omaggio d’una riconoscenza senza limiti, la tenerezza d’un amore che non ha l’uguale. I quali sentimenti – adorazione, gioia, riconoscenza e amore – formano anche l’insieme degli omaggi che ogni anima fedele deve offrire all’Emmanuele nella sua culla. Le preghiere della Liturgia ne daranno l’espressione più pura e più completa; ma penetriamo la natura di questi sentimenti onde meglio concepirli e appropriarci ancor più intimamente la forma sotto la quale la santa Chiesa li esprime.
Il primo dovere da compiere presso la culla del Salvatore è quello dell’adorazione. L’adorazione è il primo atto di religione; ma si può dire che, nel mistero della Natività, tutto sembra contribuire a rendere questo dovere ancora più santo. In cielo, gli Angeli si velano il volto e si annientano davanti al trono di Dio; i ventiquattro seniori abbassano continuamente i loro diademi dinanzi alla maestà dell’Agnello: che faremo noi peccatori, indegne membra della tribù riscattata, quando Dio stesso si presenta a noi umiliato e annientato per noi? Quando, per il più sublime rovesciamento, i doveri della creatura verso il Creatore sono adempiuti dal Creatore stesso? Quando il Dio eterno s’inchina, non più solo davanti alla maestà infinita, ma dinanzi all’uomo peccatore?
È dunque giusto che alla vista di sì meraviglioso spettacolo ci sforziamo di offrire, con le nostre profonde adorazioni, al Dio che si umilia per noi, almeno qualcosa di quanto il suo amore per l’uomo e la sua fedeltà alle disposizioni del Padre gli sottrae. È necessario che sulla terra imitiamo, per quanto ci è possibile, i sentimenti degli angeli nel cielo, e non ci accostiamo al divino Bambino senza presentargli innanzitutto l’incenso d’una adorazione sincera, la protesta della nostra dipendenza, e infine l’omaggio di annientamento .dovuto a quella Maestà infinita, tanto più degna del nostro rispetto in quanto è per noi stessi che si umilia. Guai dunque a noi se, resi troppo familiari dalla apparente debolezza del divino Bambino, dalla dolcezza stessa delle sue carezze, pensiamo di poter tralasciare qualcosa di questo primo e più importante dovere, e dimenticare per un momento ciò che è lui e ciò che siamo noi!
L’esempio della purissima Maria servirà potentemente a mantenere in noi l’umiltà. Maria davanti a Dio fu umile prima di essere Madre; divenuta Madre, diviene ancora più umile davanti al suo Dio e al suo Figlio. Noi dunque, vili creature, peccatori mille volte graziati, adoriamo con tutte le nostre forze Colui che da tanta altezza, discende fino alla nostra bassezza e sforziamoci di indennizzarlo, con il nostro abbassamento, della sua mangiatoia, delle sue fasce, dell’eclissi della sua gloria. Tuttavia, cercheremo invano di scendere fino al livello della sua umiltà; bisognerebbe essere Dio per raggiungere le umiliazioni di Dio.
Sermone di san Gregario Nazianzeno.
Innanzitutto, ascoltiamo la voce dei santi Padri che risuonò con un’enfasi e una forza capaci di ridestare qualsiasi anima. Ecco per primo san Gregorio, il Teologo, il Vescovo, di Nazianzo, che inizia così il suo trentottesimo discorso, consacrato alla Teofania, o nascita del Salvatore. Chi potrebbe ascoltarlo e rimanere freddo davanti alle sue parole?
“Cristo nasce; rendete gloria. Cristo discende dai cieli; andategli incontro. Cristo è sulla terra; uomini, alzatevi. Tutta la terra canta il Signore! E per riunire tutto in una sola parola: Si rallegrino i cieli ed esulti la terra, per Colui che è insieme del cielo e della terra. Cristo riveste la nostra carne: siate ripieni di timore e di gaudio: di timore a motivo del peccato; di gaudio a motivo della speranza. Cristo nasce da una Vergine: o donne, onorate la verginità per diventare madri di Cristo.
Chi non adorerebbe Colui che era fin dal principio? chi non loderebbe e non celebrerebbe Colui che è nato? Ecco che le tenebre svaniscono; è creata la luce; l’Egitto rimane sotto le ombre, Israele è illuminata da una lucente nube. Il popolo che era seduto nelle tenebre dell’ignoranza, scorge il lume d’una scienza profonda. Le cose antiche sono finite; tutto è ridiventato nuovo. Fugge la lettera e trionfa lo spirito; le ombre sono passate, e la verità fa il suo ingresso. La natura vede le sue leggi violate: è giunto il momento di popolare il mondo celeste: Cristo comanda; guardiamoci bene dal resistere.
Genti tutte, battete le mani; perché ci è nato un Bambino, ci è stato dato un Figlio. Il segno del suo principio è sulla sua spalla: perché la croce sarà il mezzo della sua elevazione; il suo nome è l’Angelo del grande consiglio, cioè del consiglio paterno.
Esclami pure Giovanni: Preparate le vie del Signore! Per me, voglio far anche risuonare la potenza di sì gran giorno: Colui che è senza carne s’incarna; il Verbo prende un corpo; l’Invisibile si mostra agli occhi, l’Impalpabile si lascia toccare; Colui che non conosce tempo prende un principio; il Figlio di Dio è diventato figlio dell’uomo. Gesù Cristo era ieri, è oggi, e sarà sempre. Si senta pure offeso il Giudeo; se ne rida il Greco; e la lingua dell’eretico si agiti nella sua bocca impura. Crederanno quando lo vedranno, questo Figlio di Dio, salire al cielo; e se anche in quel momento si rifiutano, crederanno quando ne discenderà e comparirà sul tribunale di giudice.
Sermone di san Bernardo.
Ascoltiamo ora, nella Chiesa Latina, il devoto san Bernardo, che effonde una soave letizia in queste melodiose parole, nel iv sermone per la Vigilia di Natale.
“Abbiamo ricevuto una notizia piena di grazia e fatta per essere accolta con trasporto: Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda. La mia anima si è sciolta a queste parole: lo spirito ribolle in me, spinto come sono ad annunciarvi tanta felicità. Gesù significa Salvatore. Che cosa è più necessario di un Salvatore a quelli che erano perduti, più desiderabile a degli infelici, più vantaggioso per quelli che erano accasciati dalla disperazione? Dov’era la salvezza dov’era perfino la speranza della salvezza, per quanto debole, sotto la legge del peccato, in quel corpo di morte, in mezzo alla perversità, nella dimora d’afflizione, se questa salvezza non fosse nata d’un tratto e contro ogni speranza? O uomo, tu desideri, è vero, la tua guarigione; ma, avendo coscienza della tua debolezza e della tua infermità, temi il rigore del trattamento. Non temere dunque: Cristo è soave e dolce; la sua misericordia è immensa; come Cristo, egli ha ricevuto in eredità l’olio, ma per effonderlo sulle tue piaghe. E se ti dico che è dolce, non temere che il tuo Salvatore manchi di potenza; perché è anche Figlio di Dio. Esultiamo dunque, riflettendo in noi stessi, e facendo risplendere al di fuori quella dolce sentenza, quelle soavi parole: Gesù Cristo. Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda!“.
Sermone di sant’Efrem.
È dunque veramente un grande giorno quello della Nascita del Salvatore: giorno atteso dal genere umano per migliaia di anni, atteso dalla Chiesa nelle quattro settimane dell’Avvento che ci lasciano così cari ricordi; atteso da tutta la natura che riceve ogni anno sotto i suoi auspici, il trionfo del sole materiale sulle tenebre sempre crescenti. Il grande Dottore della Chiesa Sira, sant’Efrem, celebra con entusiasmo la bellezza e la fecondità di questo giorno misterioso; prendiamo qualche brano dalla sua divina poesia, e diciamo con lui:
“Degnati, o Signore, di permettere che celebriamo oggi il giorno stesso della tua nascita, che la presente solennità ci ricorda. Quel giorno è simile a tè; è amico degli uomini. Esso ritorna ogni anno attraverso i tempi; invecchia con i vecchi, e si rinnova con il bambino che è nato. Ogni anno, ci visita e passa; quindi ritorna pieno di attrattive. Sa che la natura umana non potrebbe fare a meno di lui; come te, esso viene in aiuto alla nostra razza in pericolo. Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita; questo giorno beato racchiude in sé i secoli futuri; esso è uno e molteplice. Sia dunque anche quest’anno simile a tè, e porti la pace fra il cielo e la terra. Se tutti i giorni sono segnati della tua liberalità, non è giusto forse che essa trabocchi in questo?
Gli altri giorni dell’anno traggono la loro bellezza da questo, e le solennità che seguiranno debbono ad esso la dignità e lo splendore di cui brillano. Il giorno della tua nascita è un tesoro, o Signore, un tesoro destinato a soddisfare il debito comune. Benedetto il giorno che ci ha ridato il sole, a noi erranti nella notte oscura; che ci ha recato il divino manipolo dal quale è stata diffusa l’abbondanza; che ci ha dato la vite che contiene il vino della salvezza che deve dare a suo tempo. Nel cuore dell’inverno che priva gli alberi dei loro frutti la vigna si è rivestita d’una divina vegetazione; nella stagione glaciale, un pollone è spuntato dal ceppo di Jesse. È in dicembre, in questo mese che trattiene nel grembo della terra il seme che le fu affidato, che la spiga della nostra salvezza, spunta dal seno della Vergine dove era disceso nei giorni di primavera, quando gli agnelli vanno belando nei prati”.
Non è dunque da stupire che questo giorno il quale è caro a Dio stesso sia privilegiato nell’economia dei tempi; e conforta vedere le genti pagane presentire nei loro calendari la gloria che Dio gli riservava nella successione delle età. Abbiamo visto del resto che i Gentili non sono stati i soli a prevedere misteriosamente le relazioni del divino Sole di giustizia con l’astro mortale che illumina e riscalda il mondo; i santi Dottori e tutta la Liturgia sono molto prodighi riguardo a questa ineffabile armonia.
Preghiera
Anche noi, o divino Bambino, uniamo le nostre voci a quelle degli Angeli, e cantiamo: Gloria a Dio, pace agli uomini. L’ineffabile racconto della tua nascita ci intenerisce il cuore e ci strappa le lacrime. Ti abbiamo accompagnato nel viaggio da Nazareth a Betlemme, abbiamo seguito tutti i passi di Maria e Giuseppe, durante la strada che hanno percorsa; abbiamo vegliato in questa santa notte, aspettando l’istante beato che ti mostra ai nostri sguardi.
Sii lodato, o Gesù, per tanta misericordia; sii amato, per tanto amore! I nostri occhi non possono distaccarsi dalla mangiatoia beata che racchiude la nostra salvezza. Ti ci abbiamo riconosciuto quale ti hanno descritto alle nostre speranze i santi Profeti, di cui la tua Chiesa ci ha posto nuovamente sotto gli occhi, questa notte stessa, i divini oracoli. Tu sei il gran Dio, il Re pacifico, lo Sposo celeste delle anime nostre; sei la nostra Pace, il nostro Salvatore, il nostro Pane di vita.
Che cosa ti offriremo in quest’ora, se non quella buona volontà che ci raccomandano i tuoi santi Angeli? Formala dunque in noi; nutrila, affinché meritiamo di diventare tuoi fratelli per la grazia, come lo siamo ormai per la natura umana. Ma tu fai ancora di più in questo mistero, o Verbo incarnato! Ci rendi in esso – come dice il Tuo Apostolo – partecipi di quella natura divina che il tuo abbassamento non ti ha fatto perdere. Nell’ordine della creazione, ci hai posti al disotto degli Angeli; nella tua incarnazione, ci fai eredi di Dio, e coeredi tuoi. Che i nostri peccati e le nostre debolezze non ci facciano dunque scendere dalle altezze alle quali ci elevi oggi.
Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959