Vite dei Santi
i nostri modelli e protettori

Bouquet spirituale:

30 giugno

San Paolo, Apostolo, O.D.M. pinxit
San Paolo
O.D.M. pinxit

Commemorazione di
San Paolo
Apostolo
(† 67)

I Greci uniscono oggi in una stessa solennità la memoria degli illustri santi, i dodici Apostoli, degni di ogni lode (Menci, 30 giugno). Roma, tutta presa ieri dal trionfo che il Vicario dell’Uomo-Dio riportava fra le sue mura, vede il successore di Pietro recare al Dottore delle genti l’omaggio riconoscente della Città e del mondo. Seguiamo con il pensiero il fedele popolo romano che accompagna il Pontefice e fa echeggiare dei suoi canti di vittoria la splendida Basilica della Via Ostiense.

La Conversione. Il 25 gennaio abbiamo visto il Dio-Bambino condurre alla sua mangiatoia, sconfitto e domato, il lupo di Beniamino (Gen. 49, 27) che, agli inizi della sua ardente giovinezza, aveva riempito di lacrime e di sangue la Chiesa di Dio. Era venuta la sera, prevista da Giacobbe, in cui Saulo il persecutore avrebbe più di tutti i suoi predecessori in Cristo dato incremento all’ovile e nutrito il gregge con l’alimento della sua celeste dottrina.

La visita a «Pietro». Per un privilegio che non ha mai avuto l’uguale, il Salvatore, già assiso alla destra del Padre nei cieli, si degnò di istruire direttamente quel neofita, perchè fosse un giorno messo nel numero dei suoi Apostoli; ma non essendo mai le vie di Dio opposte fra loro, quella creazione di un nuovo Apostolo non poteva contraddire la costituzione divinamente data alla Chiesa cristiana dal Figlio di Dio. Paolo, nell’uscire dalle sublimi contemplazioni durante le quali era stato versato nella sua anima il dogma cristiano, dovette recarsi, verso l’anno 39, a Gerusalemme, per « vedere Pietro », come narrò egli stesso ai suoi discepoli della Galazia. Dovette, secondo l’espressione di Bossuet, « mettere a confronto il proprio Vangelo con quello del principe degli Apostoli » (Discorso sull’unità). Ammesso fin d’allora come cooperatore alla predicazione del Vangelo, lo vediamo, nel libro degli Atti, associato a Barnaba, presentarsi con quest’ultimo ad Antiochia dopo la conversione di Cornelio e l’apertura della Chiesa ai gentili. Dopo la prigionia di Pietro a Gerusalemme, un avviso dall’alto manifesta ai ministri delle cose sacre che presiedevano la Chiesa di Antiochia che è giunto il momento di imporre le mani ai due missionari, e si conferisce loro il sacro carattere dell’ordinazione (Anno 45).

La prima missione a Cipro. A partire da quel momento, Paolo raggiunge la statura d’un Apostolo, e si sente che la missione per la quale era stato preparato è infine aperta. Presto, nel racconto di san Luca, Barnaba scompare e la sua parte è ormai secondaria. Il nuovo Apostolo ha i suoi propri discepoli e intraprende, ormai come capo, una lunga sequela di peregrinazioni segnate da altrettante conquiste. Il suo primo passo si compie a Cipro, ed è qui che viene a sigillare con l’antica Roma un’alleanza che è come la sorella di quella contratta da Pietro a Cesarea. Nell’anno 45, quando Paolo approdò a Cipro, l’isola aveva come proconsole Sergio Paolo, illustre per i suoi antenati, ma ancora più degno di stima per la saggezza del suo governo. Egli volle ascoltare Paolo e Barnaba. Un miracolo di Paolo , compiuto sotto i suoi occhi, lo convinceva della verità dell’insegnamento dei due Apostoli, e la Chiesa cristiana enumerò quel giorno nel proprio seno un nuovo erede del nome e della gloria delle più illustri famiglie romane. In quel momento avvenne uno scambio: il patrizio romano era riscattato dal giogo della gentilità dall’ebreo, e in cambio l’ebreo, che si chiamava fin allora Saulo, ricevette e adottò da quel giorno il nome di Paolo, come un trofeo degno dell’Apostolo dei gentili.

Il Concilio di Gerusalemme. Da Cipro, Paolo si reca successivamente in Cilicia, nella Panfilia, nalla Pisidia e nella Licaonia. Dappertutto porta la buona novella, e fonda cristianità. Torna quindi ad Antiochia nell’anno 49 e trova la Chiesa di quella città in agitazione. Un partito di Giudei usciti dalle file del fariseismo era favorevole all’ammissione dei gentili nella Chiesa solo a condizione che fossero assoggettati alle pratiche mosaiche, cioè alla circoncisione, alla distinzione delle carni ecc. I cristiani usciti dalla gentilità rifuggivano da quella servitù alla quale Pietro non li aveva costretti, e la controversia si fece tanto accesa che Paolo ritenne necessario intraprendere il viaggio per Gerusalemme, dove allora si trovava Pietro. Partì dunque con Barnaba, per sottoporre la questione ai rappresentanti della nuova legge radunati nella città di David. Oltre a Giacomo che risiedeva abitualmente a Gerusalemme come Vescovo, Pietro – come abbiamo visto – e Giovanni vi rappresentarono in quella circostanza tutto il collegio apostolico. Fu emesso un decreto in cui veniva interdetta qualunque esigenza riguardo ai gentili circa i riti giudaici, e tale disposizione veniva presa in nome e sotto l’influsso dello Spirito Santo. Appunto in quell’assemblea di Gerusalemme Paolo fu accolto dai tre grandi Apostoli come colui che doveva esercitare in modo speciale l’apostolato dei gentili. Ricevette da parte di coloro che egli chiama le colonne, una conferma di quell’apostolato aggiunto all’apostolato dei Dodici. Con quel ministero straordinario che sorgeva in favore dei chiamati dell’ultima ora, il cristianesimo affermava definitivamente la sua indipendenza rispetto al giudaismo, e la gentilità sarebbe entrata in massa nella Chiesa.

La seconda missione (49-54). Paolo riprese il corso delle sue escursioni apostoliche attraverso le province che aveva già evangelizzate, per consolidarvi le Chiese. Di lì, attraversando la Frigia, toccò la Macedonia, si fermò per qualche tempo ad Atene donde si recò a Corinto per restarvi un anno e mezzo. Alla sua partenza, lasciava in questa città una Chiesa fiorente, non senza aver eccitato contro di sè il furore dei Giudei. Da Corinto, Paolo si recò ad Efeso, che lo trattenne per più di due anni. Vi ottenne un tale successo presso i gentili, che il culto di Diana ne subì un sensibile indebolimento. Ne seguì una violenta sommossa, e Paolo credette giunto il momento di lasciare Efeso. Durante il soggiorno in questa città, aveva rivelato ai discepoli il pensiero che l’occupava già da lungo tempo: «È necessario – disse loro – che veda Roma ». La capitale della gentilità chiamava l’Apostolo dei gentili.

L’Epistola ai Romani. Il rapido incremento del cristianesimo nella capitale dell’Impero aveva posto di fronte, in un modo assai più notevole che altrove i due elementi eterogenei di cui era formata allora la Chiesa. L’unità d’una stessa fede riuniva nel medesimo ovile gli antichi Giudei e gli antichi pagani. Vi furono alcuni in ciascuna delle due razze che, dimenticando troppo presto la gratuità della loro comune vocazione, si lasciarono andare al disprezzo dei fratelli, ritenendoli meno degni di se stessi del battesimo che li aveva fatti tutti uguali in Cristo. Alcuni Giudei sdegnavano i gentili, ripensando al politeismo che aveva contaminato la loro vita passata di tutti i vizi che esso comporta. Alcuni gentili da parte loro disprezzavano i Giudei, come provenienti da un popolo ingrato e cieco che, abusando degli aiuti prodigatogli da Dio, non aveva saputo far altro che crocifiggere il Messia.

Nell’anno 57, Paolo, venuto a conoscenza di quei contrasti, approfittò di un secondo soggiorno a Corinto per scrivere ai fedeli della Chiesa romana la celebre Epistola in cui si studia di stabilire la gratuità della fede, essendo tanto i Giudei che i gentili indegni della divina adozione e avendo essi ricevuto la chiamata per pura misericordia; Giudei e gentili, dimenticando il proprio passato, dovevano solo abbracciarsi nella fraternità di una stessa fede, e testimoniare la loro riconoscenza a Dio che aveva prevenuto con la sua grazia gli uni e gli altri. La qualifica di Apostolo dava a Paolo il diritto di intervenire in tal modo nel seno stesso di una cristianità che non era stata fondata da lui.

L’ultimo viaggio a Gerusalemme. Nell’attesa di poter contemplare con i propri occhi la Chiesa regina costituita da Pietro, l’Apostolo volle compiere ancora una volta il pellegrinaggio alla città di David. Ma la rabbia dei Giudei di Gerusalemme si scatenò in quella circostanza fino all’ultimo eccesso. Il loro orgoglio si rivolgeva soprattutto a quell’antico discepolo di Gamaliele, a quel complice dell’assassinio di Stefano, che ora invitava i gentili ad unirsi ai figli di Abramo sotto la legge di Gesù di Nazareth. Il tribuno Lisia lo strappò dalle mani dei furiosi che stavano per farlo a pezzi. La notte seguente. Cristo apparve a Paolo e gli disse: «Sii forte, poiché sarà necessario rendere di me a Roma la stessa testimonianza che mi rendi ora a Gerusalemme».

Il soggiorno a Roma. Tuttavia, solo dopo una cattività di oltre due anni a Cesarea, Paolo, avendo fatto appello all’imperatore, approdò in Italia all’inizio dell’anno 61. Finalmente l’Apostolo dei gentili faceva il suo ingresso in Roma. Non lo circondava certo l’apparato d’un vincitore; era un umile prigioniero giudeo che veniva portato là ove si ammucchiavano quelli che avevano fatto appello a Cesare. Ma era Paolo, questo Giudeo che aveva avuto Cristo stesso come conquistatore sulla via di Damasco; presentandosi sotto il nome romano di Paolo, questo nome non era certamente un furto in colui che, dopo Pietro, doveva costituire la seconda gloria di Roma e il secondo pegno della sua immortalità. Egli non recava con sè, al pari di Pietro, il primato che Cristo aveva affidato a lui solo; ma veniva a ricongiungere al centro stesso dell’evangelizzazione dei gentili, la missione divina ricevuta in loro favore. Paolo non doveva avere successori nella sua straordinaria missione; ma l’elemento che veniva a deporre nella Chiesa madre e maestra rappresentava un tale valore che per tutti i secoli si sentiranno i Romani Pontefici, eredi del potere monarchico di Pietro, fare appello anche a un altro ricordo, e comandare in nome dei «beati Apostoli Pietro e Paolo».

Invece di aspettare in carcere il giorno in cui sarebbe stato giudicato, Paolo ebbe la libertà di scegliersi un’abitazione nella città, vincolato solo alla diuturna custodia d’un soldato che rappresentava la forza pubblica e al quale, come si usava fare in simili casi, era legato con una catena che gli impediva di fuggire, ma lasciava liberi i suoi movimenti. L’Apostolo continuava così a poter annunciare la parola di Dio. Verso l’anno 62 si concesse infine a Paolo l’udienza alla quale gli dava diritto l’appello a Cesare. Comparve nel pretorio, e il successo della sua perorazione lo fece assolvere.

L’ultima missione. Tornato libero, si recò probabilmente in Spagna. Di qui, volendo rivedere l’Oriente, visitò di nuovo Efeso, dove costituì vescovo il suo discepolo Timoteo. Evangelizzò Creta, lasciandovi come pastore Tito. Ma non lasciava per sempre quella Chiesa romana che aveva resa illustre con il suo soggiorno, incrementata e fortificata con la sua predicazione; doveva ritornare per illuminarla degli ultimi sprazzi del suo apostolato e imporporarla del suo glorioso sangue.

L’Apostolo aveva posto termine ai suoi itinerari evangelici nell’Oriente (66); aveva confermato le Chiese fondate con la sua parola, e sul suo cammino non erano mancate le prove come le consolazioni. All’avvicinarsi dell’inverno egli veniva tratto in arresto, condotto a Roma e imprigionato.

Il Martirio. Un giorno dell’anno 67, forse il 29 giugno. Paolo veniva trascinato lungo la Via Ostiense, seguito anche da un gruppo di fedeli che si erano uniti alla scorta del condannato. La sentenza emessa contro di lui dichiarava che sarebbe stato decapitato alle Acque Salvie. Dopo aver percorso per circa due miglia la via Ostiense, i soldati condussero Paolo attraverso un sentiero che si dirigeva ad Oriente, e presto si giunse sul luogo stabilito per il martirio del Dottore delle genti. Paolo si mise in ginocchio e rivolse a Dio l’ultima preghiera; quindi attese il momento della morte. Un soldato brandì la spada, e la testa dell’Apostolo, staccata dal tronco, fece tre balzi sulla terra. Tre fontane zampillarono all’istante nei tre punti ch’essa aveva toccati. Questa è la tradizione conservata sul luogo del martirio, dove si vedono appunto tre fontane su ciascuna delle quali sorge un altare.

L’Apostolo dei Gentili.

Ieri, o Paolo, si è compiuta la tua opera; avendo dato tutto hai dato per di più te stesso (II Cor. 12, 15). La spada, abbattendo la tua testa, porta a compimento, come tu avevi predetto, il trionfo di Cristo (Filipp. 1, 20).

Lode dunque a te, o Apostolo, ora e sempre! L’eternità non potrebbe esaurire la gratitudine di noi che siamo le genti. Completa la tua opera in ciascuno di noi per quei secoli senza fine; non permettere che, per la defezione di alcuno tra quelli che il Signore chiamava a completare il suo corpo mistico, la Chiesa sia privata di uno solo degli elementi sui quali poteva contare. Sostieni contro lo scoraggiamento i predicatori della parola sacra, tutti coloro che, con la penna o con qualche altro mezzo continuano la tua opera di luce; moltiplica i valorosi apostoli che allontanano continuamente i confini della regione delle tenebre sul nostro globo. Tu hai promesso una volta di restare con noi, di vegliare sempre al progresso della fede nelle anime nostre, di farvi germogliare senza posa le purissime delizie dell’unione divina (Filipp. 1, 25-26). Mantieni la tua promessa; andando a raggiungere Gesù, continua a mantenere la parola data a tutti quelli che, al pari di noi, non poterono conoscerti quaggiù (Col. 2, 1). Ad essi infatti, in una delle tue immortali Epistole, tu lasciavi l’assicurazione di provvedere « a consolare i loro cuori, a riunirli strettamente nella carità, arricchirli della pienezza dell’intelligenza per conoscere il mistero di Dio Padre e di Cristo Gesù, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza » Col. 2, 2-3).

Dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico, Il Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959; Le Vite dei Santi per ciascun giorno dell’anno, Milano, Presso Carlo Barbini, editore, 1879